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«Classiche» di regolarità più che velocità
Adrenalina: Marco Leva racconta la passione per le gare in cui ogni curva e ogni chilometro diventano una sfida al cronometro non per arrivare prima, ma per dimostrare precisione
Moreno Invernizzi
A vincere non è chi arriva prima al traguardo, ma chi lo raggiunge discostandosi il meno possibile da tempi e medie prestabiliti. Non il più veloce ma il più regolare e preciso. Non per questo, le gare di regolarità – i classic rally, come vengono chiamate nel gergo – sono avare di emozioni. «Adrenalina? Ne scorre a fiotti, dalla prima all’ultima curva: il brivido non te lo dà la velocità, ma la continua lotta con contachilometri e cronometro», assicura Marco Leva, uomo… navigato di questo genere di competizioni.
Al suo attivo, Marco Leva ha parecchie gare di regolarità. «Ho perso il conto di quante saranno: ormai non sono più un pilota… di primo pelo» confida con un largo sorriso. «Ma ogni volta è come la prima. Una magia che puntualmente si ripete quando ti metti dietro al volante, giri la chiave del contatto e pigi sulla tavoletta dell’acceleratore».
Sono trascorsi dunque molti anni da quando nacque la passione per questo genere di competizioni: «Sembra ieri… e, invece, senza accorgermene sono passati quasi vent’anni. La prima competizione classica l’ho disputata nel 2006. Inizialmente con le prove di regolarità classica, quelle con i “pressostati” (i “tubi” nel gergo per chi ha familiarità con questo ambiente), che servono a rilevare il tempo tra un settore e l’altro del rally. Una volta fatto il rodaggio, ho cambiato marcia e ho provato a salire un ulteriore gradino, cimentandomi anche con le prove di regolarità sulla media oraria, che per certi versi sono anche più impegnative di quelle a tempo, ma anche più emozionanti».
Le grandi classiche, Marco Leva le ha corse quasi tutte, macinando chilometri e chilometri sulle strade dell’intera Europa, al volante della sua Lancia Fulvia 1600 HF, «un gioiellino a cui sono molto affezionato, e che mi ha accompagnato in questo viaggio da brivido», che l’ha portato, fra l’altro, al Rally di Montecarlo versione classica, forse la prova sulle strade europee più rinomata e prestigiosa, a cui ha preso parte diverse volte: «La mia prima volta a Montecarlo è stata nel 2010: quella è stata anche la mia prima volta in una manifestazione di regolarità a media oraria. Praticamente è stato amore a prima vista: da quella volta, sempre più spesso ho partecipato a gare di questo genere, anche se a quei tempi non erano così diffuse in Europa: gran parte di questi eventi erano concentrati in Francia, e in particolare nell’entroterra di Nizza. Con gli anni, però, le cose sono cambiate, e oggi se ne trovano un po’ dappertutto. In Italia, ad esempio, è pure nato un vero e proprio campionato nazionale a media. E non è cosa da poco metterlo in piedi, considerando tutti gli aspetti che si devono tenere in considerazione».
Tra questi un dettaglio spicca certamente per importanza fondamentale: «Servono prima di tutto le strade, quelle giuste per poter disputare una prova che si basa sulla media oraria. Mi spiego meglio: dovendo attenersi al codice stradale, disputare una prova che prevede una media di massimo 50 km/h nelle campagne della Pianura padana, lungo interminabili rettifili non avrebbe granché senso. Ma con saliscendi, curve e quant’altro, il discorso cambia parecchio… Sotto questo aspetto la Svizzera, e in particolare il Ticino, con la sua morfologia, ha un potenziale enorme per le gare di regolarità».
Tornando alle emozioni, Marco Leva non può dimenticare le gare che maggiormente gliele hanno fatte provare: «Ce ne sono due il cui ricordo ancora oggi mi fa venire la pelle d’oca. Indimenticabile resta la partenza del Rally di Montecarlo del 2011, per l’occasione scattato da Glasgow, in Scozia. Lungo le vie del centro cittadino si erano radunate parecchie persone per seguire le fasi iniziali di quella competizione: sfilare nel mezzo di due ali di folla festante è stato qualcosa di pazzesco. Non ho mai visto così tanta gente schierata per assistere alla partenza di una gara. Purtroppo in quella tappa iniziale mi si è rotto un perno del cambio. L’abbiamo riparato, ma poi sono arrivato fuori tempo massimo al controllo finale di quella frazione, a Montecarlo, e la mia gara è finita lì…».
E sempre alle strade del regno monegasco è legato il secondo ricordo più intenso di Marco Leva in fatto di competizioni di regolarità. «L’anno seguente, nel 2012, invece, il Rally di Montecarlo (che tradizionalmente si disputa a cavallo tra fine gennaio e inizio febbraio) è stato caratterizzato da una nevicata terrificante, cosa che ha aggiunto ulteriore suspense alla gara. Per quello che mi riguarda è stata un’edizione memorabile: mi sono parecchio divertito a guidare in quelle condizioni!».
I motori, dunque, nel cuore, tra le ragioni che hanno spinto Marco Leva a mettersi dietro al volante per coltivare questo hobby agonistico: «Essenzialmente coltivo fin da quando ero bambino la grande passione per i motori, le auto e per gli sport motoristici, in particolare per i rally, che ho sempre avuto nel cuore. Quello di correre in macchina era un sogno che coltivavo già da ragazzo, un sogno però che non mi sono mai potuto permettere dal profilo finanziario. Almeno finché non ho scoperto il mondo delle competizioni di regolarità, dove in fin dei conti puoi correre in macchina a costi tutto sommato accettabili e alla portata di tutti».
Sessantadue anni all’anagrafe, di spegnere il motore Marco Leva non vuole ancora sentir parlare: «Il bello dei Rally Classic è che fondamentalmente si possono disputare anche da non più giovanissimi, come il sottoscritto, anche perché per prendervi parte non sono richieste particolari preparazioni fisiche. E poi, perché all’atto pratico, l’adrenalina che ti scorre nelle vene è tanta e tale per cui il tuo corpo è quasi “immune” alle sollecitazioni della strada o di un percorso sconnesso. Gli acciacchi, semmai, li percepisci dopo, a motore spento. Ma a quel punto sei così stanco per i chilometri percorsi che anche i dolori passano un po’ in secondo piano; basti considerare che quasi per ogni singola tappa stai in ballo, tra preparativi, guida e briefing finali, per un’abbondante dozzina di ore, ritmi che se fatti per diversi giorni consecutivi alla lunga si fanno sentire».