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La macchina da guerra romana

Lungo 117 km, 80 miglia romane, il Vallo di Adriano era scandito da quattordici forti principali, ottanta minori e due torri di avvistamento ogni terzo di miglio. Oltre al muro vero e proprio prevalentemente di pietra, alto circa cinque metri e spesso fino a tre che diventavano sei nei tratti in terra, il Vallo era rafforzato da un fossato irto di pali appuntiti, da una strada militare che collegava i forti e permetteva di raggiungere rapidamente qualsiasi punto e da un profondo terrapieno, il Vallum.

I forti, a pianta rettangolare, variavano nelle dimensioni a seconda dell’importanza della guarnigione, uno schema ripetuto con lievi differenze lungo tutto il limes che proteggeva i confini dell’impero. Un fossato e un muro intervallato da torri proteggevano il perimetro e ogni lato aveva una porta protetta da due massicce torri. All’interno c’erano il quartier generale, principia; il praetorium dove risiedeva il praefectus castrorum, cioè il comandante; le caserme; un ospedale; magazzini e latrine, generalmente sotto le mura, mentre i bagni erano esterni alle fortificazioni.

Nel granaio venivano conservate le derrate alimentari per affrontare i rigidi inverni o eventuali assedi, e nel Vicus, l’insediamento civile, vivevano le famiglie dei soldati, spesso ausiliari che ufficialmente non potevano sposarsi. In questi villaggi cresciuti spontaneamente intorno ai forti abitavano anche mercanti, artigiani e prostitute, attratti dalle paghe dei soldati. C’erano anche templi dedicati a divinità romane, locali e persino orientali che rispecchiavano le differenti religioni di soldati provenienti da tutto l’impero perché i romani erano molto tolleranti a patto che non venissero messi in discussione l’ordine sociale e l’imperatore.

Le guarnigioni

Il Vallo era difeso da circa novemila uomini con vexillationes in ogni forte, reggimenti misti di fanteria e cavalleria che contavano da cinquecento a mille uomini. Provenivano da ogni popolo dell’impero, dall’Iberia alla Dacia e alla Siria e comprendevano persino battellieri dell’Iraq nei porti di rifornimento.

I legionari dovevano pagarsi il cibo e l’equipaggiamento militare che comprendeva tunica, bracae che arrivavano al ginocchio e calzari di cuoio, caligae. La corazza era a strisce metalliche, lorica segmentata, a maglie, lorica hamata, o di lamine, lorica squamata per i centurioni, lamelle di metallo che ricordavano lo squame di un pesce. Oltre alla cintura, cingulum, i legionari indossavano un corpetto, subarmalis, tra tunica e corazza, e dei mantelli, dal sagum rettangolare al paenula semicircolare, mentre il paludamentum rettangolare era riservato agli ufficiali.

Le armi, oltre a una spada corta, gladium, comprendevano un coltello, pugium, un giavellotto, pilum, e uno scudo, rettangolare, scutum.


Il Vallo di Adriano e la barbarica minaccia del clima distruttivo

Reportage - Un impressionante capolavoro di ingegneria militare costruito lungo aspri saliscendi che attraversano lo spazio e la storia a cavallo tra Inghilterra e Scozia
/ 23/10/2023
Enrico Martino, testo e foto

Il vecchio muro scolpito per quasi duemila anni dal vento e dalla pioggia scavalla colline, si immerge in una brughiera per riaffiorare improvviso tra le lame di luce di un bosco, una presenza carsica che sembra assorbire l’energia del paesaggio per sfidarne la gravità, e la logica, in un ottovolante di aspri saliscendi che attraversano lo spazio e la storia.

Il Vallo di Adriano non è più Inghilterra ma non è ancora Scozia, anche se a nord la terra sembra più selvaggia; ma forse è solo uno stato mentale di chi lo guarda, sottilmente alterato dall’emozione di calcare le stesse pietre su cui camminarono i legionari romani. In realtà a differenza di quello che molti credono il Vallo è all’interno del territorio inglese, anche se ha contribuito a definire i confini dei due Paesi da quando l’imperatore da cui prende il nome ordinò nel 122 dopo Cristo la sua costruzione per «separare i romani dai barbari», le tribù ostili dei Pitti che popolavano l’odierna Scozia, un osso duro anche per le legioni romane.

Per realizzarlo, in soli sei anni, vennero impiegati circa quindicimila uomini, tre legioni che affrontarono le sfide di un terreno scelto con attenzione per utilizzarne i vantaggi. Il risultato è un impressionante capolavoro di ingegneria militare, Patrimonio UNESCO dal 1987, esteso da una costa all’altra dell’Inghilterra per ottanta miglia romane, circa centodiciassette chilometri da Solway Firth a ovest e Wallsend a est, uno dei tanti toponimi legati alla sua esistenza, per poi prolungarsi verso sud con porti e fortificazioni costiere.

