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Alla ricerca di una civiltà dimenticata
Diluvium e Twilight Imperium, due giochi capaci di stimolare la riflessione attorno al potere e alla gloria
Andrea Fazioli
Nel sud-est della Turchia, vicino alla città di Şanlıurfa, si trovano i resti di una civiltà dimenticata. Siamo sulla Göbekli Tepe, la «collina panciuta» dove dodicimila anni fa una comunità di cacciatori edificò un gigantesco santuario. È l’insieme di templi più antichi di cui si abbia notizia, eppure ignoriamo quasi tutto sia degli individui che li costruirono, sia delle divinità alle quali erano dedicati. All’epoca non si lavorava ancora la ceramica, ancora non esistevano le città. In Egitto non c’erano le piramidi e non ci sarebbero state per altri ottomila anni.
A lungo Göbekli Tepe fu un importante centro di culto. Poi, intorno a diecimila anni fa, venne abbandonato con dolcezza, senza drammi. La terra lo ricoprì lentamente, finché venne riscoperto alla fine del XX secolo. Perché alcuni popoli finiscono nell’oblio e altri restano nella memoria collettiva?
La storia custodisce i suoi segreti. Che fine ha fatto la mitica Dilmun di cui parlano i testi sumeri? Secondo gli archeologi era situata a nord del Bahrain e su altre isole del Golfo Persico. Qualche anno fa infatti vennero trovate delle rovine sul fondo del mare. E che dire dei giganti di pietra sull’Isola di Pasqua? O delle rovine di Teotihuacán, in Messico, che erano già deserte quando arrivarono gli aztechi?
Fra i testi sui popoli inghiottiti dal tempo ne segnalo uno di Harald Haarmann: Culture dimenticate (Bollati Boringhieri, 2020), un saggio scritto con piglio divulgativo e ben documentato. Un altro modo per sperimentare la crescita e il declino delle civiltà è cimentarsi in un gioco della tipologia 4X, basato cioè sull’esplorazione (eXplore), sull’espansione (eXpand), sullo sfruttamento delle risorse (eXploit) e sullo sterminio (eXterminate).
Fin dalla preistoria il genere umano conosce la guerra e la sopraffazione. Il male è inevitabile, ma possiamo educarci a conoscerlo per disinnescarlo. Quando la messa in scena dei conflitti avviene in un gioco da tavolo, dentro un contesto rituale di regole e di relazioni amichevoli, si sviluppa una visione non didascalica dello scontro fra civiltà. Lo scopo di un’attività ludica non è didattico, ma può incentivare – come ogni altra forma di cultura – una maggiore consapevolezza di sé e del mondo.
Aprendo la scatola di Diluvium (Antoni Guillen, Nuts!, 2024), scopriamo che il materiale di gioco è assai elegante, con appositi contenitori di cartone per le risorse. Le illustrazioni sono efficaci e aiutano a calarsi nell’atmosfera: dopo un terribile diluvio, gli antichi imperi si sono ridotti a civiltà in esilio. Con la memoria dei fasti passati i signori della guerra veleggiano di isola in isola, colonizzando le terre emerse. Di tanto in tanto s’imbattono nelle rovine dell’impero di Mû, fra le quali ci sono artefatti preziosi.
I giochi 4X di solito sono lunghi e complessi. Ne è un esempio Twilight Imperium, creato da Christian Petersen nel 1997 per Fantasy Flight Games e riproposto in più edizioni rinnovate. La più recente è del 2017, con un’espansione del 2020, e prevede da uno a otto partecipanti. È un «giocone» avvolgente, che dura da quattro a otto ore e che mette in scena la lotta per il controllo della galassia. Oltre alle quattro X, bisogna gestire anche la ricerca tecnologica, il commercio, la diplomazia e la politica, con la promulgazione di leggi per i vari popoli. Proprio nel paragone con Twilight Imperium si capisce il pregio di Diluvium: una partita dura un’ora o anche meno, eppure l’ambientazione è assai curata. All’inizio s’inviano spedizioni e si cerca di stabilire delle colonie, di produrre… finché all’orizzonte appaiono le vele di un vascello da battaglia nemico. I giocatori (da uno a quattro, a partire dai dieci anni) vivono una serie di vicissitudini epocali con una sensazione di conto alla rovescia: quando si esaurisce una delle risorse – cibo, armi, artigianato – s’innesca la fine della partita.
Una partita a Diluvium è sempre diversa dalle altre, sia per la mappa variabile, sia per una serie di regole che stimolano a sperimentare nuove strategie. Per esempio, il divieto di fare la stessa azione due volte di seguito invita a dedicarsi a tutte le quattro X. Inoltre si può diventare ricchi anche combattendo mostri marini o cercando tesori, e questo rende le partite molto tattiche, imprevedibili.
Alla fine ogni civiltà ritorna nella scatola, con tutte le sue illusioni. Ai giocatori restano le domande sul potere e sulla gloria, insieme alla sensazione di avere approfondito in maniera insolita il mistero della natura umana, con l’eterno vizio di ripetere gli stessi errori ma anche con la capacità di tornare a sperare, nonostante tutto.