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La maliziosa innocenza del «vero» Wonka
Vite da ridere (o quasi): Gene Wilder ha reso credibili personaggi tanto pacati quanto frustrati o folli
Carlo Amatetti
Il nostro percorso lungo il viale dei ricordi dei grandi della comicità mondiale, partito dal Buster Keaton britannico, Marty Feldman («Azione» del 06 maggio 2024), non poteva che condurci immediatamente a Gene Wilder, che nel nostro immaginario è quasi un tutt’uno con la maschera inglese.
Gene è stato un rarissimo esempio di artista della risata tanto raffinato quanto esplosivo. Sotto quel suo proverbiale casco di riccioli indomabili, il suo sguardo rende credibili personaggi tanto innocenti quanto maliziosi, tanto pacati quanto soggetti a improvvisi scatti d’ira, di frustrazione o follia. Non a caso viene scelto da Woody Allen per una parte che lui solo può interpretare: «Ancor prima di leggere la sceneggiatura (di Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso ma non avete mai osato chiedere, ndr) sapevo perché voleva me: un attore che riuscisse a innamorarsi di una pecora in modo credibile e a recitare bene la parte».
Nato Jerome Silberman a Milwaukee nel ’33 da una famiglia di ebrei russi, ha modo di mettere a punto le sue raffinate capacità recitative nel Gotha delle accademie di recitazione, l’Actor’s Studio. In questa occasione è talmente riluttante a essere presentato agli altri celebri attori ammessi, che cambia il suo nome in Gene Wilder. Gene e Jerome continueranno ad albergare insieme sotto quei folli riccioli, per anni e anni, fino alla fine.
Il fardello che Jerome si porterà dietro per tanti anni è il senso di colpa, del tutto immotivato, per la salute cagionevole della madre. Che diritto ha a essere felice se non può esserlo sua madre? Per anni, così, è perseguitato da quello che definisce il suo «Demone», ovvero un’improvvisa compulsione a pregare che può coglierlo ovunque. Ma per aggiungere al danno la beffa, il Demone lo costringe a pregare il Dio «sbagliato», quello cristiano. È così che, come spesso accade, stare sul palco diventa una maniera per salvarsi da sé stesso.
Tuttavia a teatro spesso le sue esibizioni vengono applaudite con entusiasmo da platee che vedono nella sua recitazione una comicità di cui Gene non è consapevole. La sua frustrazione di seminare lacrime e raccogliere risate viene lenita da un incontro fondamentale, quello con Mel Brooks, che ricorderà: «Anne, che recitava con Gene a teatro nella pièce brechtiana Madre coraggio, mi disse di tener d’occhio il giovanotto che recitava nel ruolo del cappellano perché pensava che sarebbe stato perfetto per un altro personaggio, Leo Bloom, che stavo scrivendo all’epoca per il mio primo film, Per favore, non toccate le vecchiette. Mi disse: “Osservalo bene. È il ritratto dell’innocenza”». Quando alla fine i due si incontrano sarà proprio Mel a fargli far pace col proprio talento: «Dio ti ha donato un singolare talento. Sei un attore seriamente divertente».
Ma i «singolari talenti» di Gene e Mel stentano inizialmente a far breccia nel grande pubblico. Fino alla vigilia del primo giorno di riprese di Frankenstein Junior (1974) né i cinque film precedenti con Gene protagonista (compreso il «suo» iconico Willy Wonka che resisterà a qualsiasi tentativo di scalzarlo dalla memoria collettiva dei remake successivi), né i due di Mel come regista hanno fatto guadagnare a chicchessia un penny che sia uno.
Quando iniziano le riprese del capolavoro cinematografico per il quale entrambi verranno maggiormente ricordati, persino la sua caratteristica estetica più significativa, l’essere in bianco e nero, è a serio rischio. Nonostante questa scelta sia stata avallata dalla produzione, la forza dei due è lungi dal poter resistere a un eventuale voltafaccia, che avvertono non solo come probabile, ma come imminente. Come in tutte le favole che si rispettano, ecco, però, il miracolo: mentre Aigor azzanna il pellicciotto di Elizabeth e si sbraccia indicando ululì e ululà, nelle sale esce Mezzogiorno e mezzo di fuoco, la parodia western girata immediatamente prima da Mel sempre con Gene tra i protagonisti. È un inaspettato, clamoroso, deflagrante trionfo: davanti ai cinema si formano file interminabili e alla fine il film guadagnerà qualcosa come 120 milioni di dollari. Il pericolo è passato: il progetto Frankenstein Junior è ormai «blindato» e pronto ad affrontare 50 anni di ininterrotto successo.
Tanto del successo di Frankenstein Junior è merito proprio di Gene, che ne firma il soggetto e la sceneggiatura (quest’ultima in collaborazione con Brooks) e non a caso il suo Frankenstein è l’archetipo perfetto dei suoi personaggi cinematografici: serio, pacato, romantico, sognatore e… completamente pazzo! Un mix che ritroviamo – con diversi dosaggi – nei personaggi che interpreta successivamente: Il Fratello più furbo di Sherlock Holmes (1975), Wagon-lits con omicidi (1976), Il più grande amatore del mondo (1977), Scusi, dov’è il West? (1979).
La sequela di successi si completa in coppia con la sua vera e propria antitesi, lo stand-up comedian di colore Richard Pryor. I due si incontrano per la prima volta sul set di Wagon-Lits con omicidi, diretti da Arthur Hiller. Sono due artisti all’opposto: tanto Gene è affidabile e professionale, tanto Rich si porta dietro la nomea di funestatore di set a tal punto che la sua scrittura rimane fino all’ultimo in forse. Ma la Dea Bendata ci vede sempre benissimo e alla fine i due reciteranno insieme, andando a formare negli anni a venire una delle grandi coppie comiche cinematografiche della storia di Hollywood: «…durante le riprese Richard diceva battute fuori dal copione e a me, che non avevo mai improvvisato su un set, le risposte uscivano dalla bocca spontaneamente. Del resto lui era avvezzo a lavorare in questo modo grazie alla lunga gavetta nei club e durante i concerti. […] Sotto questo profilo fu il mio mentore: niente pensieri, soltanto risposte immediate e istintive».
La sua carriera procede con alterne fortune. Vive una tormentata storia d’amore con la splendida comedian del Saturday Night Live Gilda Radner, che perderà, pochi anni dopo il loro matrimonio, per un tumore. Il flop di Luna di miele stregata, proprio in coppia con Gilda, affonda a metà anni Ottanta la sua carriera di regista, mentre quella di attore andrà avanti fino al 1991. Come mi confesserà anni dopo in un’intervista, «non mi sono mai ritirato, ma finora (2010, ndr) non mi è stato più proposto un ruolo adatto».
Nell’attesa, i ruoli che vuole per sé stesso – troppo complessi e sfumati per le commedie americane post anni Ottanta – li metterà su carta per i suoi romanzi, regalandoci piccole perle di romantico umorismo. Dimostrando, alla fine, come abbia imparato davvero a reagire ai colpi del Destino «con calma, dignità e classe».