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La danza degli «uccelli di carta» nei cieli di Cervia

Cultura del gioco appassionante e impegnativa, l’arte di far volare gli aquiloni ha bisogno di un solo alleato, il vento, che non manca mai sulla Riviera romagnola
/ 13/05/2024
Luigi Baldelli, testo e foto

Tutti con il naso all’insù, ad ammirare incantevoli oggetti volanti, leggeri e dai colori accesi, trasportati dal vento e guidati da un filo, indispensabile per non farli volare via. Sono gli aquiloni, un giocattolo antichissimo, che ancora oggi affascina e fa divertire. All’inizio si potrebbe pensare che è un gioco solo per bambini, invece basta andare a Cervia, sul mare Adriatico in provincia di Ravenna, per scoprire che intorno alla passione degli aquiloni si radunano donne e uomini, bambini e anziani.

Un divertimento trasversale, conosciuto in tutto il mondo. Un passatempo che diventa passione e impegno e che ha bisogno di un solo alleato, il vento. E sulla spiaggia di Cervia certamente non manca. Dilettanti e professionisti dell’aquilone si ritrovano qui, davanti al mare, una volta all’anno dall’ormai lontano 1981 per Artevento, il Festival Internazionale dell’Aquilone più longevo al mondo.

Dentro alle varie arene, partecipanti che arrivano da tutti i continenti: Vietnam, Cina, Australia, Finlandia, Nord e Sud America. Aspettano la folata giusta e poi, con un colpo secco tendono il filo e l’aquilone come per magia, si alza dalla spiaggia e inizia a prendere quota. Alcuni hanno forme semplici, a rombo o cerchio. Mentre altri sono complessi, a forma di drago o ape, oppure figure stilizzate di uomini o ancora di oggetti con lunghe code.

Il gioco dell’aquilone fa ritornare bambini, a quando li si costruivano con poche cose, due legnetti uniti a croce e un pezzo di plastica. Si legava tutto a un filo, e si correva lungo i prati o la strada cercando di farlo volare. Ma guardandoli da vicino, quelli che sono qui a Cervia sono molto diversi da quelli della nostra infanzia. Perché richiedono inventiva, creatività, fantasia e soprattutto progettazione tecnica. Questi sono oggetti in grado di rispondere al minimo sollecito del braccio che comanda il filo, capaci di voltare rapidamente, di compiere manovre repentine sfruttando il vento.

L’aquilone è nato in Cina, circa 2800 anni or sono. All’inizio veniva usato per misurare distanze o la forza del vento, oppure per mandare segnali durante le operazioni militari. Ma con il tempo questi «uccelli di carta» si sono trasformati e sono diventati il gioco che ha accompagnato l’infanzia di molti ragazzini, tra risate e allegria. Può venir da chiedere se, forse, inconsciamente, nell’aquilone l’uomo proietti il suo desiderio di volare. Ose più semplicemente gli adulti rincorrono lungo quel filo un ricordo del loro essere stati bambini. «Ma no – mi dice Henrik – un finlandese alto e magro, più vicino ai 90 anni che agli 80, un cappello di paglia in testa e occhi azzurri, mani legnose e sorriso gioviale. Io sono più di 40 anni che mi diverto con gli aquiloni e forse, sì, una volta ricercavo ricordi della mia fanciullezza. Ma oggi per me l’aquilone è come una medicina» continua mentre guarda verso il cielo, tiene il filo teso e muove con piccoli colpi il suo aquilone. «È una medicina che mi rende attivo, perché per far volare un aquilone devi usare i sensi: la vista, l’udito per sentire da dove arriva il vento, il tatto per muovere con delicatezza e precisione le redini dell’aquilone, l’olfatto per sentire ogni volta i diversi odori che porta l’aria che arriva dal mare o dalla montagna».

Allegria e leggerezza, dunque, ma anche la sfida dell’uomo contro la forza di gravità, una lotta contro il vento. Almeno qui in Occidente. Ha invece un maggior carico di significati in altre culture. In diversi paesi del mondo, ad esempio, può farsi carico di alcuni poteri riservati alle divinità, e di cui può avvalersi la persona, come ad esempio in Thailandia dove agli aquiloni si chiede di spazzare via le nuvole dai campi con il vento del Nord-Est, oppure in Corea dove con il loro volo si celebra la nascita dei bambini e gli si augura un destino felice. E ancora in Polinesia, dove rappresentano il punto d’incontro tra uomini e dei. Forse a Cervia non ci si ritrova avvolti da tanta spiritualità, ma sicuramente si respira un aria di festa e allegria.

In un’altra arena, quella centrale, stanno per iniziare le esibizioni acrobatiche e i primi a mostrare la loro sono sei persone che compongono un gruppo. Parte la musica e i rispettivi aquiloni si alzano contemporaneamente in volo. I sei manovratori dal basso si muovono in modo coordinato, tirando ognuno i fili del proprio «uccello di carta»; sanno esattamente che cosa devono fare e come compiere le manovre. Tant’è che su ,nel cielo, le leggere armature a forma di spicchio di luna, si muovono sinuose, come un corpo di danza. Disegnano cerchi tutti insieme, si incrociano e si sfiorano, per poi allontanarsi e rincorrersi e poi di nuovo avvicinarsi per volare tutti uniti come una squadra di aerei acrobatici. A vederli da fuori sembra tutto semplice, invece per riuscire a regalare uno spettacolo del genere occorre molto lavoro.

