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Note

1. Scrittore, poeta, saggista e critico letterario nigeriano.
2. Tratto da The Trouble with Nigeria, Fourth Dimension Publishing, Enugu 1983.
3. «Devi vederla con i tuoi occhi».
4. Dal libro: «Dimenticavo: Ade è il diminutivo di Adesuwa, cioè Jessica, cioè Juliette».
5. Dalla nota a piè pagina, in merito all’ultima voce della guida: «Sopravvivenza: Sembra strano parlarne qui, ma quei pochi viaggiatori indipendenti che vanno in Nigeria, una delle destinazioni più pericolose del mondo, apprezzeranno il fatto di essere sopravvissuti».
6. Dalla nota a piè pagina: «Voce gergale; chiamasi dura l’appropriazione indebita, tramite intimidazioni, minacce, ed eventualmente percosse».
7. «Adesso hai visto con i tuoi occhi?».

Bibliografia

Vitaliano Trevisan, Black tulips, Einaudi, Stile libero Big, 2022.


Un fantasma bianco nella terra dei tulipani neri

Editoria - L’ultima opera di Vitaliano Trevisan, <em> Black tulips, un quaderno nigeriano</em>, raccoglie la sua pericolosa avventura africana
/ 28/11/2022
Manuela Mazzi

«Qui turisti non ne vengono. Scrive Chinua Achebe (1) che “solo un masochista con un esuberante gusto per l’autoflagellazione sceglierebbe la Nigeria per una vacanza” (2); o qualcuno che volesse studiare sul campo la povertà e la pena, e conclude dicendo che la Nigeria può essere un paradiso solo per pirati e avventurieri, ma certo non per i turisti. Si apre un tema: partendo dal fatto che sono bianco, e visto che non sono un turista masochista, né uno studioso della povertà, né tantomeno un pirata, mi resta solo il ruolo di avventuriero».

Black tulips (Einaudi, Stile libero Big, 2022) – da cui è tratta la citazione – è il titolo dell’ultima opera dello scrittore vicentino Vitaliano Trevisan, che è tornato con la memoria ai ricordi di un sudato soggiorno africano di vent’anni prima. Black tulips è di fatto un taccuino di viaggio (lo precisa anche il sottotitolo, Un quaderno nigeriano), non un romanzo, non un saggio, non un racconto alla Cuore di tenebra del noto Joseph Conrad (poco tenuto in considerazione da Trevisan, che scrive di preferire un confronto con Benito Cereno di Herman Melville), ma un vero e proprio carnet de voyage, con annotazioni sulle persone incontrate, sulle storture culturali, sui disagi creati da usi e costumi diversi, ma anche con molte descrizioni dei luoghi camminati, riflessioni sul colore della pelle, sui reciproci pregiudizi, e sugli inevitabili confronti tra i due mondi, bianco e nero, che si rincorrono in sequenze di immagini e note a piè pagina, pezzi non integranti ma parti del medesimo insieme di digressioni: «il libro si compone di frantumi e di frammenti, frantumi se ritrovati nel passato, frammenti quando più vicini al presente»; schegge di memoria rimaste peraltro in sospeso data l’incompiutezza dell’opera dovuta alla recente scomparsa dello scrittore.

Uno stilema già manifesto nel precedente romanzo, Works, ma qui potenziato dall’autore o se si preferisce dal narratore, che in quest’opera coincidono, come scrive lo stesso Vitaliano Trevisan all’interno del libro: «Vita che, per quanto mi riguarda, non è mai altro dall’opera».

«U must c with ur own eyes» (3). Lo dice Ade (4), prostituta nigeriana, parlando della sua terra. Lo ripete più volte all’autore incontrato e frequentato a Vicenza, «uno dei vertici del cosiddetto quadrilatero del degrado». Siamo verso la fine degli anni Novanta, quando Ade viene rimpatriata dall’immigrazione perché clandestina, un tulipano nero tra i tanti. Farà di tutto per tornare in Italia dove fare il mestiere per qualche anno, perché è quello che vuole fare, non perché qualcuno la costringe a farlo. Questione di prospettive diverse, direbbe l’autore, che si sofferma molto sulle difformità dei punti di vista culturali.

