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Goditela, buttala, ma non metterla nei capelli
Tra il ludico e il dilettevole: ci sono tanti modi di masticarla, così come ci sono tanti modi per nominarla: cicca, gomma, gomma americana, chewing gum
Sebastiano Caroni
C’è chi la mastica per le sue reali o presunte proprietà stimolanti, chi ne apprezza il gusto dolciastro, speziato o di menta, chi si diletta facendo i palloncini, chi vi ricorre per rinfrescare l’alito dopo un pasto abbondante o, ancora, chi mastica per abitudine o per semplice emulazione. Ma c’è anche chi, a scuola, viene invitato a buttarla nel cestino o chi, senza farsi vedere, l’appiccica a tradimento sotto qualche sedia. Chiamatela come volete: cicca, gomma, gomma americana, chewing gum, sono altrettanti nomi per dire un bene di consumo dall’identità controversa. Apprezzato senza riserve da alcuni, impiegato come rimedio da altri – l’alito cattivo viene reinventato nella modernità –, e demonizzato da genitori e insegnanti, la diffusione planetaria della gomma da masticare va di pari passo con lo sviluppo del sistema capitalistico moderno, e con l’affermarsi dello stile di vita consumistico tipico della cultura nordamericana. Non è un caso, infatti, se l’arrivo in Europa del prodotto gommoso coincide con lo sbarco delle truppe americane che pone fine alla Seconda guerra mondiale.
La storia della gomma da masticare, però, ha radici molto antiche, e risale alle culture tradizionali del Centro America. Già nell’antichità le popolazioni amerindiane masticavano il chicle, la materia prima che si estraeva dal fusto della Sapotiglia, una pianta nota ancora oggi per i suoi frutti e per il legno pregiato. Per gli Aztechi, masticare il chicle era una pratica fortemente regolamentata e solitamente relegata alla sfera privata. Sovente era associata al genere femminile, tanto che gli uomini che masticavano in pubblico venivano considerati effeminati. Se invece era una donna sposata e masticare il chicle, correva il rischio di essere presa per una scostumata, dal momento che la prostituzione era una pratica fortemente associata al profumo dolciastro della gomma, e al sonoro schiocco prodotto dalla masticazione.
La moderna versione della cicca, invece, si sviluppa a partire dalla seconda metà del secolo XIX, momento in cui il chicle comincia a essere esportato negli Stati Uniti e, a cavallo fra i due secoli, diventa un prodotto industriale diffuso su scala nazionale. In questo contesto, il marketing e la fiorente industria della pubblicità trasformano il chewing gum in un emblema di disinvoltura e successo. Nel 1938, per esempio, l’attrice Claudette Colbert, nota per il suo fascino e per la sua eleganza, diventa il volto di una campagna pubblicitaria per una marca di chewing gum espressamente rivolta al pubblico femminile. Anche Chuck Yeager, il primo pilota che riuscì a superare il muro del suono, polarizza l’attenzione dei media. Si narra che non decollasse mai prima di avere in bocca una Beemans, la sua marca di cicche preferita. Un’abitudine che ha poi indotto altri aviatori a emularlo.
Nonostante, o forse in virtù, della popolarità di cui gode ancora oggi, mangiare la cicca rimane pur sempre, come abbiamo visto, una pratica fortemente controversa. Emily Post, scrittrice nordamericana e grande autorità in fatto di buone maniere, nel suo celebre libro Etiquette (pubblicato nel 1922 e giunto nel 2022 alla sua ventesima edizione) riserva solo parole di disprezzo per un’abitudine che giudica malsana e antiestetica. Un politico che in un discorso pubblico si mostrasse con la cicca in bocca, per dire, non sarebbe sicuramente un esempio di – passatemi l’espressione – buon gusto. In alcuni casi mangiare la cicca diventa un gesto fuori luogo che può sconfinare nella volgarità o, addirittura, nel dissacrante, come nel film Viaggi di nozze di Carlo Verdone, quando Jessica – interpretata da Claudia Gerini– mastica con preoccupante noncuranza davanti all’altare.
Ha fatto molto discutere, in tempi recenti, la notizia dell’introduzione a Singapore di un divieto di masticare il chewing gum per mantenere le strade pulite. Divieto che, sotto la pressione del colosso americano Wrigley, è poi stato parzialmente revocato reintroducendo la vendita di gomme senza zucchero.
Le questioni di etichetta, o quelle di ordine pubblico, non fermano però la popolarità del chewing gum su scala globale. Come un capo d’abbigliamento che fa tendenza, in bocca a certi personaggi anche la cicca diventa sinonimo di emancipazione, come nel film Grease che, mettendo assieme chewing gum, giubbotti di pelle e brillantina, celebra il look ribelle delle giovani generazioni del secondo dopoguerra.
All’occorrenza, la gomma americana può sottolineare la spavalderia di uno stile di vita disinibito, sfacciato e disinvolto, come quello di Madonna che, nel videoclip di Into the Groove – una delle sue canzoni più iconiche – si muove sinuosamente masticando con evidente piacere un chewing gum onnipresente. Anche il cestista Micheal Jordan sul campo da gioco masticava in modo insistente, un’abitudine molto diffusa anche nel football americano e nel baseball.
Un capitolo a parte della moderna storia del chewing gum va dedicato ai bambini. A rafforzare il binomio fra infanzia e gomma da masticare ci pensarono alcune trovate, come l’introduzione della bubble gum, inventata da Walt Diemer nel 1928 e perfezionata nei decenni successivi, che permetteva di fare i famosi palloncini e che conferì al chewing gum un’inedita dimensione ludico-sperimentale. O ancora, a partire dal 1947, la popolare marca Bazooka inserisce nelle confezioni dei brevi fumetti che raccontano le vicende di Bazooka Joe. Inviando alla sede centrale dell’azienda un certo numero di questi fumetti, i ragazzini nordamericani ricevevano gratuitamente delle figurine delle star del baseball, così come guanti o altro equipaggiamento sportivo.
Non dimentichiamo poi che, fino a una certa età, la gomma da masticare rappresenta una forma di trasgressione rispetto alle raccomandazioni di genitori e maestri. Nonostante la condanna degli adulti, i bambini della mia generazione riuscivano comunque sempre a infilarsi in qualche negozietto di paese e, raccogliendo qualche moneta dalle tasche, estraevano da appositi contenitori di vetro alcune palline morbide e colorate, pregustando un sapore che aveva un che di inebriante.
La cicca, in fondo, incarna alla perfezione le caratteristiche di un bene di consumo: dotata di un gusto che è destinato a esaurirsi, ha un ciclo di vita piuttosto breve, e chiede di essere sostituita. A meno che qualcuno non la sottragga al suo destino – come faceva l’artista Marcel Duchamp con i suoi ready-made – per metterla in un museo. E chi dice che non sia successo? Nel luglio 1999, Nina Simone si esibì in una rara performance nell’ambito del Meltdown Festival di Nick Cave a Londra. Dopo l’esibizione, Warren Ellis recuperò la gomma masticata che l’artista aveva abbondato sul pianoforte, la avvolse in un asciugamano e la mise in una borsa della Tower Records. Quella cicca rimase con lui per vent’anni, fino al momento in cui, come in un lieto fine di una fiaba, entrò in un museo trasformandosi, magicamente, in un’opera d’arte.