«Sono tanti anni che faccio volare l’aquilone», mi dice Peter, un ragazzone nord americano, pantaloncini corti e cappello da baseball, una barba lunga intorno a un viso da cowboy, mani grandi che accarezzano il filo e movimenti elastici del corpo per accompagnare da terra la danza dell’aquilone. Ma come fate a farli volare tutti e sei insieme e a fare in modo che i fili non si intreccino e gli aquiloni caschino giù? «Ci vuole tanta pratica – continua mentre ripone il suo aquilone dentro una grande sacca – allenamento, capire quando tirare e allentare il filo per far fare all’aquilone i movimenti che desideri. Anticipare o assecondare il vento, interpretarlo per poterlo sfruttare al massimo. E poi c’è sintonia tra di noi, siamo una squadra ma siamo anche amici. Basta guardarsi negli occhi, per capire cosa sta facendo l’altro e fidarsi, sapere che non ti verrà mai addosso con il suo aquilone».

Tanta perizia è dunque quel che serve per dar vita a ciò che sembra un semplice pezzo di stoffa sintetica fissato su un telaio leggero che prende il volo con il vento. Proprio come vuole la filosofia che sta dietro a ogni gioco, il quale, al di là dell’apparente aspetto ludico, è sempre ben più che un passatempo, un divertimento, trasformandosi in un qualcosa che ti insegna, che ti educa, che ti lega al passato e alle tradizioni.

Continuando a girovagare sulla spiaggia, in mezzo a gruppi di ragazzi che ridono e bambini che corrono a piedi nudi, il suono del vento viene smorzato da quello che sembra il suono di un trombone. E anche questo arriva dall’alto. Sono degli aquiloni strani, a cui è stato aggiunto una specie di flauto. E così, quando volano tutti insieme in alto, il vento che li solleva e li fa muovere, passa anche attraverso questi strumenti che emettono delle note, sempre le stesse, un lungo fischio baritonale. All’altro capo di uno dei fili c’è Dung, un giovane vietnamita che si diverte come un bambino. È bravo a far volare l’aquilone, a tenerlo in quota e a farlo suonare di continuo. Dopo un po’, con delicatezza inizia a raccogliere la fune e quando il suo aquilone è a terra mi racconta che è sì vietnamita, ma vive in Italia da tanto, e viene sempre qui, tutti gli anni. La passione per l’aquilone gli è stata tramandata da suo nonno. Quando era piccolo, prima di venire in Italia con i genitori, passava giornate intere correndo per le strade del suo quartiere di Saigon a far volare aquiloni. E ogni volta che si rompeva, suo nonno lo riparava e gli insegnava i trucchi per volare sempre più in alto: «Era un vero maestro degli aquiloni». E Dung, anche oggi che è diventato ingegnere, continua a mettere in pratica gli insegnamenti del nonno. «Anche a Ho Chi Minh in primavera si riempie di colori che volano nel cielo – racconta Dung – è una forma di arte popolare per noi vietnamiti». Poi, scusandosi, si allontana per aiutare una ragazza che non riesce a far prendere il volo alla sua armatura leggera avvolta nella carta.

È eterogenea la grande quantità di partecipanti ad Artevento. E se da una parte un gruppo di ragazzi si impegna a montare una struttura super leggera in stecche di carbonio e tela di nylon super tecnologico per allestire un aquilone a tre piani, poco più avanti una coppia di anziani è abbracciata mentre guardano verso il cielo il loro grande aquilone di colore rosso e a forma di diamante che sembra quasi immobile. Ogni tanto il vento lo fa sbandare un po’ a destra o a sinistra per poi tornare nella posizione iniziale, come un pesce fermo nell’acqua contro corrente. Accanto a loro due sedie a sdraio e una piccola tenda che serve da ripostiglio per l’attrezzatura. Rimangono così per un po’ abbracciati, in piedi, fermi, sussurrandosi parole e stringendosi ogni tanto un po’ più forte.

È tardo pomeriggio, qui a Cervia, e il vento non smette di soffiare. Il cielo è sempre più invaso dai colori di questi oggetti volanti, grandi, piccoli, alcuni con le forme di animali altri invece come ali di vecchi aerei. Aquiloni che a volte sembra quasi che vogliano rompere il filo per guadagnarsi una loro propria libertà, su in alto, tra le nuvole. Mentre i manovratori, a terra, sembrano tanti burattinai che muovono i fili dei loro pupazzi. Un teatro dei pupi, dove il cielo fa da palcoscenico.

La musica accompagna ancora le esibizioni acrobatiche mentre sul bagnasciuga i bambini, aiutati dai genitori, provano a imitare i professionisti cercando di far volare i loro aquiloni, senza grandi risultati. Ma l’importante è divertirsi e le loro risate sono la conferma di come un gioco semplice e antico possa ancora dare gioia e felicità.