Per circa tre secoli, il Vallo di Adriano diventò il confine più settentrionale e fortificato del limes romano, un gigantesco sistema difensivo esteso per oltre cinquemila chilometri, dalla costa atlantica della Gran Bretagna al Mar Nero attraversando l’Europa, per poi proseguire nell’attuale Medio Oriente fino al Mar Rosso e da qui tagliare l’Africa del nord fino all’Atlantico.

Diciannove secoli dopo, il Vallo deve fronteggiare una minaccia più pericolosa e insidiosa dei barbari: il cambio climatico. «Le torbiere si stanno prosciugando e i resti organici protetti per secoli nelle paludi prive di ossigeno rischiano di essere distrutti, e quando accadrà manufatti in legno, pelle e tessuti sepolti in profondità andranno persi per sempre. In aree così sensibili bastano piccoli sbalzi di temperatura per danneggiare irreparabilmente tutto quello che è ancora nascosto sotto i nostri piedi, perché meno dell’uno per cento del Vallo è stato scavato», per l’archeologo Andrew Birley, direttore degli scavi del sito di Vindolanda, si tratta di una corsa contro il tempo.

«Agendo ora si può fare la differenza. I dati raccolti nel prossimo decennio rivoluzioneranno la nostra capacità di monitorare la salute dell’archeologia lungo il Vallo e gestire gli effetti dei cambiamenti climatici. I dati raccolti potranno fornire gli strumenti per prevedere ciò che potrebbe accadere e sviluppare strategie di gestione per preservare questo patrimonio, così da trasmetterlo alle generazioni future». Il professor Birley sa quello che dice perché proprio a Vindolanda, uno dei più importanti siti archeologici romani, migliaia di documenti e oggetti hanno rivelato per la prima volta la vita quotidiana delle guarnigioni lungo il Vallo.

Giocattoli di legno, scarpe finemente lavorate, equipaggiamenti militari e strumenti di lavoro, tutto un mondo sta tornando in vita. I ritrovamenti più spettacolari però sono migliaia di sottili scaglie di legno ricoperte di messaggi in latino, le Vindolanda Writing Tablets. Sopravvissute miracolosamente a un incendio e quasi tutte conservate al British Museum, raccontano la vita lungo il Vallo e le relazioni con i brittunculi, come i soldati chiamavano con disprezzo i locali. C’è persino uno dei più antichi esempi di una donna che scriveva in latino, un invito di compleanno vecchio di quasi duemila anni, «Ti aspetto sorella, amata sorella, anima a me più cara, con auguri di prosperità e salute».

«Le Vindolanda Tablets sono la scoperta più importante perché le pietre non hanno parole, le tavolette invece parlano di sogni, di speranze, di dolori, di progetti. Da loro possiamo estrarre informazioni molto più affidabili rispetto ad altri documenti storici perché non vogliono impressionare nessuno o mentire alle generazioni successive» sorride il professor Birley. «Noi cerchiamo nella spazzatura come fanno spesso gli archeologi e dopo cinquant’anni non abbiamo scavato neanche il quindici per cento del sito ma già oggi la visione tradizionale di un mondo diviso tra romani e britanni, o tra uomini e donne, è completamente superata. Vindolanda era un forte ma anche un insediamento dove viveva chiunque avesse qualche relazione con l’esercito (donne e bambini): c’erano più soldati in città che nelle caserme, sposati o no perché chiunque si trovava una compagna o un compagno. Nella Britannia romana c’erano trentacinquemila soldati, ma la comunità militare comprendeva ottantamila persone, uomini, donne, bambini, schiavi e servitori che spendevano e arricchivano l’impero senza che l’imperatore dovesse pagare tutti. La nostra sfida è comprendere questo modello economico perché il Vallo di Adriano era certamente una barriera, ma a un livello più sofisticato perché serviva a controllare chi andava dove e a fare cosa. I romani avevano creato una zona militare profonda quasi centocinquanta chilometri, una situazione che ricorda la zona cuscinetto tra le due Coree. Lungo il Vallo possiamo imparare molto di più che in ogni altra frontiera romana, non perché non esistano altrettante evidenze altrove ma perché in quest’area abbiamo il vantaggio di un lavoro sistematico di conservazione».

Proprio mentre il dottor Birley sta per annunciare l’improrogabile ora del tè ai volontari, che ogni anno arrivano da tutto il mondo per partecipare agli scavi, una scarpa riemerge nell’entusiasmo generale dalla torba a pochi metri di distanza, intatta dopo quasi duemila anni.

Ancora oggi però «il più importante monumento costruito dai romani in Britannia», come lo ha definito English Heritage, riserva molte altre sorprese, e persino enigmi inquietanti molto diversi dall’immagine ideale di una civiltà. Proprio a Vindolanda, non molto tempo fa, gli archeologi hanno scoperto la sepoltura clandestina di un bambino, o di una bambina, fra gli otto e i dieci anni sotto una caserma romana. Anche se è difficile fare supposizioni, questo ritrovamento fa pensare a qualcosa di drammatico perché le mani erano legate e non c’erano vestiti vicino allo scheletro.

