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«Per metà di sé è carne, per metà è pesce»

Biodiversità - Un raro testo del 1600, intitolato <i>Castorologia</i>, ci svela quale importanza ha avuto in passato il castoro
/ 25/01/2021
Alessandro Focarile

Un improvviso rumore di frasche e di ramaglia rompe il silenzio dello stagno immerso nel bosco. Un altro salice è stato abbattuto, e le inconfondibili rosicchiature alla sua base svelano le capacità del boscaiolo: è opera di un castoro. Il lungo lavoro, eseguito con sapiente tecnica, forse è per l’insediamento di una nuova famigliola, o per la manutenzione di una diga, oppure di una tana già esistente. Il tutto è stato eseguito con i robusti denti incisivi, lunghi oltre cinque centimetri, e che possono tranciare di netto un dito umano.

Il castoro si presenta, è di poche parole, e racconta l’essenziale: «Salve! Considerata la vita e il lavoro che faccio, la mia corporatura è piuttosto tozza e robusta. Sono ben costruito, sono lungo 75-130 centimetri (coda compresa), peso circa 30 chili. Insomma, non sono un cagnolino. La mia coda, molto caratteristica, è appiattita e lunga fino a 35 centimetri. È coperta di scaglie e mi è utile come timone quando nuoto. Inoltre, mi è preziosa per compattare i materiali (legno e fango) quando costruisco le mie dighe, o faccio lavori in casa. Vedo poco, in compenso ho un udito e un olfatto finissimi, che mi permettono di percepire ogni pericolo. Lavoro parecchio dopo il tramonto e durante la notte, ma, di giorno, preferisco sonnecchiare e prendere il sole (quando c’è). Sono un vegetariano di stretta osservanza: mi cibo di cortecce, preferendo quelle dei salici, dei pioppi e delle betulle. Radici e tuberi mi sono graditi, e cerco di immagazzinarne il più possibile per l’inverno quando gela l’acqua degli stagni e dei torrenti, mia dimora. In primavera mia moglie partorisce 2-4 castorini, che sono tanto carini. Mediamente vivo 15-20 anni, ed è sempre una bella età per un castoro».

Attualmente, esistono soltanto due specie di castori, discendenti di antichi, giganteschi antenati, che ci sono noti grazie ai ritrovamenti fossili dei loro resti. Quello siberiano (Castor fiber), un tempo diffuso anche in tutta l’Europa dalla Scandinavia al Mediterraneo, è caratterizzato per il suo pelame color nocciola. Era ben noto ai Romani, che lo avevano denominato Canis ponticus poiché era diffuso fino in Anatolia (il Ponto). La seconda specie nota è quella nord-americana, la cui pelliccia è più scura; quest’altro castoro è forse persino più noto perché è stato immortalato da famosi documentari di Walt Disney dedicati alla Natura.

Da molti milioni di anni, e prima che lo facessero le imprese idroelettriche, questi intelligenti e industriosi animali hanno affinato sempre di più le loro tecniche di costruzione delle loro dighe, che possono essere lunghe fino a cento metri, e alte anche tre. Esse hanno lo scopo di mantenere sempre costante il livello dell’acqua degli stagni abitati, per proteggersi dai predatori e avere più cibo a disposizione. Se il livello aumenta, i castori provvedono a innalzare il pavimento della loro tana. Le strutture possono essere abitate anche trent’anni, e sono opera di più generazioni.

Castor fiber, ovvero il castoro euro-asiatico, è stato vittima di una caccia spietata attraverso i secoli, fino a giungere alla sua completa estinzione in vaste aree europee. Il motivo di questo accanimento è stato originato principalmente dalle supposte virtù taumaturgiche e curative di due sue ghiandole secernenti una sostanza di sapore acre, e con un odore caratteristico, il castoreo, fino a un recente passato impiegato anche in profumeria. Al castoreo si attribuivano eccelse proprietà come sedativo, antispasmodico e ipnotico. lnoltre, del castoro era molto pregiata la pelliccia (il castorino), e la carne – come vedremo – era considerata una prelibatezza persino dai pontefici dell’epoca.

Dopo la ritirata dei ghiacciai quaternari (10mila-13mila anni da oggi), i castori si erano progressivamente diffusi, popolando vasti territori sia nell’Eurasia, sia nel Nord America. Antiche cronache e numerosissimi toponimi attestano la loro presenza un po’ dovunque: dalla Scandinavia alla Sicilia. Non solo nelle grandi pianure alluvionali, ma anche nei territori collinari e montani. Ovunque fossero presenti piccoli corsi d’acqua associati con stagni immersi nei boschi, luoghi ideali per la loro vita.

Nel Veneto di pianura, il castoro era di casa. Ne parla anche Dante Alighieri (Inferno): «...e come là tra li tedeschi lurchi (mangioni, crapuloni, n.d.r.) lo bevero s’assetta a far la guerra». Insiste Fazio degli Uberti (1345-1367) nel suo Dittamondo, un poema didascalico in terzine, contenente la descrizione fiabesca di un viaggio attraverso Europa, Africa e Asia: «Per quel cammino, che più ci parve presso / per la pineta passammo a Ferrara / dove l’aquila bianca il nido ha messo. / Nei suoi laguni un animal ripara / ch’è bestia e pesce, il qual bivaro ha nome / la cui forma a vedere ancor m’è cara».

