azione.ch
 



Helsinki sembra prepararsi al peggio

Un curioso (e inquietante) viaggio nella rete di tunnel e bunker del sottosuolo della capitale finlandese
/ 09/12/2024
Elia Danilo, testo e foto

Nella hall della sinuosa biblioteca centrale Oodi, le mani spostano con movimenti lenti le pedine; gli sguardi assorti sulle scacchiere, mentre decine di visitatori ammirano le linee pulite dell’edificio, un gioiello d’architettura contemporanea. Dall’altra parte della grande vetrata, sulla Kansalaistori – la piazza che fa da fulcro del nuovo quartiere – i turisti scattano selfie sotto l’insegna «Helsinki» con la Musiikkitalo, la modernissima sala concerti della città, sullo sfondo.

Oltre quella soglia, il garrito dei gabbiani è cancellato da un’acustica allo stato dell’arte. Da una sala, morbide note di violino e pianoforte. La hostess dietro il banco della reception mi accoglie con un sorriso. «Per il rifugio antiatomico?». Le sue dita affusolate indicano gli ascensori in fondo. «Piano meno due, per i parcheggi».

Le porte automatiche si aprono su una lunga galleria bianca scavata direttamente nella roccia. È l’ingresso alla Helsinki che nessuno vorrebbe mai dover abitare: una rete di tunnel e bunker sotterranei lunga 300 chilometri. E ancora in espansione.

La capitale finlandese si prepara al peggio. Il piano generale per dare rifugio sottoterra a tutta la popolazione – un mega progetto ancora in via di sviluppo – non è di oggi. Le prime gallerie nella roccia risalgono ai tempi della Guerra fredda, ma l’invasione russa dell’Ucraina ha dato al masterplan un nuovo impulso. La Finlandia è il Paese europeo che condivide con Mosca il confine più lungo, 1340 chilometri. L’obiettivo è raddoppiare la rete di bunker, mettendo tutti gli spazi in connessione tra loro.

I tunnel sotto la Musiikkitalo scorrono 15 metri sotto la roccia. Oggi sono usati come parcheggi sotterranei. Della rete già esistente, il 70 per cento è inaccessibile al pubblico, serve per reti, sistemi d’areazione e filtraggio, depositi di stoccaggio per materie prime e servizi.

Ma il resto è vissuto tutti i giorni dagli abitanti di Helsinki: stazioni della metropolitana con i negozi, parcheggi, ma anche spazi espositivi, e persino una piscina. L’idea, è di non sprecare lo spazio in attesa del peggio, ma di dargli una funzione utile anche in tempo di pace.

Orientarsi non è così semplice. Le mappe tradizionali non aiutano. Camminando per diversi minuti, raggiungo un’uscita a qualche isolato di distanza. Non mi raccapezzo subito. Dalla superficie, non sempre i punti d’accesso alla Helsinki sotterranea si vedono. C’è una mappa interattiva online della protezione civile.

Cerco un’altra entrata, all’angolo tra Fabianincatu e Pohjoisesplanadi, è una sede di uffici, ma il portone è chiuso: è un ingresso usato solo in caso di emergenza. Mi guardo attorno. Nei giardini sul viale, da un palco, una rock band si accanisce sulle chitarre. Un gruppo di turisti con l’auricolare si affretta dietro la guida che parla al microfono. Riprendo il cellulare e cerco un altro ingresso. Lo trovo tre isolati più a nord. È la fermata della metropolitana Università.

Il lungo tunnel di roccia imbiancata sembra uscito da un film post apocalittico, se non fosse che nell’ora di punta è affollato di studenti che, indifferenti, passano davanti alle porte di metallo con il triangolo blu, simbolo del rifugio. Da qui, un dedalo di passaggi sotterranei collega la stazione della metropolitana a una galleria commerciale: negozi, ristoranti, supermercati. Riprendo la mappa per cercare di raggiungere l’Arena center: il complesso sportivo interamente sottoterra. Il masterplan della Helsinki sottosopra è progetto in divenire: un giorno tutta questa rete sarà interconnessa. Ma oggi mancano ancora molti pezzi.

Devo risalire in superficie e cercare un altro accesso. Ce n’è uno a meno di un chilometro, in piazza Hakaniemi. Un ascensore di vetro tra le aiuole porta nel ventre della città. Sulla porta, il triangolo blu della protezione civile non lascia dubbi. Un paio di ragazzi in tuta e col borsone sulle spalle scendono con me.

Le pareti del tunnel sono abbellite con sagome di giocatori, ma le porte blindate da tre tonnellate ciascuna fanno capire che questa non è una palestra come le altre. L’Arena center occupa 1500 metri quadrati, ospita due campi da hockey, due da calcetto, una palestra e un parco giochi per bambini, oltra a una caffetteria. Lilia, da dietro il bancone, osserva i bambini saltare sui teli elastici; le mamme con gli occhi sui cellulari.

«Non ci penso, mi sembra normale che qui la gente venga a giocare», dice Lilia. L’idea che questo sia un mega bunker progettato per proteggere 3mila persone da eventi bellici, radiazioni nucleari e sostanze tossiche è qualcosa che a nessuno piace tenere a mente. «Ma se scatta l’allarme, dobbiamo svuotare tutto entro 36 ore».

Il piano di emergenza prevede sirene d’allarme, messaggi radio, tv e su tutti i cellulari. La protezione civile deve allestire in tempi rapidissimi i rifugi, aprire gli accessi normalmente chiusi al pubblico e guidare la popolazione verso il bunker più vicino. A nessuno piace ammetterlo chiaramente, ma la minaccia russa qui è qualcosa di sentito da generazioni e ora tornata terribilmente attuale. «Ognuno di noi ha in famiglia qualche storia», dice Lilia. «I miei bisnonni hanno combattuto la Russia durante la Guerra d’inverno, e i miei nonni l’hanno vissuta da bambini, me lo raccontavano sempre: il freddo, la mancanza di cibo».

Tra il 1939 e il 1940 i Finlandesi vissero quello che oggi tocca agli ucraini: l’invasione sovietica del Paese scandinavo fu respinta da un’imponente resistenza popolare. Ma già prima, nel 1917, durante la guerra civile contro la Russia zarista i finlandesi avevano sconfitto gli invasori, conquistandosi l’indipendenza. «Per certi versi fa parte di noi: io e il mio ragazzo siamo pacifisti, ma facciamo tutti e due parte delle unità volontarie di difesa».

Le chiedo se ha paura. Guarda i bambini che giocano. «Conosci la parola finlandese sisu?» Faccio no con la testa. «Non si può tradurre in altre lingue, è la parola che descrive il nostro carattere, un misto di forza di volontà, resistenza alle difficoltà, resilienza, tenacia. Ecco, noi siamo fatti così. E se servirà vivere per un po’ sottoterra, lo faremo».