azione.ch
 



Nell’Egitto del Nord

Reportage - La più alta concentrazione di monumenti neolitici del Regno Unito è in Scozia, più precisamente sulle Isole Orkney (Orcadi)
/ 12/12/2022
Enrico Martino, testo e foto

Nuvole color catrame si dissolvono in luci degne di William Turner, maestro indiscusso di atmosfere tempestose, ma la giovane coppia che scende dalla macchina è troppo impegnata in una diretta Facebook per accorgersene, mentre i due figli si rincorrono tra le Standing Stones di Stormness, i grandi monoliti di pietra che si alzano in riva a un loch sfiorato da un vento gelido. Insensibili a tablet e bambini, pecore e gabbiani si contendono l’erba in un paesaggio minimalista capace di mandare in scena le quattro stagioni in dieci minuti.

Su una collina lontana il grande cerchio di menhir del Ring of Brogdar incorona il cuore di Mainland, l’isola-madre dell’arcipelago delle Orkney. Un pugno di scogli e di terre separati dalla costa scozzese da sei miglia marine che le acque turbolente del Pentland Firth trasformano in un confine liquido tra due mondi. A sud c’è la Scozia gaelica dei tartan e dei clan ma qui i drakkar, le lunghe navi dei vichinghi, se ne sono andati solo nel 1469 lasciando un’eredità di toponimi norvegesi che punteggiano ogni roccia, ogni insenatura, e anche una saga, l’Orkneyinga popolata da personaggi sopra le righe come Thorfinn Torf-Einarsson conosciuto come Thorfinn Skull-splitter, il «fracassacrani» che ha persino battezzato una birra locale.

Sul molo dell’arcigno villaggio di pescatori di Stromness, dove l’unica strada ventosa è la spina dorsale di vicoli e case grigie raggrumate sul porto, un enorme vichingo dipinto sulla fiancata di un ferry indica l’orizzonte, perché questa non è la fine di un mondo, è la porta di entrata di un altro. Una terra di confine scandita dagli stacks, giganteschi monoliti che emergono dal mare, quello che resta di scogliere scolpite tempesta dopo tempesta da onde che hanno preso la rincorsa sull’altra sponda dell’Atlantico.

Quando il piccolo bimotore che collega Mainland al resto del mondo scivola tra nuvole che per pochi istanti rivelano tasselli di prati e un mare grigio ferro, ci si chiede perché gli uomini abbiano sentito l’irrefrenabile esigenza di spingersi quassù lasciando la più alta concentrazione di monumenti neolitici del Regno Unito. Il segreto è una terra particolarmente fertile, «Siamo la più importante area di mungitura a nord di Sterling» dicono con orgoglio i farmers locali.

Le popolazioni neolitiche arrivarono sulle isole circa seimila anni or sono attraversando su fragili imbarcazioni il Pentland Firth e lasciarono tracce di una cultura sofisticata, capace secondo le più recenti scoperte archeologiche di influenzare persino siti come Stonehenge. Un Patrimonio UNESCO di complessi siti archeologici perfettamente integrati in un paesaggio teatrale, spiazzanti per chi è abituato alla classicità mediterranea o alla grandeur dell’Egitto dei Faraoni.

«Una simile ricchezza di materiali preistorici non esiste in tutta l’Europa settentrionale e nasce dalla mancanza di alberi che ha costretto gli abitanti a utilizzare solo la pietra» spiega l’archeologa Julie Gibson. «Questa architettura tridimensionale continua a raccontarci molti dettagli, come l’alto tasso di violenza che traspare dalle analisi delle ossa ritrovate nella Tomba delle Aquile», scoperta da un farmer abituato, come dicono degli Orkadians in Scozia, «a usare raramente una parola quando basta non dirne neanche una».

