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Così sopravvivono i grandi mammiferi artici

Surriscaldamento - Adattabilità, distribuzione e vitalità degli orsi polari a seguito della perdita di ghiaccio artico
/ 01/08/2022
Sabrina Belloni

A perdita d’occhio c’è solo mare, rocce, qualche scampolo di neve e ghiaccio ridotto ai minimi termini. Il cielo è blu intenso, terso, nemmeno un accenno di foschia o di nuvole. Niente vegetazione e nessun segno di vita, almeno finché gli occhi non si abituano a scrutare attentamente fra i riverberi dell’intensa luce solare, beffarda. Un paio di urie si librano in volo, decollando dalle falesie a picco sul mare per cercare cibo in oceano aperto.

Guardando oltre, in lontananza e in rilievo lungo la costa rocciosa, scorgo un orso polare vagare in cerca di cibo, indifferente alla mia presenza e a quella dei miei compagni di viaggio. Chi ha avuto l’opportunità di recarsi recentemente nell’arcipelago delle Svalbard e in Groenlandia, ha visto in prima persona la scarsità e la riduzione della banchisa ghiacciata su cui cacciano, si spostano, si riproducono e vivono i grandi mammiferi artici.

In conseguenza delle mutazioni climatiche e del riscaldamento generalizzato, le banchise di ghiaccio che si formano dal congelamento dell’acqua marina sono più sottili, precarie e durano meno rispetto ad alcuni anni or sono. Per le medesime cause, i ghiacciai formatisi in centinaia di anni per l’accumulo e il congelamento delle precipitazioni nevose (acqua dolce) si sgretolano e riversano in mare iceberg e piattaforme di ghiaccio che vanno alla deriva, seguendo la traiettoria dei venti e il flusso delle correnti finché si dissolvono nel mare.

La mutazione dell’habitat è uno dei principali fattori del cambiamento negli animali che lì vivono, di adattabilità, distribuzione e vitalità delle specie. Nel corso dei millenni, le specie selvatiche si sono adattate agli ambienti nei quali hanno vissuto, e hanno sviluppato caratteristiche morfologiche e fisiologiche uniche per soddisfare efficacemente le loro esigenze in territori in perpetua e lenta mutazione.

Tali processi evolutivi sono particolarmente importanti per i mammiferi marini che devono bilanciare i costi energetici straordinariamente ingenti della vita in ambienti termici difficili, con tassi metabolici elevati, e hanno pertanto la necessità di alimentarsi adeguatamente nei pochi mesi ove le prede sono disponibili.

Gli orsi polari hanno una dieta estremamente specializzata, cacciano quasi esclusivamente foche ad alto contenuto energetico e il loro apporto nutritivo annuale è acquisito in brevi periodi stagionali. La riduzione delle banchise solide di ghiaccio marino è una continua sfida alla possibilità di cacciare e costringe gli orsi polari a nuotare a lungo, con un dispendio energetico notevole. Durante i mesi estivi, l’assenza di banchise solide li spinge a cercare cibo nell’ecosistema terrestre, che offre limitate risorse alimentari energeticamente interessanti a garantirne la sopravvivenza.

Il Norwegian Polar Institute quest’anno ha monitorato cinquanta orsi polari delle Svalbard e li ha trovati in buona salute. Si sono adattati a nutrirsi delle uova deposte dagli edredoni e da altri uccelli marini, divenendo inattesi competitori delle volpi artiche, le quali solitamente rubano alcune uova dai nidi e le nascondono in anfratti del terreno per cibarsene nei mesi più severi dell’anno. Ma una cosa è sostenere una scarna popolazione di volpi artiche (un esemplare adulto pesa in media dai tre ai cinque chili), tutt’altro è mantenere una popolazione di orsi polari affamati (i maschi adulti pesano dai 350 ai 700 chili, le femmine tra i 150 e i 250 chili), che divora interi nidi, costituendo così una minaccia per la sopravvivenza delle grosse anatre.

Anche in Groenlandia i ricercatori hanno notato un’evoluzione nelle modalità di caccia degli orsi polari. La ricercatrice Kristin Laidre e la genetista Beth Shapiro dell’università di Washington hanno monitorato per due anni una popolazione che vive lungo la costa sud-orientale, in fiordi remoti, privi di banchisa solida per oltre otto mesi ogni anno, e l’ha trovata in buone condizioni.

Questi orsi cacciano nel modo tradizionale (sopra la banchisa ghiacciata) durante i freddi mesi primaverili mentre in estate e autunno (durante il disgelo) predano le foche sul mélange glaciale, un miscuglio galleggiante di iceberg che si distaccano dai ghiacciai (acqua dolce) limitrofi alla costa, frammenti di ghiaccio marino e neve che resiste sulla parte anteriore dei ghiacciai nei fiordi. Usano il mélange come se fosse ghiaccio marino: camminando in equilibrio precario e nuotando fra i pezzi di ghiaccio, tendono agguati alle foche che riposano sulle piattaforme galleggianti.

Diversamente dal normale comportamento degli orsi polari, questa popolazione non si sposta inseguendo le banchise marine che si dissolvono per la regressione stagionale, né si trasferisce sulla terraferma per cacciare. Gli orsi polari che vivono nella Groenlandia nord-orientale percorrono una distanza media di quaranta chilometri ogni quattro giorni, sprecando un’enorme energia. Mentre la distanza media percorsa era di soli dieci chilometri ogni quattro giorni per gli orsi polari che risiedono nella regione sudorientale e si sono adattati a convivere con il mélange glaciale. Alcuni esemplari si spostano solamente tra i fiordi vicini e a volte restano nello stesso fiordo tutto l’anno.

Questa popolazione vive in una zona remota, e le ricercatrici hanno rilevato che si tratta probabilmente del gruppo geneticamente più isolato dell’intero pianeta: si stima che abbia vissuto almeno 700 anni senza alcuna interazione con altre popolazioni di orsi polari. I campioni di tessuti raccolti da 83 esemplari dotati di tag dal 1993 al 2021 rivelano che coloro che vivono nei pressi del 64° parallelo latitudine nord (al di sotto del circolo polare artico) non interagiscono con quelli che vivono più a nord.

La Groenlandia ha più di due trilioni di tonnellate d’acqua rinchiuse in un’enorme coltre di ghiaccio che ricopre l’80 per cento del suo territorio. Secondo i dati satellitari del servizio di monitoraggio effettuato da Polar Portal, il 2021 è stato il 25esimo anno consecutivo in cui la calotta ghiacciata della Groenlandia ha perso più massa durante la stagione dello scioglimento (estate) di quella accumulata in inverno. Tuttavia le fasi climatiche si alternano.

Nel 2022 lo scioglimento stagionale della superficie in Groenlandia è iniziato lentamente. I venti persistenti provenienti da nord-ovest hanno mantenuto il numero totale di giorni di fusione della calotta glaciale costiera occidentale ben al di sotto della media. L’accumulo di neve dello scorso inverno è stato leggermente superiore alla media e fino al 20 giugno 2022, la calotta glaciale della Groenlandia ha avuto la più bassa fusione della superficie primaverile negli ultimi dieci anni. L’estensione aerea totale della fusione superficiale è stata di poco più di 2,27 milioni di chilometri quadrati, ben al di sotto della media del 1981-2010 di 3,72 milioni di chilometri quadrati (fonte National Snow and Ice Data Center). Ci auguriamo che sia l’inizio di un nuovo trend.