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Da sette meraviglie a più di mille patrimoni
Intervista - Il professor Lorenzo Cantoni ricorda il cinquantesimo della Convenzione UNESCO spiegando i futuri progetti
Simona Dalla Valle
Già da tempi immemori, l’umanità ha sentito la necessità di classificare, catalogare e gestire le risorse mondiali. Unicità e bellezza erano soltanto alcune delle categorie usate per descrivere tali attrazioni, come nel caso delle Sette meraviglie del mondo selezionate per la prima volta nel 130 a.C. Da allora, tale smania di classificazione non si è mai placata, tanto che nel 2007 fu selezionata una lista delle Nuove sette meraviglie del mondo a seguito di un lungo referendum mondiale indetto dallo svizzero-canadese Bernard Werber.
Nel mese scorso si è celebrato il 50esimo anniversario della Convenzione sul patrimonio mondiale dell’UNESCO. L’idea di creare un movimento internazionale per la tutela del patrimonio mondiale nacque dopo la Seconda guerra mondiale, quando l’entità delle devastazioni era evidente a tutti; UNESCO si presentava come un’organizzazione intergovernativa con l’obiettivo di promuovere la pace attraverso la coltivazione della conoscenza e dell’istruzione.
Abbiamo parlato dell’anniversario con Lorenzo Cantoni, professore e prorettore vicario all’Università della Svizzera Italiana (USI) e direttore della UNESCO Chair in ICT to develop and promote sustainable tourism in World Heritage Sites. Istituita nel 2013, la cattedra si impegna a svolgere un’ampia attività di ricerca e insegnamento su come le tecnologie dell’informazione e della comunicazione possano essere utilizzate per sviluppare e promuovere il turismo sostenibile nei siti ascritti al patrimonio mondiale.
Come è nata la Convenzione UNESCO del 1972 per la protezione del patrimonio mondiale?
Al termine della Seconda guerra mondiale la comunità internazionale si chiese come impedire, in futuro, la distruzione o il furto di beni artistici durante un conflitto armato. Nacque così la Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, stipulata all’Aia nel 1954 e aggiornata nel 1999. Tale sensibilità rispetto al valore del patrimonio artistico-culturale, e all’importanza che la comunità internazionale se ne prenda cura, si è poi sviluppata a coprire anche altri rischi e a includere il patrimonio naturale. Nello stesso periodo della Convenzione dell’Aia, l’Egitto decise di costruire la diga di Assuan, costruzione che avrebbe comportato l’allagamento di una vasta area con edifici e siti archeologici. Un’ampia mobilitazione internazionale aiutò l’Egitto a salvare questo patrimonio trasferendo, con un’opera ai tempi decisamente ardita, i templi di Abu Simbel per evitare che fossero sommersi dall’acqua. Fu quella la base per la Convenzione del 1972, che stabilì l’esistenza di patrimoni di valore universale eccezionale che meritano di essere identificati, preservati e tutelati con un impegno della comunità internazionale.
In che modo si svolgono candidatura e selezione per diventare un sito Patrimonio Mondiale UNESCO?
È un processo complesso che inizia a livello locale e nazionale, inteso a verificare se un sito corrisponda alle caratteristiche identificate dalla Convenzione. Si effettua una valutazione tecnica, a cura delle organizzazioni che assistono l’UNESCO nella procedura, cioè l’ICOMOS – International Council on Monuments and Sites, e lo IUCN – International Union for Conservation of Nature and Natural Resources. Viene quindi predisposto un corposo dossier di candidatura valutato, al termine del processo, dal Comitato del Patrimonio Mondiale, che si riunisce annualmente. L’UNESCO definisce anche una lista di siti a rischio, verso cui si orientano le attività di supporto economico e tecnico dei governi impegnati in questo ambito.
Che cosa è cambiato dal 1972 a oggi?
Anzitutto in questi 50 anni si è sviluppata, anche grazie alla Convenzione, una consapevolezza nuova e più estesa rispetto al valore del patrimonio. Una consapevolezza a mio avviso molto positiva. Sono poi cambiate soprattutto due cose. Da un lato i numeri: attualmente i siti del Patrimonio Mondiale sono 1154 in 167 Stati dei 194 che sottoscrissero la Convenzione: emerge l’esigenza di assicurare che tutti i Paesi possano registrare un sito e che la lista proponga una visione equilibrata e rappresentativa dell’intero patrimonio mondiale. In secondo luogo, proprio negli ultimi 50 anni abbiamo assistito all’emergere del turismo di massa, che da un lato ha permesso di offrire nuove risorse per la conservazione del patrimonio, ma dall’altro ha anche conosciuto degli eccessi che possono mettere a rischio il patrimonio stesso. È emerso pure, e inevitabilmente, che si tratta di una convenzione diplomatica, soggetta dunque anche a sollecitazioni e forze esterne rispetto ai temi direttamente legati alla conservazione del patrimonio culturale e naturale.