«Un giorno mio padre trovò alcuni utensili cerimoniali. All’inizio non capiva di cosa si trattasse, poi alla luce di una sigaretta scoprì una trentina di scheletri, ma mi ha raccontato di non essere stato particolarmente excited» ride Kathleen, figlia di Ronald Simison che in una sera d’estate del 1958 trovò tra le scogliere di South Ronaldsay questa tomba intatta che conteneva trecentoquaranta defunti, e le ossa di aquile di mare che le hanno dato il nome. Adesso le figlie mandano avanti il piccolo museo mentre lui guarda perplesso da una bacheca l’onorificenza ricevuta dalla regina Elisabetta.

Per arrivare nel cuore dell’«Egitto del Nord», l’isoletta di Rousay, bastano venti minuti di un piccolo traghetto da Mainland, «abbiamo la più alta concentrazione archeologica del Regno Unito, anche se forse dirlo è un po’ presuntuoso» concede Patrick Maguire, un irlandese trapiantato qui che mi aspetta al molo per accompagnarmi lungo il miglio del Westness Heritage Walk. Le due star indiscusse sono Midhowe Broch, un forte intatto dell’Età del Ferro aggrappato a una scogliera che sembra scivolare nel mare, e Midhowe Cairn la «Nave della Morte», un impressionante cimitero collettivo neolitico che dall’alto sembra la carena di una nave di pietra.

L’«Egitto del Nord» si contende il ruolo di protagonista archeologico delle Orkney con la «Pompei del Nord» accucciata nell’erba di una grande duna che domina la falce di sabbia della Bay of Skaill. In uno dei punti più inospitali del pianeta Skara Brae, il villaggio neolitico più intatto dell’Europa settentrionale, precede di duemila anni le piramidi egiziane, ma fu scoperto solo nel 1850, quando una violenta tempesta spazzò via le dune svelando un mondo rigorosamente di pietra, letti e arredi inclusi, così irresistibili da avere ispirato il cartoon dei Flintstone e un videogioco.

Contemporaneo di Skara Brae è un imponente tumulo ricoperto d’erba, Maes Howe dal celtico Maes Hwyr «il campo della sera dopo il tramonto», il più raffinato monumento funebre neolitico europeo costruito intorno al 2750 a.C. Persino il nome è perfetto per evocare il mistero nascosto alla fine di un angusto corridoio lungo dieci metri che il sole attraversa a ogni solstizio d’inverno per illuminare la camera centrale.

«Forse è un messaggio simbolico» ragiona Julie Gibson, «il sole illumina la casa dove sono rinchiusi i fantasmi degli antenati, oppure è un momento in cui le loro anime rivivono». Ogni interpretazione è aperta perché all’interno non è stato trovato nulla, a parte la sterminata quantità di rune lasciata da graffitari vichinghi del dodicesimo secolo in cerca di tesori nascosti. Un’archeologia in progress di cui fa parte il Ness of Brogdar, un sito in corso di scavo che sta rivelando un sofisticato complesso cerimoniale neolitico.

Da queste parti la storia, di tracce, ne ha lasciate tante, dalla cattedrale di San Magnus a Kirkwall, il più raffinato edificio medioevale della Scozia settentrionale, alla molto più recente e popolarissima Italian Chapel costruita dai prigionieri di guerra che lavoravano alle Churchill Barriers, le dighe che proteggevano la base di Scapa Flow dagli U-boot tedeschi. Un passato testimoniato dai relitti di tre corazzate e quattro incrociatori tedeschi autoaffondatisi alla fine della Prima guerra mondiale che fanno la gioia dei divers e contribuiscono alla pubblicità di una birra locale che «va giù più in fretta della flotta del Kaiser».

È difficile non cadere vittima dell’ispida bellezza di queste isole che ti mangiano l’anima, lo supplica persino un eroe dell’Orkneyinga, «Dopo avere girato il mondo con le mie lunghe navi… quello che sogno è tornare nelle mie fredde e grigie acque del mare delle Orcadi».