Bisogna vederla con i propri occhi la Nigeria, e così, alla prima occasione, Trevisan prende un volo e parte: «A chi intraprende viaggi in Nigeria si raccomanda di fare molta attenzione alla sicurezza personale. Si consiglia di intraprendere un viaggio solo se accompagnati da una persona di fiducia pratica del posto e nel rispetto di misure di sicurezza adeguate. Si sconsigliano i viaggi in certe regioni del Paese a causa dell’elevato rischio di sequestri a scopo politico o criminale». A mettere in guardia i viaggiatori ancora oggi è il nostro Dipartimento federale degli affari esteri, ma lo fa anche la guida turistica, una Lonely Planet (5), che l’autore si porta in valigia, pur affidandosi poi all’amica Ade e ai suoi due «cugini», che cercheranno di scortare l’oyibo (uomo bianco stupido, o meglio: uomo stupido a priori in quanto bianco) ogni volta che si mette in testa di uscire, anche solo per fare una passeggiata: «Tutta quest’ansia securitaria, che respiro a pieni polmoni, per così dire, mi opprime almeno altrettanto dell’aria che respiro effettivamente, sulla cui composizione posso solo riportare il dato olfattivo: materia organica animale e vegetale che se ne va a male e forte presenza di idrocarburi e fumi vari».

È forse proprio il pericolo, l’insicurezza, il vero protagonista di questo taccuino di viaggio che esplora un territorio oscuro, dove la legge, o chi è incaricato di farla rispettare, è parte integrante di un sistema molto spesso corrotto («per un avventuriero la cleptocrazia è un vantaggio») e violento, non solo in Africa, ma in un certo qual modo anche in Italia, dove corruzione e violenza possono avere altri volti: corrotta può essere l’idea di giustizia, non per forza l’agente che esegue quello che gli viene detto di fare.

D’altro canto, per Vitaliano Trevisan non si può parlare di questa parte di Africa, senza parlare della storia della prostituzione nigeriana in Italia, e di quella proveniente da Benin City. Ma tra i temi spiccano anche le colpe dei neri, l’anti-sentimentalismo, la giustizia individuale, il razzismo («Il colore della pelle, in tutte le sue sfumature, è un fatto»), le truffe nigeriane, economiche, romantiche e sessuali (che producono un giro d’affari, a livello mondiale, di circa otto miliardi di dollari all’anno), ma soprattutto gli atti di violenza anche quelli delle autorità («guardie, armate come minimo dei tipici bastoni coloniali, di legno, lunghi almeno il doppio dei nostri manganelli, ottimi per sferzare» anche solo i tetti delle auto incolonnate), deliberata o culturale che sia («Qui la morte non si nasconde»).

Insicurezza e senso del pericolo che l’autore apparecchia già nelle prime pagine, per poi mostrarle e farle percepire al lettore aumentando di riga in riga la tensione, con sequenze di immagini sempre più brutali, ma non meno reali, tanto da far sentire la paura anche all’autore che negli anni Settanta-Ottanta nel Triveneto faceva le dure (6): «“Ah, certo: tu hai paura”» gli dice Ade: «[…] ebbene tutto questo rendeva l’oyibo molto nervoso. Ma paura no. (Pausa) Quando non resta più nulla, c’è sempre l’orgoglio».

È che per l’autore, bianco, che nella sua patria natale si teneva in equilibrio nella trasparenza, è difficile non farsi notare. «Ha ragione Achebe: in Nigeria niente turisti, solo uomini d’affari, che si rinchiudono al più presto nei loro Sheraton, nei loro Hilton, o nei loro compound e da lì più non si muovono (nell’eventualità mai senza scorta), se non per tornare a prendere l’aereo». In Nigeria, Trevisan ci arriva comunque con il visto turistico. Lo stesso che usano molte donne nigeriane, non tutte, per arrivare in Europa dove poi salderanno il debito del viaggio prostituendosi.

«Anche se non sono un turista, visto che ci sono, qualcosa vorrei vedere, e, soprattutto, vorrei visitare il National Museum, che si trova a Lagos Island, “il cuore di Lagos”, secondo la mia guida, e vanta una notevole collezione di bronzi e sculture in avorio del Benin, nonché, cosa per me non meno interessante, ha in esposizione anche la Mercedes, crivellata dai colpi di mitragliatrice, nella quale morì il rimpianto generale Murtala Muhammed, all’epoca (1976) capo dello Stato. Che poi, in questo “cuore”, si trovino anche le sedi delle principali banche, i più grandi centri commerciali, i migliori hotel, ristoranti, spiagge, locali notturni eccetera, mi interessa poco».

Ma di nuovo non sarà l’esperienza immaginata dall’autore, che invece regala ai lettori un ulteriore spaccato di questa regione africana se possibile ancora più impressionante. Negli ultimi vent’anni non sembra essere migliorata la situazione, e i viaggi in Nigeria continuano a essere pericolosi, ma grazie a Black Tulips abbiamo ora tutti la possibilità di esplorarla, e magari anche di porci qualche domanda.

«Stringo la mano di Ade. Lei mi guarda. Non lo dice, ma è come se lo dicesse: Now u see with your own eyes, abi?»7.