Le testimonianze più importanti si trovano però tra Walltown e Sewingfields Crags dove il Vallo segue il Whin Sill, un avvicendarsi di scenografiche colline di rocce magmatiche che a nord precipitano sulle brughiere. Altrove invece lunghi tratti sono ridotti a poche povere pietre sparse, perché solo nel 1830 John Clayton, un collezionista di Chesters, iniziò a comprare terreni per impedire che i contadini continuassero a utilizzarlo come cava, e finanziò scavi e restauri pubblicizzando il Vallo in tutta l’Inghilterra.

Era l’inizio della travolgente fama del «Grande Muro dei Pitti» come lo ribattezzò Rudyard Kipling nei suoi racconti per ragazzi che avevano come protagonista Puck of Pook’s Hill, un folletto che conosceva i segreti di queste colline. Molto più recentemente lo scrittore americano George Martin ha ammesso di essersi ispirato al Vallo di Adriano per la Barriera, la fortificazione di ghiaccio, neve e pietra di Game of Thrones (Il trono di spade) attraendo una nuova fauna di visitatori.

Presente nel videogioco Total War e segnalato come luogo sacro nei siti dei neodruidi, il Vallo è diventato anche una location di Robin Hood, principe dei ladri grazie a Kevin Costner che gigioneggia davanti a un iconico sicomoro (di recente abbattuto) diventato l’albero più fotografato del Regno Unito. Sono solo gli ultimi capitoli, per ora, di quello che originariamente doveva chiamarsi Vallum Aelium, da Aelius nome della famiglia di Adriano.

Dopo soli venticinque anni dalla sua costruzione i romani decisero di spostare il confine ancora più a nord su una linea difensiva più corta, il vallo Antonino, ma la feroce resistenza dei Pitti li convinse rapidamente a ritirarsi sulla vecchia frontiera.

Paesaggi spettacolari, importanti siti archeologici, la sfida di un terreno e di una meteorologia difficili, sono molti i motivi per camminare lungo i centotrentacinque chilometri dell’Hadrian’s Wall Path, un sentiero pubblico che attraversa l’Inghilterra da una costa all’altra. «Prima del 2003, se volevi vedere il Vallo dovevi pagare perché ai farmers interessano solo i soldi» ride Les Gibson nel suo B&B ricavato da una vecchia stazione telefonica a poche centinaia di metri dal Vallo.

Molti completano il percorso in una settimana e i più esperti viaggiano da ovest verso est, «meglio avere la pioggia e il sole del pomeriggio alle spalle piuttosto che in faccia». Lungo il percorso i metal detectors sono illegali e c’è un galateo da seguire, evitando di camminare in fila indiana per non creare trincee che lasciano esposte le fondamenta o calpestando dossi che potrebbero nascondere testimonianze archeologiche. Nonostante queste precauzioni il Vallo di Adriano, sopravvissuto ai barbari, rischia di soccombere davanti ai numeri del turismo perché il solo sito di Housesteads attrae oltre centomila visitatori l’anno.

Ogni forte racconta storie diverse, sono le pietre ancora incise dalle ruote dei carri, il tollerante pantheon religioso di divinità celtiche e romane che convivono felicemente sugli altari militari del museo di Senhouse o le mura di un mithraeum dedicato al dio Mitra, di origine orientale ma estremamente popolare fra i soldati romani. Nel forte di Birdoswald, la capacità di inclusione dell’impero riaffiora dalle iscrizioni lasciate da soldati di origine dacia un tempo nemici, guerrieri fedeli ma anche orgogliosi delle proprie origini.

La mancanza di stalle nel forte di Chesters ha rivelato una cavalleria formata da discendenti di barbari abituati a vivere in simbiosi con i loro cavalli, mentre Arbeia, un porto romano sul fiume Tyne, impiegava battellieri provenienti dal lontano fiume Tigri nell’attuale Iraq. Nel grande forte di Housesteads, l’antica Vercovicium, impeccabili volontarie di English Heritage glorificano la «latrina romana meglio conservata del Regno Unito», sebbene la prima cosa che viene in mente guardandola è che di latrine con vista su spettacolari brughiere da fine del mondo ce ne sono poche. Un paesaggio perfetto per evocare l’inestricabile groviglio di nebulose verità e solide leggende nate quando un tappeto d’erba iniziò a ricoprire forti e mura dopo la ritirata romana del 410 dopo Cristo.

Quasi certamente molti forti continuarono a essere occupati da comunità di soldati e britanni romanizzati fino al sesto secolo prima di essere travolti da nuove invasioni; un tempo sfumato e remoto di cui fa parte anche la leggenda di re Artù che, per alcuni, sarebbe stato in realtà un comandante di cavalleria romano. Forse proprio un millenario DNA di multiculturalità è il senso più profondo di questo mondo di torba, pietra e antiche presenze dove si sale, si scende e si risale all’infinito tra uno scroscio di pioggia che scivola giù dalle nuvole e la repentina apparizione di un fortino romano.