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La storia dimenticata dei nativi Montaukett

La stragrande maggioranza della popolazione di Montauk è oggi costituita da bianchi. Nulla, o quasi, resta dello straordinario popolo dei Montaukett, i primi abitanti di queste lande da cui la cittadina prende il nome. Di lingua algonchina, la tribù era originaria di Long Island, oggi nello Stato di New York. I Montaukett erano dediti alla caccia, alla pesca, all’agricoltura e all’allevamento. Ma furono anche abili produttori di wampum, le collane di conchiglie o perline di vetro usate dagli indigeni anche come moneta di scambio.

Del passato nativo di Montauk rimane traccia solo nel locale Indian Museum. Pochissimi i discendenti in vita. Tanti altri sono emigrati nelle riserve del nord-est americano. Da anni i nativi lottano, senza successo, per il riconoscimento della «Montaukett Indian Tribe», dichiarata estinta nel 1910. Gli attivisti vorrebbero ribaltare proprio questa sentenza, scritta dalla Corte Suprema dello stato di New York. L’ultima batosta, però, è arrivata alla fine dello scorso anno, quando, seguendo le orme del suo predecessore Andrew Cuomo, la governatrice New York, Kathy Hochul ha imposto il veto su una proposta legislativa presentata dal deputato dello Stato di New York Fred W. Thiele, che avrebbe finalmente rimesso sulla mappa i Montaukett. La strada verso il riconoscimento legale è ancora in salita.


Surfisti e spiagge selvagge a due passi da New York

Reportage - Montauk è un villaggio di pescatori, incastonato come una gemma nel punto più estremo della penisola di South Fork di Long Island, dove si trovano anche gli Hamptons
/ 13/11/2023
Manuela Cavalieri e Donatella Mulvoni, testo e foto

Il treno della vecchia Long Island Rail Road corre verso est, lasciandosi alle spalle la frenesia di Manhattan, la folla in corsa perenne, la miscela convulsa di odori, il frastuono di clacson e parole. Man mano che il convoglio si avvicina alla costa frastagliata, il panorama che si dispiega al finestrino toglie il fiato. Una dopo l’altra, si succedono le magnifiche cittadine marine conosciute come «Hamptons».

I newyorkesi chiamano «The End» lo spettacolo di mare azzurro e cielo terso che accoglie l’ultima fermata. La fine. Su queste spiagge, le onde dell’Atlantico si infrangono «selvagge e inquiete», come le descriveva alla fine dell’Ottocento Walt Whitman, che meglio di tutti riuscì ad afferrare il canto di Montauk. Una melodia cadenzata da un «desiderio incessante e irresistibile, in cerca per sempre delle rive».

Un villaggio di pescatori, incastonato come una gemma nel punto più estremo della penisola di South Fork di Long Island: è questa Montauk. Per le quattromila anime che vivono qui, la vita scorre lenta, immersa in una bellezza assoluta.

Al di là del turismo di massa

Almeno dopo la stagione turistica che tradizionalmente negli Stati Uniti viene inaugurata con il Memorial Day, a fine maggio, e si conclude con quello del Labor Day, agli inizi di settembre. In quel periodo la popolazione decuplica. Ecco perché i locali consigliano di visitare Montauk a ottobre, quando le giornate sono ancora miti, i prezzi degli hotel un po’ più ragionevoli e, soprattutto, gli schiamazzi dei turisti solo un ricordo. Lo raccomanda anche Brian Harris, che in verità scappa a Montauk da New York ogni volta che può. Bastano poco più di due ore e mezza per percorrere i circa centonovanta chilometri che separano l’ipereccitazione della metropoli dalla magia di dune costiere e macchie di arbusti carezzate dai venti dell’Oceano. «Montauk è diventata negli ultimi anni molto popolare. Per tre mesi è affollatissima. Ma se ci andate fuori stagione, troverete una città fantasma».

Il villaggio della Metropoli

Un nativo di Manhattan, Harris, ha «scoperto il mare pulito e la natura incontaminata di Montauk. E ci ho costruito una casa». Durante la settimana lavora in finanza, nel weekend corre negli Hamptons, nella sua cittadina di adozione. Qui è il presidente della storica «Montauk Beach Property Owners Association» che agglomera i proprietari di immobili. Harris ha fatto di questi luoghi la sua missione. Ama la cittadina e la protegge dall’urbanizzazione sfrenata. L’imperativo è rispettarne il carattere, pur senza sbarrare il passo al nuovo che avanza. Harris rappresenta il mix contemporaneo di questa terra, in equilibrio tra vecchio e recente.

«A mio avviso è la più bella dell’area», afferma. Non a caso la chiamano la perla degli Hamptons. Adorata, sin dalla fine dell’Ottocento, anche da artisti e scrittori che si ritiravano dalla vita cittadina per soggiornare in piccole case di legno affacciate sul mare. Un modo per cercare ispirazione e stimolare la creatività.

