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La Londra dei dottorandi a passo di jogging
Tra il ludico e il dilettevole: sullo sfondo londinese, una riflessione su come studio e svago si alternino e si completino
Sebastiano Caroni
Lo scrittore David Lodge, che per molto tempo ha insegnato letteratura inglese all’Università di Birmingham, nei suoi libri non manca mai di restituire un’immagine ironica che, a tratti, sconfina nel grottesco, del variegato mondo accademico. Nelle pagine del suo romanzo Scambi (Bompiani, 1988), per esempio, descrive così uno dei tipici dottorandi che si possono incontrare nelle università britanniche: «Un’anima persa, un essere solitario privo di certezze su quel che sta facendo e su chi desidera compiacere», che si aggira per la British Library con «l’occhio vacuo del veterano con shock da bombardamento». Quando lessi per la prima volta questa descrizione stavo svolgendo il mio dottorato presso la University College London (UCL) e, pur riconoscendo una certa esagerazione in quel ritratto stilizzato, provai conforto nel pensare che in quelle parole c’era qualcosa di profondamente vero.
Del resto, è facile che uno studente dottorando venga percepito, dall’esterno, come un essere solitario abituato all’anonimato e agli scaffali polverosi delle biblioteche, che passa le sue giornate con la testa china su delle pubblicazioni il cui contenuto è ermetico ai più.
Chi ha vissuto l’esperienza del dottorato, sa che effettivamente tale scelta di vita prevede periodi di lettura intensiva che si alternano a lassi di tempo in cui, più o meno faticosamente, ci si accinge a scrivere i capitoli che poi vengono sottoposti al proprio direttore di tesi. Dopo alcuni anni, se tutto va bene, si consegna il proprio lavoro e, alla data convenuta, ci si presenta per difenderla davanti al direttore e agli esaminatori esterni. La difesa consiste in una discussione al termine della quale, generalmente, il lavoro viene accettato senza riserve o, più spesso, con la richiesta di apportare delle revisioni minori.
Prima di presentare la tesi però, ricordiamocelo, passano alcuni anni, che tendono a essere di più se lo studente ha a che fare con una materia letteraria o, in generale, umanistica. È risaputo che per portare a termine la scrittura di una tesi sia necessaria, oltre che un’autentica passione per la ricerca, per la lettura e per la scrittura, anche una buona dose di pazienza e autonomia. L’alternanza della lettura e della scrittura tende infatti a rendere le giornate piuttosto ripetitive, e può capitare che, all’infuori di queste due attività, non succeda molto altro.
Un altro aspetto centrale è la scelta del tema che si decide di sviluppare, e che ci accompagna per il lungo periodo durante in quale la tesi prende progressivamente una forma compiuta. Non è come quando, per dire, uno lavora come giornalista, e ogni giorno è alle prese con un nuovo fatto di cronaca. Un dottorando lavora sempre sullo stesso tema attorno al quale, pazientemente, giorno dopo giorno, elabora le proprie riflessioni. Una volta per spiegare in cosa consiste l’esperienza di un dottorando affermai che è più o meno come mangiare la stessa cosa ogni giorno, e in più devi cucinartela da solo.
Questa ripetitività finisce per diventare, a seconda dei momenti, amata o odiata, ricercata o evitata, ma in ogni caso richiede una particolare disciplina, molto impegno, e applicazione. Inoltre, a causa di questo carico mentale, solitamente non si riesce a lavorare più di un certo numero di ore al giorno, e ogni tanto ci si concede qualche giornata di pausa: per cui bisogna trovarsi, com’è giusto che sia, dei momenti di svago e degli intermezzi che permettano, come si suol dire, di staccare un po’.
Svolgendo il mio dottorato a Londra, mi muovevo liberamente per la città, preferibilmente a piedi, e questo mi permetteva di conoscerne strade e quartieri. Avevo fatto la tessera di membro della Tate Modern in modo da non perdermi le prestigiose esposizioni d’arte che il museo ospita con regolarità. Scoprii, mentre ero a Londra, l’esistenza del British Film Institute (la cineteca di Londra) e dell’Institute of Contemporary Art, dove una sera assistetti a un incontro pubblico con l’artista Tracey Emin. Non disdegnavo neppure, di tanto in tanto, le zone più turistiche, come Leicester Square, Oxford Street e Covent Garden.
Avendo piena autonomia sull’organizzazione delle mie giornate, ben presto presi l’abitudine – che conservo tuttora – di praticare sport quasi tutti i giorni, alternando nuoto e corsa. Cambiai casa due volte, e se mantenni una certa assiduità nella pratica del jogging, lo devo al fatto che ho abitato nelle vicinanze di ben due parchi storici. Hampstead Heath, che raggiungevo facilmente dalla mia residenza studentesca situata a Kentish Town, e in seguito Regent’s Park, che si trovava non lontano dall’appartamento che ho condiviso nella zona della stazione ferroviaria di Euston, a due passi dal mio campus universitario.
Hampstead Heath e Regent’s Park sono piuttosto diversi. Il primo è un vasto terreno leggermente collinoso nella zona nord di Londra, che comprende zone erbose e boschive, vasti prati ideali per i picnic e alcuni stagni dove d’estate si può anche fare il bagno. Il secondo, situato nella parte settentrionale del centro cittadino, è uno dei Parchi Reali di Londra ed è decisamente più pianeggiante e, con i suoi vialetti concentrici e alberati, si avvicina di più all’idea che ci facciamo del parco addomesticato. Entrambi sono abbastanza grandi da offrire a chi vuole farsi una corsetta un percorso di alcuni chilometri: a fronte delle geometrie più precise di Regent’s Park, Hampstead Heath potrebbe risultare più tortuoso al passo, e dare più filo da torcere a chi vi si inoltra per la prima volta senza conoscerne i confini.
Quanto al nuoto, invece, il punto di riferimento era la piscina dell’Università, una vasca di 33 metri situata nella zona del campus universitario, nel sottosuolo dello stabile dell’associazione studentesca. A due passi da lì, oltre al British Museum, c’è una libreria Waterstones di cinque piani specializzata in libri accademici, a quanto pare una delle più grandi librerie accademiche al mondo. L’ultima volta che sono stato a Londra, però, ho scoperto che la piscina è stata chiusa. Peccato, una vasca di quelle dimensioni al centro di Londra era un vero lusso. E per me era un modo per passare la giornata al campus, unendo l’utile della biblioteca al dilettevole della piscina e della caffetteria.