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Le radici urbane del «Bobostan»

Viaggio tra quartieri trasformati da una nuova élite bohémien, da Berlino a Londra passando per Vienna e Parigi
/ 13/01/2025
Simona Dalla Valle, testo e foto

La prima volta che ho sentito la parola «Bobostan» è stato qualche tempo fa a Vienna, durante una conversazione sui quartieri interni risalenti alla cosiddetta Gründerzeit, il quarto di secolo trascorso tra la rivoluzione del 1848 e il crollo della borsa del 1873 – che pochi giorni dopo l’apertura dell’Esposizione Universale di Vienna portò a una brusca interruzione di un periodo economico fino ad allora scoppiettante. Si parlava nello specifico del Karmeliterviertel, quartiere dove nel corso del XVII secolo confluirono tutti gli ebrei espulsi dalla città vecchia e in particolare dalla Judenplatz, centro della vita ebraica di Vienna sin dal Medioevo. Di conseguenza Leopoldstadt, distretto viennese così chiamato in onore del re Leopoldo, e anzitutto il Karmeliterviertel, divennero il nuovo centro della comunità ebraica, della quale rimangono le panetterie e i negozi di cibo kosher.

Cuore del quartiere, è il vivace Karmelitermarkt insieme alla vicina Karmeliterplatz, dominata dalla Chiesa cattolica di Sankt Josef. Sebbene nella capitale austriaca anche la zona di lusso intorno al Naschmarkt, il MuseumsQuartier, lo Spittelberg e altre parti di quartieri interni come Mariahilf, Neubau e Alsergrund sono conosciuti come Bobostan. In comune tra loro hanno raffinati gastro-pub, boutique di beni di lusso e ampi e luminosi open space per il coworking.

Ma da dove arriva il soprannome Bobostan, e perché è stato attribuito a queste zone? Sebbene vi sia un po’ di confusione sull’origine del termine, ha senz’altro a che fare con bohémien, l’aggettivo coniato dal francese Henri Murger, contemporaneo di Baudelaire e autore del romanzo del 1857, Scene della vita di Bohème, che lo utilizzò come sinonimo di vita vagabonda e marginale.

Ma è in Bel Ami di Guy de Maupassant, 1885, che il termine bohémien apparve per la prima volta insieme a bourgeois, in un abbinamento usato per descrivere il personaggio di Clotilde de Marelle: «Fu allora che lei gli strinse la mano molto forte, per molto tempo; ed egli si sentì commosso da questa confessione silenziosa, preso da un’improvvisa cotta per questa piccola borghese bohémien e bonaria che lo amava davvero, forse».

Fu tuttavia lo scrittore americano ed editorialista del «New York Times», David Brooks, a coniare il neologismo bobo nel quale lui stesso si riconosceva, quale abbreviazione dei termini bohémien e borghese.

Nel suo saggio del 2000, Bobos in Paradise: The New Upper Class and How They Got There, facendo riferimento per lo più alla upper class degli Stati Uniti alla fine degli anni Novanta, David Brooks definì i bobo «conservatori in jeans» e «capitalisti della controcultura». Un ossimoro ambulante! I bobo sintetizzano così due opposti che si credevano inconciliabili: quello della borghesia e dell’anti-borghese, dell’affermazione e della rivolta.

Mettendo insieme in modo scherzoso, quasi insolente, la selvaggia voglia di libertà dei movimenti di protesta degli anni Sessanta con l’etica imprenditoriale degli yuppies degli anni Ottanta, si ottiene un risultato ibrido e dissonante. Come raccontava Brooks vent’anni or sono, lo stile di vita dei bobo riuniva ciò che prima era considerato incompatibile: ricchezza e ribellione, successo professionale e atteggiamento anticonformista, il pensiero degli hippies e lo spirito imprenditoriale degli yuppies. Il «bohémien borghese» è un nuovo tipo umano che vive una vita piena di ideali, coltiva un materialismo gentile, è corretto e creativo allo stesso tempo e plasma sempre più la nostra vita sociale, culturale e politica.

Nel 2007, Guillaume Paoli parlò del fenomeno in termini piuttosto aspri riferendosi alla zona intorno alla Kastanienallee a Berlino, che aveva sperimentato un quasi totale rinnovo dei suoi residenti nei dieci anni precedenti: «Per un quartiere, uno sciame di bobo è devastante come un’invasione di turisti lo è per i Paesi esotici». Questo perché l’apparente partecipazione dei bobo alla vita delle scene e sottoculture a cui si ispirano, porta le zone interessate a un rapido aumento degli affitti e quindi a un esodo degli abitanti originari, a causa di un potere d’acquisto notevolmente maggiore da parte dei nuovi arrivati.

I bobo fungerebbero così da punta di diamante di una gentrificazione accelerata. Oltre alla riqualificazione degli immobili, positiva per l’economia, si formano spesso quartieri benestanti e socialmente omogenei, dai quali gli stili di vita tipici del quartiere sono completamente scomparsi. Ma l’anglicismo gentrificazione, diffuso pressoché in tutto il mondo, presuppone il coinvolgimento di una gentry, ovvero di una bassa nobiltà, che con questi casi non ha nulla a che fare. Paoli faceva originare il termine dal mondo delle ricerche di marketing, dove indicava un individuo in continua oscillazione tra marche di moda costose e sottocultura, segni di esclusività da un lato e appartenenza a una scena dall’altro. Il bobo fu descritto da Paoli come «un notaio indifferente, un imprenditore dei media, un agente immobiliare, […] un erede che sa bene che la curva economica che ha spinto in alto i suoi genitori si sta appiattendo».

Come per ogni cosa, non sono mancate parodie e variazioni: accanto a bobo sono comparsi i termini bonobo (borghese non bohémien), e bobobo (borghese bohémien di Bordeaux). Ma bobo e Bobostan non sono espressioni appannaggio della cultura mitteleuropea. A Parigi, i quartieri bobo per eccellenza sono collocati a est del centro: il Marais e il Canal Saint-Martin, ma anche Saint-Germain des Prés e Batignolles. In un articolo di «France Today», i bobo sono stati descritti come discendenti dei figli dei fiori e dei sessantottini che si ribellarono tra le strade a ciottoli del Quartiere Latino; comprano mele biologiche, votano i verdi e sfrecciano per gli arrondissements a bordo delle biciclette a noleggio Vélib.

A Londra uno degli esempi più eclatanti è Hackney, che se un tempo ospitava la cosiddetta «murder mile» (zone ad alto tasso di criminalità), oggi accoglie caffè dedicati ai felini, gallerie d’arte e boutique alla moda. Poco più a sud, la zona dell’East End ha vissuto una simile ascesa; intorno al 1888 Jack lo Squartatore adescava le sue vittime al pub Ten Bells sulla Commercial Street, che oggi si trova all’angolo del famoso mercato di Spitalfields.