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La Patagonia schiaffeggiata dal vento
Reportage - Agricoltori, pecorai e petrolieri animano una delle terre più meridionali del pianeta, la provincia di Magallanes
Lisa Maddalena, testo e foto
Un vento fuori dal comune. Probabilmente è questo che molti ricorderanno dopo aver visitato il Cile meridionale, e più precisamente la provincia di Magallanes, che si affaccia sullo Stretto di Magellano, tra la Patagonia e la Terra del Fuoco. Un vento che, appena svolti l’angolo delle strade di città, quasi ti sbatte a terra senza tante cerimonie; un vento che fa ondeggiare i rifiuti di plastica rimasti impigliati ai fili spinati che circondano i prati delle pecore, e che fa crescere i pochi alberi dando loro forme strane.
Si tratta dello stesso vento che probabilmente fu d’aiuto ai primi navigatori europei approdati da queste parti, il più famoso dei quali fu il portoghese Ferdinando Magellano, ben cinquecento anni or sono. Correva, infatti, il 1520 quando l’esploratore riuscì finalmente a trovare lo sbocco dello Stretto e a passare all’Oceano Pacifico, dopo numerosi tentativi falliti.
A Magellano seguirono molti altri esploratori e coloni, come i primi cileni inviati in queste terre di nessuno per prenderne possesso e non farsele rubare da altri naviganti. Nel 1843, dopo un lungo viaggio a bordo della nave Ancud, i primi coloni riuscirono finalmente a raggiungere la zona dell’attuale città di Punta Arenas, insieme alle rispettive mogli, qualche capra e qualche maiale. E qui si stabilirono, fondando Fuerte Bulnes. Ancora oggi si può visitare questo luogo, restaurato nel 1943, e immaginarsi come doveva essere difficile la vita su questa costa spazzata dai venti.
Punta Arenas fu fondata poco dopo l’arrivo dei primi coloni, nel 1848, da militari cileni. La città servì inizialmente come base militare e come colonia penale. Tutt’ora diversi comandi militari dell’esercito e delle forze aeree cilene risiedono nella regione. Come ci racconta Francisco, alcune basi, ad esempio quella di Yendegaia non lontana da Ushuaia, servono solo per «marcar presenza», visto che il confine argentino è vicino e non ci sono altri insediamenti cileni in zona.
Francisco lavora già da molti anni nella marina militare cilena. Ora lavorerà per sette anni a Puerto Williams, al sud di Ushuaia, dove la marina controlla tutto il traffico di navi che passa a sud del Capo Horn. A volte i militari sono spediti fino in Antartide, per rifornire le basi presenti sul territorio. Lui stesso ci è stato varie volte, così come in molti altri posti nell’Oceano Pacifico e Atlantico.
Ma torniamo nel passato: alla fine del 1800 si stabilirono in tutta la zona e nella vicina isola di Terra del Fuoco numerosi allevatori di pecore, che fondarono estancias di migliaia di ettari. L’allevamento ovino fece arricchire diversi proprietari terrieri, che poterono comprare nuove terre ed estendere ancora di più le loro proprietà. Le estancias divennero come piccoli villaggi, che riunivano tutti i servizi necessari ai lavoratori: infermeria, biblioteca, sale giochi, teatri e cappelle, tutto questo si poteva incontrare in ogni allevamento degno di questo nome. Come l’estancia San Gregorio, situata a 120 km a nord di Punta Arenas e tutt’ora visitabile. Questa estancia possedeva addirittura un molo privato e una sua ferrovia in modo da imbarcare e vendere direttamente i propri prodotti .
Dopo gli anni d’oro tra il 1910 e il 1930, la richiesta di lana e carne della regione calò, soprattutto a causa dell’entrata sul mercato dei prodotti ovini neozelandesi. L’economia crollò, anche perché l’apertura del Canale di Panama nel 1914 fece calare l’importanza dello Stretto di Magellano. Molte estancias, tra le quali San Gregorio, furono abbandonate e la regione iniziò a spopolarsi. Fu solo con la scoperta del petrolio che la gente ritornò in cerca di lavoro. Interi villaggi furono costruiti per alloggiare questo nuovo tipo di lavoratori: come Cerro Sombrero, fondato nel 1958 per ospitare gli operai della Empresa Nacional del Petróleo, i quali estraevano l’oro nero dal primo pozzo petrolifero della Terra del Fuoco. All’inizio degli anni Novanta la cittadina iniziò a spopolarsi, a seguito della chiusura di alcuni centri di produzione. Oggigiorno, Cerro Sombrero conta circa seicento abitanti, anche se, visitandolo, il paese sembra quasi abbandonato. I pochi turisti che ci passano si fermano rapidi al ristorante, le raffiche di vento che spesso superano i cento all’ora non invitano a sostare molto a lungo.
Tuttavia, negli ultimi settant’anni la scoperta di petrolio in diversi punti sul fondo dello Stretto ha fatto sviluppare fortemente l’economia di Punta Arenas, attirando sempre più nuovi abitanti. Ora la città, con i suoi circa 140mila abitanti, è la più grande della regione. A differenza di molte altre città sudamericane, qui non si trovano senzatetto per strada. Ciò non è però dato dalle buone condizioni di vita, ma semplicemente per il fatto che il clima non permette ai poveri di vivere senza la protezione di una casa. Andando al supermercato, ci si rende conto che i prezzi sono comparabili a quelli svizzeri. Ci si chiede come faccia la gente locale a vivere, dato che il salario mensile medio è di soli 450 franchi.
Pamela, una giovane di Punta Arenas, ci racconta che quando la gente del posto è in vacanza non viaggia come gli europei: piuttosto, si cerca un lavoro da svolgere anche nel tempo libero. Lei, per esempio, passa le sue vacanze a raccogliere fragole e lamponi nella piccola azienda frutticola di Patricia, una donna sulla cinquantina che conduce la sua azienda da sola. Ci sono vari piccoli produttori locali che, come Patricia, coltivano frutta e ortaggi in serre ai margini della città. Ogni giorno hanno la possibilità di vendere i loro prodotti in una sala a loro riservata di un grande centro commerciale, Zona Franca. In questo luogo non si paga l’imposta sul valore aggiunto, perciò è un piccolo paradiso del consumismo per la gente locale. Purtroppo, la sala degli agricoltori non è molto visitata. In un qualche modo però, anche i contadini riescono a sopravvivere in questa città alla fine del mondo. E continueranno a essere schiaffeggiati dal vento, così come le loro terre, per molti altri anni ancora.