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Sdraiati sulla sabbia fina a contare le stelle
Reportage - Da incantato paesaggio lunare a set cinematografico è finito per essere meta del turismo di massa: il deserto di Wadi Rum va protetto oggi più che mai
Luigi Baldelli, testo e foto
«È pulito». Così rispondeva Lawrence d’Arabia quando gli domandavano perché l’attraeva così tanto il deserto. In particolare si riferiva al Wadi Rum, anche detto la Valle della Luna: deserto nel sud della Giordania che ospitò le imprese del militare e scrittore britannico a capo della rivolta araba durante la dominazione ottomana a inizio Novecento. Ma il Wadi Rum non è per fortuna attraente solo perché pulito, anzi, oggi meno che mai per questo.
Il deserto di Wadi Rum attrae e ammalia con la sua bellezza, la sabbia fina e rossa e le rocce di arenaria, che si alzano come torri in mezzo al deserto. Affascina con il suo colore arancione acceso del mattino quando sorge il sole, per trasformarsi in bianco e rosso incandescente durante la giornata, diventare rosa al tramonto e azzurro e viola prima dell’arrivo della notte.
Con i suoi 74mila ettari di estensione, questo deserto è oggi un’area protetta, e dal 2011, sito dell’Unesco e patrimonio dell’umanità, attestazione che certifica un «fenomeno naturale superlativo di straordinaria bellezza». La Valle della Luna è sempre stata crocevia di genti e culture. Già 8mila anni prima di Cristo, qui c’erano insediamenti umani, di cui ancora oggi si possono osservare incisioni rupestri sulle pareti rocciose.
Nel IV secolo Avanti Cristo le sue dune erano calpestate dai nabatei, popolo di commercianti dell’epoca (a loro si deve anche la costruzione della città di Petra, sempre in Giordania). Per il loro spessore culturale e storico, questo popolo rappresenta una rilevante e antica civiltà che ha saputo adattarsi e sfruttare al meglio il deserto di Wadi Rum, fondamentale per la loro evoluzione e prosperità. Negli anni seguenti, altre carovane di cammelli qui si incrociavano, di ritorno dalla città sul mare di Aqaba o diretti verso la Siria o il Libano, facendo diventare questo deserto uno dei più importanti centri geopolitici ed economici durante il II e I secolo a.C. Da qui passava anche la famosa Via dell’Incenso, che collegava l’Arabia meridionale con il Mediterraneo.
Oggi, i nabatei hanno lasciato il posto ai beduini, che ancora abitano il deserto risultando un elemento significativo della cultura giordana. Anche i beduini, come i loro antenati, si sono adattati e modellati al clima arido e ai tempi del deserto, facendolo diventare casa loro. Popolo nomade, i beduini hanno sviluppato abilità straordinarie per trovare risorse in queste distese di sabbia e rocce, sopravvivendo a una vita dura e a un clima difficile, spostandosi stagionalmente nei vari pascoli dove si trovano acqua e cibo per il loro bestiame, scegliendo di trascorrere i mesi estivi nel nord del Paese mentre il periodo invernale nel deserto meridionale; portandosi sempre dietro le loro tende di pelo di capra. Il loro legame con il deserto è profondo e unico, così come le loro antiche tradizioni.
Studi geologici ci dicono che il deserto di Wadi Rum ha iniziato a formarsi nell’era geologica del Cambriano grazie all’erosione di un fiume che per millenni ha intaccato la roccia e scavato la sabbia. La conformazione del paesaggio che oggi appare ai nostri occhi lo rende decisamente unico: le rocce di arenaria stratificata, modellate durante i millenni dal vento, creano forme strane, che la fantasia ci porta a fare assomigliare a funghi, cupole, ponti, animali mitologici, figure umane. Questo ambiente così «fantascientifico» è stato la scenografia naturale di tante produzioni cinematografiche, soprattutto perché ricorda la superficie del pianeta Marte. Basti ricordare, per citarne alcuni, Pianeta Rosso, The Last Days on Mars o il kolossal di Ridley Scott The Martian.
«Vasto, echeggiante e simile a una divinità». È sempre Lawrence d’Arabia, nella sua autobiografia I sette pilastri, a descrivere con queste parole il Wadi Rum, sua casa per più di vent’anni e che lui ha attraversato in lungo e in largo a piedi o a dorso di cammello.
Quando ci si siede su una duna o all’ombra di una roccia e si spinge lo sguardo nel vasto infinito, non è difficile pensare a questo mare di sabbia come a una divinità, un luogo di culto che ti porta a un raccoglimento e alla meditazione, che ti spinge a domande che forse non troveranno mai una risposta, che ti ricorda quanto sia maestosa la natura e quanto sia piccolo l’uomo.
