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Così si pilota un aereo in mezzo alla tempesta
Colpo critico: dalla velocità all’assetto di volo, dai freni alle comunicazioni con la torre di controllo, in mezzo a mille variabili
Andrea Fazioli
C’è stato un momento in cui ho pensato di non farcela. Eravamo sopra l’Aeroporto internazionale di Kuala Lumpur, in Malesia, e il volo stava procedendo bene. La mia copilota e io avevamo appena annunciato il nostro arrivo alla torre di controllo, quando di colpo il cielo si è fatto nero. Tuoni, scrosci di pioggia. Una ragnatela di lampi. Come mantenere l’aereo in assetto? Come gestire l’apertura degli alettoni? Semoga berjaya… buona fortuna! Ce la siamo vista brutta, ma alla fine abbiamo bevuto un paio di caffè e siamo riusciti ad atterrare.
In futuro mi aspetta l’aeroporto di Keflavik, in Islanda: dovrò stare attento alla neve e ai blizzard di ghiaccio. Chissà, magari riuscirò a portare un aereo di linea anche a Paro, in Bhutan. È uno degli aeroporti più difficili al mondo, circondato com’è da picchi montuosi alti fino a seimila metri, e solo un ristretto numero di piloti ha il permesso di portarci un velivolo.
Naturalmente, il vantaggio è che posso fare tutto questo seduto al tavolo del mio soggiorno.
In Sky team (Luc Rémond, Scorpion Masqué, 2023) due partecipanti collaborano per pilotare un aereo di linea, scegliendo una serie di missioni dalle più facili alle più complesse (tipo l’aeroporto di Kuala Lumpur). I due giocatori siedono l’uno accanto all’altro, proprio come in una cabina di pilotaggio, e gestiscono vari fattori perché l’atterraggio si svolga senza problemi: dalla velocità all’assetto di volo, dai freni alle comunicazioni con la torre di controllo, in mezzo a mille variabili come il vento o la pioggia. Per fortuna il gioco offre la possibilità di bere un caffè per cambiare il valore di uno o più dadi…
Si fa presto a spiegare il successo di Sky team. È un gioco ben costruito, semplice ed elegante, ma soprattutto ha un’ambientazione credibile, anche perché l’autore si è avvalso della consulenza di un comandante di bordo professionista. Sembra davvero di essere lì, pilota e copilota insieme nell’abitacolo, con la necessità di capirsi senza parole per fare la cosa giusta al momento giusto.
Difficile trovare qualcuno che non abbia fantasticato di volare almeno una volta. Oltre a essere uno tra i sogni più diffusi, è anche un desiderio primordiale, che affonda le radici nella storia dell’umanità. Da sempre gli esseri umani invidiano la libertà degli uccelli. È un inganno, naturalmente, perché non basta volare per essere liberi. Però, nella simulazione ludica di un volo, è impossibile non provare un piacere quasi infantile.
Un altro gioco che offre sensazioni simili è Winged victory (Carlo Amaddeo, WBS Games, 2017). Lo scenario è diverso: si tratta di affrontare un combattimento aereo durante la prima guerra mondiale, pilotando un Sopwith Camel o il triplano Fokker di Manfred Von Richthofen, conosciuto come il Barone Rosso (e famoso anche per la parodia che ne fece Charles Schulz nelle strisce dei Peanuts, dove Snoopy lotta invano contro l’asso dell’aria tedesco).
Meno adatto ai principianti, consente ai giocatori (da 1 a 8) di cimentarsi in manovre spericolate, dai «semplici» looping fino alla spettacolare virata di Immelmann. Tutto questo tenendo conto della velocità, dell’aerodinamica, del consumo di energia e, naturalmente, degli avversari. A differenza di tutti gli altri giochi simili, la plancia di Winged victory non mostra i velivoli dall’alto, come in una mappa, bensì di lato, in uno spaccato laterale; questo rende le azioni più veloci e intuitive. Anche in questo caso, l’aspetto più simpatico non sono comunque le tattiche di combattimento, ma l’impressione di essere lassù, con il casco e gli occhialoni, nell’azzardo dei venti.
Il sogno ricorrente di volare, dicono, è tipico degli anni giovanili, come se il cervello avesse bisogno anche nel sonno di continui impulsi, di speranze rinnovate. Ma è bello pensare ogni tanto al volo anche in età più matura, per non perdere lo slancio. Il poeta Mario Luzi aveva settantun anni quando, nel volume Per il battesimo dei nostri frammenti (Garzanti 1985), imitò nei suoi versi la leggiadria di uno stormo di uccelli. Da secoli, da millenni prima che gli esseri umani pensassero anche solo alla possibilità di staccarsi da terra, già sognavano di «essere rondini» e di medicare così il peso dei loro pensieri. Ecco l’inizio della poesia: «Sgorgano / l’una dall’altra / esse, traboccano / fuori dal loro primo caldo gruppo, l’una / dopo l’altra, disfano / le loro rapide pattuglie / sbandando sotto la loro impavida veemenza / ed eccole si lanciano, / nero zampillo ricadente, / su, alte nell’aria…».