A distanza di 650 anni, ritroviamo in questi luoghi gli attuali toponimi: Beverare, Biverone. Dai Grigioni (Val Bever, Piz Beverin) al Varesotto (Val Bevera, Bedero Val Cuvia, Bedrate), alla Liguria (Val Bevera, Bevera, Beverino), fino alla Sicilia (Biviere di Gela).

In terra ticinese (Leventina) la passata e probabilmente diffusa presenza del castoro è documentata innanzitutto grazie al prezioso ritrovamento di una sua mandibola a Dalpe a 1200 metri s.l.m., nel corso di uno scavo di una necropoli datata 2500 anni da oggi (Fransioli, 2002). Significativo è il fatto che la località presso Dalpe si chiami tuttora Vidresc (da Bedresc Biber = castoro), ricordando la prossima Bedrina, una palude-torbiera. Altri toponimi leventinesi si riferiscono alla presenza del nostro amico. Per esempio, Bidré, nella parlata locale per Bedretto, e ancora Bidre sui monti di Bodio. Merita notare che, nel corso del tempo, si sono avute molte alterazioni fonetiche a opera di scrivani, amanuensi e topografi. I quali hanno spesso storpiato o mal trascritto il vocabolo primigenio: bever, biber.

La diffusa presenza in tutta l’Europa medievale è testimoniata dalla persistenza fino ai nostri giorni di centinaia di toponimi che fanno riferimento al castoro. Nella sola Germania, oltre 150 nomi recano il prefisso Biber (per esempio Biberbach = il torrente dei castori). Partendo dalla radice babù, bohr, di probabile origine sanscrita (Ba – Buhru), abbiamo tutta una serie di derivazioni nelle varie lingue: Biber, in tedesco; beaver, in inglese; beahbar, in irlandese; bohr, in russo, bulgaro, polacco; bièvre, in francese; bibaro, in spagnolo e in portoghese.

Al di là dei toponimi, molte altre notizie interessanti sono state riportate in trascrizioni da secoli in secoli in merito al Caster fiber. Il professore Georg Pilleri (Università di Berna), oltreché essere un rinomato studioso dell’anatomia del cervello dei mammiferi, è anche un colto bibliofilo. A sua cura è stato ristampato un prezioso e raro testo, intitolato Castorologia. Fu stampato a Ulm sul Danubio nel 1685 tra una pestilenza e l’altra, e arricchito con diverse incisioni su legno (xilografie). Si tratta di una originale opera scritta in un latino aulico e maccheronico considerata l’epoca, e presentata sotto forma di dialogo tra un chimico-medico (Marius) e un abate (Francus). In quei tempi procellosi, i popoli erano permanentemente in guerra tra di loro. Ma, nel contempo, vi erano questi dotti gentiluomini polivalenti (tuttologi, diremmo). Medici, chimici (alchimisti), fisici, naturalisti, e magari filosofi. Tutti personaggi che ritenevano doveroso scrivere (magari con una penna d’oca), e tramandare ai posteri le loro conoscenze, idee e opinioni.

Marcus e Francus discettano in merito a tutto quanto si conoscesse sul castoro nel 1600. Un vero trattato che descrive la vita e i costumi dell’animale, considerato un anfibio «per metà di sé è carne, per metà è pesce». E il suo utilizzo nella medicina del tempo, con numerose e insolite ricette. Schietta e non priva di ironia, ai nostri occhi contemporanei, la lunga e dettagliata trattazione culinaria: «la carne è molto gradita a coloro che amano il grasso nell’alimentazione, ma ad altri produce nausea, così come accadde a un mio onorato concittadino al quale, per sopraggiunta diarrea, causò proprio la morte». Inoltre, «…molti si beano della sua carne, per primi i pontefici». La coda era reputata una squisita prelibatezza da cuocere «…in una padella con vino bianco, dopo aver aggiunto zenzero, cannella e pepe» (trad. dal latino di Caterina Desiati Calò).

Relegato in epoca attuale soltanto in poche e isolate aree relitte, come le Bocche del fiume Rodano in Francia, in Scandinavia, in Germania e in Polonia (per non parlare della Russia), si assiste con piacere, a un revival del castoro in Europa. Da una prima re-introduzione nel cantone di Ginevra (Allondon, negli anni Settanta), l’animale si sta lentamente diffondendo nei laghi di Neuchâtel e di Bienne. In Scozia è ricomparso dopo 400 anni, grazie all’immissione di alcune coppie provenienti dalla Norvegia, che hanno «figliato» con successo. Tutto un fervore di iniziative grazie alle benemerite associazioni protezionistiche (in Svizzera, la Pro Natura).

I castori sono propensi ad allargare e aumentare gli habitat, riconquistando gli antichi areali da loro occupati, purché sia assicurata una sufficiente continuità territoriale. Auguriamo loro una lunga e serena vita.