Asperiores, tenetur, blanditiis, quaerat odit ex exercitationem pariatur quibusdam veritatis quisquam laboriosam esse beatae hic perferendis velit deserunt soluta iste repellendus officia in neque veniam debitis placeat quo unde reprehenderit eum facilis vitae. Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipisicing elit. Nihil, reprehenderit!
Río Palena, la via d’acqua dalle Ande al Pacifico
Reportage - Una discesa in canoa nella Patagonia cilena sulle orme dell’esploratore Hans Steffen Hoffman
Valentina Scaglia, testo e foto
«Il Palena? Vi sbagliate, questo è il Carrenleufú». Ci guardiamo perplessi. Dove si nasconde il nostro fiume? Bisogna trovarlo, è l’unico modo di arrivare fino al Pacifico. Da una settimana ormai girovaghiamo nel nord della Patagonia nell’area del confine tra Cile e Argentina, tra vulcani ancora innevati a primavera inoltrata. Inseguire la misteriosa via liquida che serpeggia attraverso le Ande è una chimera. Il corso d’acqua è diviso tra le due nazioni e cambia più nomi: in Cile assume il termine definitivo e diventa un grande fiume la cui energia incessante è in grado di tagliare le montagne.
Tra le difficoltà da affrontare: vulcani corazzati di ghiaccio, rapide continue, vento freddo, ondate di pioggia che rendono difficile accendere un fuoco
Solo alla fine dell’Ottocento il suo corso fu compreso grazie a un tenace geografo tedesco, Hans Steffen Hoffman, che dimostrò che le acque cristalline che nascono dai verdi altopiani dissodati da coloni partiti dalla costa atlantica a metà dell’Ottocento (oggi in territorio argentino) alimentano il possente fiume che sfocia nell’altro Oceano dopo trecento chilometri. In mezzo, una serie di gole inaccessibili, fuori portata per un viaggiatore comune.
La missione di Steffen – cartografare e descrivere un’immensa regione patagonica dove pochi europei s’inoltravano – faceva parte di un’impresa più grande, definire il confine tra i due Stati, allora in discussione, con grandi ripercussioni geopolitiche future. Steffen partì da Santiago del Cile nel dicembre del 1893. Non aveva neanche trent’anni. Il viaggio sarebbe durato quattro mesi, gli esploratori si scontrarono subito con il clima inclemente e le rapide potenti di questi luoghi. La quantità di provviste da trasportare protette in barattoli metallici era ingente, soprattutto charquì (carne essiccata e salata) e harina tostada (grano arrostito) oltre a zucchero e cacao. L’avanzata era lenta e si verificarono vari rovesciamenti nelle acque turbinose e fredde.
Nel novembre del 2022, 130 anni dopo, il nostro gruppetto di cinque appassionati di fiumi (tutti abituati ai viaggi fuori rotta, tutti over 60) è partito da Milano per ripercorrere l’epico viaggio ottocentesco con canoe gonfiabili. Ci spostiamo con mezzi pubblici, a volte improvvisati, senza veicoli di appoggio. Quando raggiungiamo il punto d’imbarco è già passata una settimana. Il villaggio di Palena, con qualche bar e minuscoli negozi, è tutto di legno: ovvio, questa è una terra di boscaioli orgogliosi. Ci aspetta una dozzina di giorni di pagaia, ancora non abbiamo idea precisa di quanto ci impegnerà la navigazione.
Alla partenza veniamo subito afferrati dalla corrente. Il livello è alto e dobbiamo stare sempre in guardia, rovesciarsi significa una lunga nuotata, ed è difficile prender terra, le sponde sono sott’acqua. Al primo campo, un luogo fiabesco, arriva un buon segno: una lontra affiora dalle acque in movimento. Ci rilassiamo, cuciniamo sulla brace le trote catturate direttamente dalla canoa. Nei giorni successivi ci troveremo di fronte le stesse visuali straordinarie e gli stessi ostacoli dei pionieri: vulcani corazzati di ghiaccio, rapide continue, vento freddo, ondate di pioggia che rendono difficile accendere un fuoco.
Dopo qualche giorno ci troviamo avvolti da una fitta vegetazione in un’illusione tropicale. Un’Amazzonia al contrario, fredda e umida: è la Valdivian Forest, una formazione vegetale unica al mondo, rimasta immutata negli ultimi 13mila anni, ricca di vita e di specie rare. Così densa che è impossibile attraversarla via terra. Territorio che un tempo era «tierra incognita», dicitura delle mappe antiche che significava: hic sunt leones (ecco i leoni). Nel nostro caso un’espressione reale perché sulle rive non è raro vedere orme di puma, l’elusivo felino australe. A testimoniarne la presenza, toponimi come Río Tigre e Isla Los Leones. Non vedremo dal vivo il gattone, ma l’isolamento è garantito.
Il fiume ha un solo ponte, quello della Carretera Austral, la strada impossibile voluta da Augusto Pinochet negli anni Settanta per raggiungere il Grande Sud del Paese e terminata solo nel 2000, ancor oggi una pista sterrata per lunghi tratti. In viaggio c’è un solo centro abitato per fare provviste, La Junta. A parte questa unica sosta dopo cento chilometri, gli incontri sono con un pastore timido che fa vita semi eremitica in una casetta di legno, subito soprannominato Eta-Beta, e una famigliola intenta alla pesca. Nessuno naviga sul fiume.
Quando la corrente inizia a frenare la sua corsa sappiamo che l’acqua salata si avvicina. Abbiamo ancora davanti una cinquantina di chilometri dove il Palena si fa estuario sempre più ampio e lento; qui avvertiamo forti escursioni di marea: una notte, l’acqua arriva a pochi centimetri dalle tende, stiamo di vedetta, pronti a smontar tutto e ripartire. In una giornata di nebbia piovosa che crea atmosfere scozzesi raggiungiamo infine il nostro arrivo sul Pacifico, il villaggio di Raul Marin Balmaceda, un insediamento di casette di assi e lamiere che occupa parte di una grande isola sabbiosa. Da lì ripartiremo via nave per iniziare un tortuoso viaggio di rientro in Europa, passando da Chiloé e Valparaíso: alla fine abbiamo percorso oltre tremila chilometri in autobus sulle infinite strade patagoniche e a bordo di fuoristrada, battelli e camion.
Torniamo a Hans Steffen. Per l’esploratore-cartografo il Palena fu una folgorazione. Stregato dai misteriosi corsi d’acqua patagonici, negli anni successivi avrebbe percorso vari Ríos: Cisnes, Manso, Baker e Puelo, senza arrendersi davanti alle gigantesche difficoltà fluviali e logistiche. Il risultato fu concreto. Dai suoi viaggi prese forma un monumentale studio geografico della Patagonica occidentale, corredato di mappe dettagliate. Rientrato in Europa, visse in Svizzera fino alla sua morte, nel 1936. La sua tomba è a Davos.