Asperiores, tenetur, blanditiis, quaerat odit ex exercitationem pariatur quibusdam veritatis quisquam laboriosam esse beatae hic perferendis velit deserunt soluta iste repellendus officia in neque veniam debitis placeat quo unde reprehenderit eum facilis vitae. Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipisicing elit. Nihil, reprehenderit!
Dalla Francia all’Asia
Gente dai tratti asiatici passeggia con una baguette sotto il braccio? Benvenuti nella Polinesia francese. Essendo un territorio dipendente dalla Francia, qui molte usanze sono state portate dai colonizzatori francesi. E così, ecco che nei supermercati si trovano Camembert, Brie e Roquefort. E che dire delle specialità italiane, o della carne secca grigionese? Tutto pur di far sentire a casa il circa 15% degli abitanti di origini europee (e in particolare, i francesi) stabilitisi qui.
Ciò nonostante, la maggior parte dei polinesiani veri e propri sembra preferire il cibo ispirato alla cucina tahitiana e a quella cinese (un altro 10% della popolazione è costituito da persone di origini cinesi). Di solito i locali comprano i pasti già pronti nelle roulotte, ossia camioncini dotati di cucina. Queste vendono piatti ispirati alla tradizione cinese come il Chaomen (simile al Chow Mein cinese) o il riso alla cantonese, ma anche piatti locali come il tonno crudo al latte di cocco, l’uru (frutto dell’albero del pane) gratinato o fritto, oppure diversi pesci in tutte le varianti possibili. Non dimentichiamo i dolci: torta di banana alla vaniglia tahitiana, dolcetti al cocco, firi-firi (ciambelle polinesiane)… Insomma, non si resta di sicuro a pancia vuota.
L’unico inconveniente: la maggior parte del cibo venduto nei supermercati deve venir importato. Questo genera costi maggiori, ben più alti che quelli in Francia. Inoltre, non tutto è sempre disponibile. Sulle isole più remote bisogna aspettare per giorni la nave che porta provviste fresche, e su altre esiste un vero e proprio «giro malavitoso» degli alimenti. A Bora Bora, non si può sperare di trovare uova: solo chi conosce il gerente del supermercato avrà infatti la possibilità di racimolarne alcune da portare a casa.
Per fortuna il cibo locale cresce e se ne trova ancora in abbondanza: lungo le strade si situano numerose bancarelle che vendono diversa frutta, tuberi come l’uru o il taro, e pesce a volontà. È persino possibile raccattare noci di cocco abbandonate: con un po’ di pazienza e l’attrezzatura giusta, si possono aprire e gustare all’ombra di una palma in spiaggia, sentendosi un po’ come Robinson Crusoe.

Un tuffo nel cuore lagunare del lontano Oceano Pacifico
Reportage - Tra arcipelaghi selvaggi, sabbie nere, e squali, la Polinesia francese non è solo spiagge da sogno, ma anche giungla e luoghi sperduti, da esplorare per conoscere tradizioni, usi e costumi
Lisa Maddalena, testo e foto
Ah, Tahiti, Bora Bora… Solo sentendo questi nomi viene voglia di essere catapultati su una delle tante isole tropicali, per tuffarsi nelle acque cristalline delle lagune (lagoon) brulicanti di pesci e rinfrescarsi con acqua di cocco. Eppure la Polinesia francese è ben più di questo: la cosiddetta «Collettività d’oltremare» appartenente alla Francia è infatti composta da cinque arcipelaghi (gruppi di isole), che in totale contano 118 isole, distribuite su una superficie grande all’incirca come l’intera Europa occidentale. Un’ampia area che ospita solo circa 300mila abitanti: un po’ come se il Ticino venisse spezzettato e poi sparso in mezzo all’Oceano.
Più o meno quattro su cinque abitanti hanno origini polinesiane e parlano una delle lingue locali, delle quali la più parlata è il tahitiano. Dagli anni Ottanta questa lingua viene insegnata nelle scuole al fine di sostenere la cultura locale. Passeggiando per le isole, gli abitanti salutano tutti con un ia orana! (yo-rah-nah), il buongiorno tahitiano, e con un sorrisone, quale prova della loro allegria e accoglienza onnipresente. La tradizione vuole che a tutti gli ospiti che arrivano in un hotel venga consegnata una collana di fiori di tiaré, il fiore nazionale che i locali si pongono sopra l’orecchio come ornamento. Ma attenzione: sempre per tradizione, chi è già sposato o fidanzato dovrà mettere il fiore sull’orecchio sinistro, mentre chi è alla ricerca di un compagno lo indossa sul destro.