Ti ammonisce e ti impressiona al mattino presto, quando il chiarore azzurro dell’alba lascia spazio ai raggi del sole che sorge maestoso da dietro le montagne e la luce arancione piano piano invade l’ambiente intorno. Il tempo sembra fermarsi e si guarda ipnotizzati l’astro che sale piano verso il cielo. Sembra un tempo lungo, ma sono solo pochi minuti e la bellezza intorno si svela sempre di più con l’aumentare della luce, lasciando spazio a meraviglia e incanto. Una divinità che ti ricorda che il Wadi Rum può essere cattivo e violento nelle ore roventi del giorno, quando il caldo lo rende infernale e la ricerca di un luogo ombroso è l’unica cosa che può portare sollievo mentre la caligine trasforma le rocce intorno in statue tremolanti e la foschia limita la vista verso l’infinito. Ma diventa invece una divinità accogliente, la sera, prima del tramonto, quando le brezze portano refrigerio, la luce diventa ovattata, di un colore blu intenso come il mantello di un mago, le ombre si allungano e le rocce piano piano si immergono nel buio. La notte è solo silenzio e le stelle sembrano a portata di mano.
Tutta questa bellezza non poteva certo rimanere nascosta e oggi il deserto di Wadi Rum è solcato da turisti, ci sono strutture alberghiere simili a camping di lusso (è vietato realizzare case in muratura all’interno dell’area protetta) e viavai di jeep che portano in giro i visitatori nelle zone e nei luoghi più interessanti. Il turismo è la più importante fonte di reddito per la popolazione locale, ma viene anche da domandarsi che impatto abbia sul deserto e sulla sua gente. I beduini sono sempre stati autosufficienti, fa parte del loro stile di vita. Gli animali hanno sempre fornito carne, latte o lana. Le tecnologie moderne aiutano, come ad esempio i pannelli solari. Ma se pensiamo alla quantità di rifiuti che vengono lasciati dai tantissimi turisti, questo diventa certamente un problema. Perché non è facile smaltirli, bisogna caricarli sulle auto e portarli al villaggio più vicino. Mentre a volte vengono abbandonati lungo le strade sterrate.
Analoga preoccupazione possiamo averla per l’acqua, che è la chiave per sopravvivere nel deserto. Perché se i beduini nomadi sostano nel Wadi Rum solo nei piovosi mesi invernali, dove c’è più acqua e la vegetazione per gli animali è più abbondante, per chi vive tutto l’anno nel deserto la conservazione dell’acqua è essenziale. Ma chiaramente tanti turisti significa anche più richiesta di acqua.
Altro danno collaterale prodotto dal turismo di massa sviluppatosi negli anni che hanno preceduto il coinvolgimento delle comunità locali, è stato addirittura lo spostamento del villaggio di Rum, riadattato più lontano, per trasformare quello esistente in sito turistico, il tutto senza consultare gli abitanti.
Da ciò la conferma che il turismo nel Wadi Rum è un’arma a doppio taglio: pur essendo una fonte di reddito, non è interamente sostenibile. Anche perché comporta cambiamenti culturali e di stile di vita. Ad esempio, molti beduini hanno abbandonato l’allevamento degli animali per diventare guide turistiche, lavorare nei lodge e nei ristoranti, legando la loro esistenza all’andamento del turismo stesso (non dimentichiamo che la Giordania, anche se è un luogo attualmente piuttosto pacifico è circondata da aree e Paesi con forti tensioni, come Siria, Israele, Libano che comportano periodicamente cali di turismo ogni volta che le ostilità esplodono).
Al di là dei vantaggi economici, oggi il sito è sotto osservazione per quanto riguarda l’impatto ambientale. Basti pensare che l’aumento del turismo ha significato l’incremento di strade, linee elettriche, alberghi, auto. Quindi lo sforzo deve essere rivolto verso la conservazione dell’area con pratiche turistiche sostenibili che consentano una qualità di vita ottimale per gli abitanti e divertimento per il visitatore, preservando allo stesso tempo il paesaggio per le future generazioni di visitatori e abitanti.
La sera, avvolti dal silenzio del deserto, i pensieri si fanno più chiari e ci si guarda intorno, spaesati e impressionati da tanto spazio, a contemplare le stelle che si accendono e le rocce che diventano blocchi neri confondendosi con la sabbia. Piano piano ci si lascia cullare e trasportare verso le dune. E tutto sembra tornare quello di sempre, quello che il Wadi Rum era mille e passa anni or sono.
L’immaginazione e la fantasia fanno inventare tende di beduini circondate dalle mandrie di cammelli, uomini attorno al fuoco e voci che raccontano leggende e storie fiabesche. Al risveglio sale un po’ di malinconia, pensando che bisognerà lasciare questo posto unico, dove bellezza, natura, storia e favole si uniscono e si intrecciano in un racconto unico.