Le villette di legno ci sono ancora. Color crema, grigie, oppure colorate d’un azzurro intenso che si smorza nel bianco della sabbia che le circonda. «Credo che Montauk piaccia a molte persone, compresa qualche celebrità, perché in fondo resta una città di pescatori. La gente va in giro in t-shirt. Non è il Lago di Como, insomma. Nessuno si mette in ghingheri. Ci sono molti colletti blu della classe operaia». L’atmosfera è completamente rilassata.

La brezza dell’Atlantico

Guidando lungo queste strade, a finestrino rigorosamente abbassato, quella che si respira è una sensazione di benessere, di armonia. La stessa che in qualche modo è declinata in ogni angolo della città. «È per via dell’odore dell’Oceano – dice Harris – si sente ovunque a Montauk». Da gustare a boccate lente e profonde, lasciando che la brezza dell’Atlantico dischiuda il suo potere taumaturgico. «Certamente il punto forte è il mare con le spiagge della baia. L’acqua è molto pulita, cristallina, perché ci troviamo alla fine di una lunga penisola». Non è un caso se le spiagge di Montauk compaiono spesso nelle classifiche delle più affascinanti d’America, compresa la Top Ten Beaches pubblicata da Stephen Leatherman, meglio noto come Dr. Beach. Ce n’è addirittura una, la Sunset Beach, famosa specificamente per gli spettacolari tramonti.

Esodi e migrazioni

Quando è arrivata «la peste», come Brian Harris ricorda la pandemia, la casa a Montauk è diventata il suo rifugio. «Come me, molti newyorkesi sono fuggiti qui negli Hamptons». Un esodo che però ha portato a un aumento esponenziale dei prezzi. «È cresciuta anche la popolazione scolastica, visto che tanti dei nuovi arrivati hanno mandato i figli a scuola qui».

In realtà, spiega Harris, le «migrazioni» di nuovi abitanti sono piuttosto cicliche. «Ogni sette, otto anni, c’è un’ondata di gente nuova che sceglie gli Hamptons. L’ultima è stata quella degli impiegati del settore della tecnologia, con tanti soldi a disposizione. Prima di loro, gli investitori di Wall Street».

Unico comun denominatore, l’attrazione per un luogo facile da raggiungere eppure, in qualche modo, indomito. «A Montauk, oltre il 60% del territorio è costituito da riserve. Si tratta di parchi protetti dello Stato di New York, della Contea di Suffolk o dal distretto di East Hampton», precisa. Chiunque ami la vita all’aria aperta non rischia delusioni: oltre ai numerosi parchi visitabili, ci sono chilometri di spiagge e spazi per praticare kayak e surf. Degno di nota il Montauk Point State Park, che accoglie una nutrita famiglia di animali selvatici come foche, tartarughe e uccelli marini. C’è anche un ranch per gli appassionati di equitazione, il Deep Hollow, che addirittura è il più vecchio ancora in attività a livello nazionale.

Prima di tutto, il surf

Per gli americani che vivono nella East Coast, Montauk è però prima di tutto surf. E sono proprio le famose tavole di legno colorate, sistemate sui tettucci delle macchine, appoggiate sulle pareti dei bar, distese sulla spiaggia o nei giardini delle case, a rendere l’aria di questa cittadina allegra e famigliare. Quella dei surfisti è una tribù di persone che si svegliano all’alba, alla ricerca dell’onda perfetta, e si ritrovano insieme a prendere una birra in costume, nei vari localini costruiti in legno, con ampi spazi all’aperto, dislocati lungo la spiaggia o nelle vie del centro. Basta un cenno di saluto con la mano per attaccare discorso, per diventare amici, anche solo per una sera. È il potere del mare e dell’amore per questo sport. L’industria – con tutto l’indotto legato ai negozi attrezzati, luoghi di ritrovo e alloggi – è senza dubbio uno dei principali motori dell’economia.

Montauk lega il suo nome a questa pratica sin dagli anni Sessanta. «Tutto merito della posizione geografica – chiarisce Harris – Qui è possibile catturare centinaia di tipi diversi di onde. Se amate il surf, questo è il posto per voi». Nei mesi estivi la spiaggia prediletta, nota come Ditch Plains, è completamente satura di principianti e professionisti arrivati fin qui con tavole e mute da tutta America. In verità sono tante le opzioni disponibili, incluse le spiagge di South Edison, Culloden Point, Gin Beach e, in particolare, Turtles, che offre una possibilità di divertimento anche agli atleti meno esperti. I cavalloni sono molto meno tumultuosi e non spaventano gli sportivi alle prime armi.

La sorella piccola

A lungo Montauk è stata la sorella piccina dei luoghi appuntati sui taccuini dell’élite. Lontana dal lusso delle vicine località della «riviera», come Southampton, Bridgehampton o East Hampton. Mete predilette di businessman e vip che d’estate si rintanano in country club e ville da sogno con spiaggia privata, discesa a mare e yacht d’ordinanza. Da Madonna a Jay-Z e Beyoncé, da Robert De Niro a Sarah Jessica Parker, la prima fila dello star system americano passa parte delle vacanze nelle mansion (dimore) degli Hamptons.

