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Una zolla in terra straniera

Storie d’emigrazione - Il viaggio senza ritorno nel passato dei nostri avi
/ 26/06/2023
Franco Valchera, testo e foto

A partire dall’Ottocento la storia dell’emigrazione ticinese può contare su una ricca documentazione. Sono diversi gli storici, gli studiosi e gli scrittori che hanno contribuito a impreziosire la letteratura in questo ambito. Va tuttavia rilevato che, nella stragrande maggioranza dei casi, si tratta di una storia che interessa gli emigranti appartenenti a importanti famiglie oppure i pochi che ce l’hanno fatta. E di tutti gli altri? Quelli che nella nuova Patria non hanno trovato né la fortuna né i soldi per il ritorno a casa, che ne è stato? Di loro non è rimasta traccia anche perché, per una questione di dignità, si erano rassegnati a farsi da parte.

Per indagare la questione e ricordandomi la frase «Se si vuole capire chi siamo dobbiamo prima sapere da dove veniamo», mi sono lasciato convincere da mia moglie Valeria (appassionata di genealogia) ad andare a conoscere il luogo di sepoltura di uno di questi emigranti senza storia. La scelta è caduta sulla sorella di mio nonno, Maria Elena Valchera, nata nel 1865.

Un percorso difficile per non dire drammatico il suo, al pari di altre migliaia di ticinesi costretti a emigrare per cercare lavoro, per sopravvivere.

Le poche informazioni recuperate negli archivi parrocchiali e in quelli di Stato lasciano supporre che quello affrontato da questa emigrante malvagliese sia stato un vero e proprio calvario. Insieme al marito Giacomo Alessio (1859-1937) è andata dapprima a Parigi poi, supponendo che lì non abbiano trovato un lavoro, è partita per Londra dove è rimasta fino alla morte, nel 1921. Da Giacomo Alessio, Maria Elena ha avuto otto figli. Al di fuori di questi dati anagrafici non si conosce praticamente nulla: una vita senza storia!

Quello di Kingston, alla periferia di Londra, dove è sepolta l’emigrante malvagliese insieme al marito e alla figlia Rose, è un cimitero che ospita 45mila tombe, registrate a partire dal 1855. È un universo speciale, con aree specifiche. Da una parte quelle moderne (o comunque più recenti) curate dai giardinieri. Dall’altra, quelle vecchie, lasciate al loro destino. Che è poi quello deciso da una vegetazione completamente libera di avere il sopravvento sulle lapidi di dimensioni più modeste, indifese, soffocandole e relegandole sottoterra. Come quella della sorella di mio nonno e dei suoi cari che, grazie alla digitalizzazione dell’intera area e all’aiuto di Sam (uno dei quattro dipendenti di questo grande cimitero) siamo comunque riusciti a individuare.

Di Elena, della sua vita tribolata (un figlio andato a combattere in Australia e divenuto eroe di guerra, due figlie, anche loro emigrate e morte a «Nuova York») non è rimasta altro che una zolla di terra, lontana migliaia di chilometri dalla sua Valle di Blenio. C’è di che riflettere, anche sul senso da dare ai cimiteri. Aree lastricate con gallerie fotografiche, fiori, lapidi, tombe e marmi allineati in ordine geometrico, con tanto di sfratto dopo un tot di anni, come da noi. Oppure oasi di riflessione e raccoglimento, fra la natura, quale dimora perenne per tutti, come a Kingston?