Il 70 per cento degli abitanti della Polinesia francese si concentra a Tahiti, o più precisamente a Papeete, la capitale. La ville, come viene anche chiamata visto che è l’unica vera città della Polinesia, attira numerosi francesi in cerca di lavoro, in un luogo più vivibile delle metropoli francesi. La mancanza di concorrenza nei lavori che richiedono una specializzazione, di fatto, rende la ricerca di un impiego molto più facile; la maggior parte dei locali non dispone di una formazione adeguata per svolgere compiti più specifici. Infatti, in Polinesia non è possibile specializzarsi in tutti i campi, e molti giovani sono costretti a studiare all’estero, spesso finendo per trasferirsi definitivamente.
Tahiti è l’isola più grande della Polinesia e si trova nell’arcipelago della Società, così come la famosa Bora Bora, e pure Moorea, Raiatea e altre ancora. Queste sono principalmente isole montagnose e verdeggianti, circondate da barriere coralline che formano piscine turchesi attorno all’isola principale. Il tipico paesaggio da cartolina, insomma. Ma non cercate spiagge bianche a Tahiti: su quest’isola, la maggior parte delle spiagge è costituita da sabbia nera. Per fare escursioni a piedi e perdersi nella giungla, invece, Tahiti è perfetta: numerosi sentieri si snodano tra le montagne, le cui vette più alte superano i duemila metri d’altitudine.
Nell’arcipelago della Società troviamo anche l’isola di Maupiti, una delle isole più occidentali della Polinesia francese. Una piccola Bora Bora di cent’anni fa, dove il turismo di massa non è ancora arrivato. A Maupiti c’è solo una strada asfaltata, che in poco più di otto chilometri fa il giro dell’isola. Non ci sono né hotel né resort di lusso: gli alloggi per i turisti consistono principalmente di pensioni familiari e campeggi. Gli abitanti dell’isola vivono ancora di pesca e della produzione di copra, un prodotto del cocco.
Le palme da cocco sono coltivate sui motu, isolette piatte e sabbiose che circondano l’isola principale, la cui cima sfiora i quattrocento metri d’altezza. Ogni famiglia dell’isola possiede qualche parcella di terreno su un motu. Secondo William, un abitante di Maupiti, questa è una fortuna: se un motu appartenesse a una sola persona, molto probabilmente quest’ultima non esiterebbe a venderla a qualche imprenditore che ci costruirebbe un resort. Gli isolani di Maupiti vanno fieri della loro isola, così autentica, e desiderano che resti tale.
Come sulle altre isole, qui il pesce abbonda e si mangia tutti i giorni: grigliato, stufato, o secondo la ricetta locale, crudo con latte di cocco. Gli amanti del dolce potranno deliziarsi con una varietà di frutti tropicali: banane, manghi, papaye o carambole, tutto l’anno si trova qualcosa. Chi vuole altri prodotti dovrà invece avere pazienza: la nave che porta provviste, posta e materiale arriva solo una volta alla settimana.
Lo stesso vale per l’arcipelago delle Tuamotu: è estremamente difficile e costoso trovare verdure fresche prima dell’arrivo della nave di rifornimento. Una volta arrivata, è una lunga attesa al supermercato per poter acquistare le provviste. Nessuno vuol rimanere a mani vuote e aspettare il prossimo carico.
Le isole Tuamotu sono diverse da quelle della Società: sono 78 isole che formano uno dei più vasti insieme di atolli al mondo. Un atollo è un’isola corallina circolare, solitamente piatta, che racchiude una laguna interna. Questa è collegata con canali naturali all’Oceano, così da permettere un ricambio d’acqua. Le Tuamotu sono una meta prediletta dai subacquei: gli appassionati di immersioni e di apnea vengono qui a frotte per osservare i più svariati tipi di pesci, mante, coralli e i gruppi di centinaia di squali che si radunano in determinati periodi dell’anno. Oltre al turismo, anche qui i locali si sostentano con la produzione di copra, che viene regolarmente spedita a Tahiti per produrre il monoi, l’olio di cocco infuso con fiori di tiaré. Pure la produzione delle famose perle nere tahitiane rappresenta una parte importante dell’economia locale. Gli allevamenti di ostriche si trovano su vari atolli, così come gli atelier dove si possono comprare queste perle particolari dalle sfumature e forme diverse.