È stato relatore alla conferenza internazionale indetta a Delfi (Grecia) dal Ministero ellenico della Cultura e dello Sport e dalla Delegazione Permanente della Grecia presso l’UNESCO in collaborazione con il Centro del Patrimonio Mondiale UNESCO. Il tema della recente conferenza riguardava i prossimi 50 anni: «Il futuro del Patrimonio Mondiale in tempi difficili per migliorare la resilienza e la sostenibilità». Qual è secondo lei il futuro della convenzione?
È stato un grande onore poter presentare le ricerche della Cattedra UNESCO dell’USI davanti a decine di delegazioni diplomatiche e ai principali decisori dell’UNESCO. Nelle presentazioni è stata più volte toccata la necessità di estendere la rappresentatività del Patrimonio mondiale a Paesi e regioni meno rappresentate – in particolare nel continente africano – predisponendo, idealmente, anche un sostegno economico e tecnico nella fase di candidatura. In secondo luogo, si è sottolineato il compito di preservazione, con particolare attenzione ai fenomeni naturali, la cui aggressività si è aggravata in alcune regioni in relazione ai cambiamenti climatici. In terzo luogo, si è sottolineata la necessità di una migliore armonizzazione con il settore del turismo, così da non vederlo come una minaccia rispetto alla conservazione del patrimonio, ma piuttosto come un importante alleato.
Lei è il direttore della UNESCO Chair in ICT to develop and promote sustainable tourism in World Heritage Sites presso l’Università della Svizzera italiana. Quali sono i progetti che avete in cantiere in questo anno importante?
Abbiamo da un lato meglio definito e pubblicato un modello interpretativo del ruolo che i media digitali possono avere rispetto al turismo patrimoniale. Si tratta del framework «ABCDE», secondo cui i media digitali possono dare accesso (Access) a informazioni di alta qualità sul patrimonio; possono migliorare (Better) l’esperienza di visita, per esempio grazie alla realtà aumentata; possono aiutare a stringere i legami (Connect) fra patrimonio, persone che visitano e persone che vi abitano; possono aiutare a disintermediare (Dis-intermediate) alcune relazioni, assicurando che i soldi spesi dai turisti per il viaggio arrivino a beneficio delle comunità locali; possono, infine, supportare la formazione e l’aggiornamento (Educate) di tutti gli attori coinvolti in questi processi.
Abbiamo inoltre sviluppato – ed è stato questo il tema principale della mia relazione a Delfi – un concetto innovativo rispetto al turismo sui siti del patrimonio: non si tratta di vedere la visita come un atto di «consumo», ma come qualcosa che dobbiamo «meritare». Grazie ai media digitali posso preparare la visita: tutti abbiamo visto durante la pandemia che si può imparare anche online, comprendendo così meglio il valore del patrimonio in questione. Questa preparazione consentirà delle pratiche di visita più responsabili e sostenibili, ai diversi livelli: ambientale, economico, sociale e culturale. Si potrebbe trattare di una formazione a pagamento: chi la supera, avrà poi l’opportunità, in caso di visita, di usarla come titolo di accesso. Dunque le persone pagano il biglietto, laddove previsto, prima della visita e indipendentemente da essa, contribuendo al sostegno dei siti anche nei casi in cui – per qualunque ragione, come nel caso del Covid-19 – la visita non si possa fare o debba essere rimandata di anni.
Sono molti i progetti in cantiere alla Cattedra in questo periodo: una mostra itinerante sul Monastero di san Giovanni a Müstair (canton Grigioni), uno dei siti del Patrimonio mondiale in Svizzera, delle mostre fotografiche digitali, una scuola invernale, numerose ricerche sul tema della sostenibilità culturale, collaborazioni con colleghi e siti in tutti i continenti…
Un’ultima domanda… qual è il suo sito patrimonio mondiale del cuore?
Quelli ticinesi mi sono molto cari, il Monte San Giorgio – vicino al quale abito – e la Fortezza di Bellinzona. Anche le processioni della Settimana Santa di Mendrisio, che sono iscritte nella lista di un’altra convenzione UNESCO, del 2003, dedicata al Patrimonio culturale immateriale. Una convenzione che compirà tra poco i vent’anni… ma questa è un’altra storia!