Per generazioni, di contro, il villaggio si è ostinatamente aggrappato alla sua autenticità senza cedere alle sirene dell’opulenza. Pochi milionari, tanti lavoratori. Negli ultimi vent’anni anni, però, le certezze dei puristi, hanno iniziato inesorabilmente a sgretolarsi. Sì, perché i meravigliosi vialetti della cittadina e il boulevard della Main Street si sono popolati di negozietti chic. A tenere banco, immancabili rivenditori di souvenir, caffè di tendenza, boutique eleganti e gallerie d’arte.

Tra passato e futuro

Qualcuno, non senza storcere il muso, la definisce «nuova Montauk», un’evoluzione che poco aggrada agli abitanti che chiamano casa queste rive da generazioni. Tra le new entry, la più nota è Surf Lodge, club amatissimo dai turisti e dai residenti stagionali, incluse le star. Meno frequentato dai residenti, che si rifugiano nei bar storici. Come la Shagwong Tavern, che dal 1936 è il «watering hole» come dicono gli americani, l’abbeveratoio della gente del posto.

Tra gli effetti collaterali dell’era contemporanea, senza dubbio la colossale confusione che irrimediabilmente accompagna le folle. E l’intasamento delle strade in alta stagione. Un esempio per tutti è quello delle code chilometriche da accettare stoicamente per vedere il faro di Montauk, il monumento forse più iconico della cittadina. Risale al 1796 ed è il più antico dello Stato di New York, il quarto degli Stati Uniti. A volerlo fu il presidente George Washington in persona. Il panorama che regala sull’Oceano Atlantico è lo sfondo perfetto di selfie e cartoline.

Fuga dal caos

«Non c’è nulla che i locali odino più del traffico» racconta Harris. «Effettivamente gli intasamenti estivi sono un inferno». Tanto che, rivela, c’è chi addirittura sceglie di emigrare. «Non ci crederete, ma molte persone nate e cresciute qui, affittano le loro abitazioni d’estate per due mesi e vanno a vivere altrove. Altre, arrivate all’età della pensione, fanno i bagagli e traslocano in qualche posto più tranquillo della Florida».

Colpa di una urbanizzazione che sta rischiando forse di sfuggire di mano. Il processo ebbe inizio nella prima metà degli anni Venti del secolo scorso, quando l’imprenditore Carl Fisher fiutò le potenzialità di Montauk e mise mano a un progetto urbano ispirato alle spiagge turistiche di Miami Beach a cui lui stesso aveva lavorato. Non andò bene, perché le sue ambizioni cozzarono contro la crisi finanziaria del ’29 e la Grande Recessione. Resta, però, il Montauk Manor, che oggi completamente ristrutturato ammicca all’attuale clientela benestante. L’unica a potersi permettere di sfogliare il portfolio di un immobiliarista. Oggi pensare di comprare una casetta per godersi le vacanze è impresa praticamente impossibile per i comuni mortali. Per un piccolo cottage con la famigerata «ocean view» ci vogliono oltre due milioni di dollari. E non stiamo certo parlando di ville. I più si accontentano di affittare un alloggio per un paio di settimane, oppure optano per hotel e motel da prenotare con abbondante anticipo, soprattutto nelle aree popolari tra i surfisti.

La cucina di mare

I mari di Montauk non sono paradisiaci solo per chi cavalca onde. Sono sacri anche per chi ama la buona cucina. Le acque al largo, infatti, sono notoriamente molto ricche. «Il pescato è semplicemente magnifico», conferma Brian Harris. Dalle aragoste ai granchi, ma anche vongole, ostriche. E poi pesce azzurro, spigole, tonno e merluzzo. «La maggior parte degli abitanti del luogo – ci dice – preferisce comprare il pesce fresco per cucinarlo direttamente a casa, senza andare al ristorante».

Non che non ce ne siano di ottima qualità in giro, assicura. Ed effettivamente la scena culinaria è vibrante e molto variegata. Ce n’è per tutti i gusti e soprattutto per tutte le tasche. I palati più esigenti si danno appuntamento al – costoso – Gurney’s Montauk Resort & Seawater; ma si mangia benissimo anche a Dock, Inlet Seafood o Gosman’s. Mentre prodotti freschissimi sono disponibili al Montauk Farmers Market.

Gli appassionati di birre artigianali, invece, affollano la Montauk Brewing Company, popolarissima sia tra i visitatori stagionali sia tra gli oriundi. «Come as you are», venite così come siete, recita il motto della birreria. E sembra quasi voler conciliare – con un bel paio di boccali gelati – l’incontro tra le due anime di Montauk, quella turistica e quella locale.