Oltre agli arcipelaghi della Società e delle Tuamotu, in Polinesia francese si trovano gli arcipelaghi delle Marchesi, delle Gambier e delle Australi. Sono quelli meno visitati, perché più distanti dalla capitale, con voli aerei irregolari e molto costosi. Ma ciò non significa che non valga la pena visitarli: artisti come Paul Gauguin e Jacques Brel hanno trascorso molto tempo alle Marchesi, dove hanno scelto di essere sepolti alla morte. Basta avere un bel po’ di tempo, denaro, oppure una barca a vela a disposizione, e anche questi luoghi potranno venir scoperti.
WorkAway in una famiglia di Bora Bora
Bora Bora, la «Perla del Pacifico», è una destinazione che non ha bisogno di presentazioni. I suoi bungalow sull’acqua, la laguna cristallina e i paesaggi lussureggianti hanno affascinato i cuori dei viaggiatori di tutto il mondo. Mentre molti sognano di concedersi il lusso dei resort, noi abbiamo scelto un percorso diverso per sperimentare l’essenza di Bora Bora: un’avventura WorkAway con una famiglia locale. Esplorando la piattaforma WorkAway, abbiamo trovato un annuncio di una famiglia desiderosa di condividere la propria vita quotidiana con viaggiatori come noi, in cambio di qualche ora di lavoro al giorno; un’occasione che si è trasformata in tre settimane gratuite su un’isola da sogno!
Dopo la prima notte avvolta da un caldo tropicale (il ventilatore c’è, ma è troppo rumoroso), facciamo colazione sulla terrazza affacciata sulla laguna. Chissà quando ci capiterà di nuovo una situazione simile: la sensazione di essere sperduti su un’isoletta in mezzo al Pacifico è difficile da descrivere. Ed eccoci qui a iniziare una nuova giornata, mangiando cocco e frutti della passione raccolti in giardino.
Le ore seguenti sono dedicate alle pulizie, a varie riparazioni in casa e ad aiutare con la gestione della pensione. Bisogna essere disponibili per le eventuali richieste degli ospiti, che possono richiedere consigli su cosa visitare sull’isola o dettagli sugli orari d’apertura dei due supermercati. Dopo un pranzo veloce, si parte per l’esplorazione: abbiamo infatti a nostra disposizione una piccola barchetta a motore per uscire sul lagoon a visitare i più bei giardini di corallo o i luoghi ideali per avvistare mante e squali. Questa è la parte migliore della giornata, perché molte delle bellezze della Polinesia sono nascoste sott’acqua, e per vederle bisogna uscire al largo. Come un polinesiano che in Svizzera gioirebbe di vedere camosci e aquile in montagna, noi esultiamo al passaggio di piccoli squali e mante di 3-4 metri di larghezza.
Quando il tempo è ventoso e il mare agitato, ripieghiamo sulle escursioni. C’è un auto che possiamo usare liberamente; presto da rottamare, ma per ora ancora funzionante. Con essa ci muoviamo con facilità sull’isola, non che si possa andare molto distante, visto che il giro di Bora Bora in auto dura 45 minuti. Ci permette però di accedere velocemente alle partenze dei sentieri escursionistici. Sebbene definirli tali ci pare un po’ esagerato, visto che per la maggior parte della camminata sembra di nuotare nella giungla e scivolare sul fango. Sforzi che vengono pienamente ricompensati da viste mozzafiato: decine di sfumature di turchese del lagoon, montagne costituite da speroni rocciosi e altre isole all’orizzonte. Scendendo, ci rallegriamo al pensiero di farci una nuotata rinfrescante. Il clima tropicale non è per tutti!
Siamo noi a cucinare la cena per la famiglia (fa parte dei compiti richiesti per lo scambio). Dato che entrambi i genitori (un francese e una polinesiana) lavorano fino a tardi, sono ben contenti di trovarsi un bel piatto pronto tornando a casa. Considerato il tempo di cucinare che abbiamo finalmente a disposizione – cosa non scontata nella vita di tutti i giorni – lo facciamo con calma e passione: lasagne, gratin di uru (frutti di pane polinesiani), pesto fatto in casa. È un piacere rendere contenti i padroni di casa.
Va detto che vivendo con la gente del posto si imparano molte cose: con la famiglia abbiamo potuto parlare di diversi temi, come la politica polinesiana dal loro punto di vista, le usanze locali e le feste tradizionali, così come di storia e fatti recenti. Ci hanno mostrato i sentieri per raggiungere le cime dell’isola più nascoste, e con il figlio dodicenne abbiamo imparato a usare l’arpione per pescare sott’acqua.