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I naturali giochi pirotecnici d’Italia

Editoria - Dall’Etna al Vesuvio, la vulcanologa Sabrina Mugnos, nel suo volume a metà tra saggio scientifico e guida turistica, percorre la via del fuoco tra le più importanti d’Europa
/ 04/01/2021
Stefania Prandi

«I vulcani sono luoghi misteriosi e letali, montagne vive, dove si sente il calore e il movimento, linee dirette tra la terra e il cielo». Sabrina Mugnos, vulcanologa, divulgatrice scientifica e giornalista, racconta così ad «Azione» la sua passione per i vulcani, iniziata in Tanzania, nel mezzo della Rift Valley, con l’Ol Doinyo Lengai. Le sue lave «sgorgano tiepide, con la consistenza e il colore del fango, da camini affusolati e bitorzoluti».

Ne ha visitati molti altri, nel corso degli anni, dalle Hawaii alle Ande, passando per Nuova Zelanda, Giappone e Azzorre. Esplorazioni che l’hanno portata alla stesura di cinque libri sul tema, l’ultimo dei quali è stato pubblicato quest’anno. Draghi sepolti. Viaggio scientifico e sentimentale tra i vulcani d’Italia (Il Saggiatore) è un volume a metà tra saggio e guida turistica, sulla via del fuoco tra le più importanti d’Europa e le più studiate al mondo.

Il pellegrinaggio parte dall’Etna, chiamata dai siciliani «Idda» o «A Muntagna». «Il tetto infuocato d’Europa», si legge, «è un luogo estremamente mutevole» che centovent’anni or sono ospitava un solo cratere centrale mentre oggi ne ha cinque. «Camminarci intorno è emozionante, in bilico tra gli inferi, immersi in densi vapori mefitici, borbottii e crepitii». Sul fondo «possono innalzarsi piccoli coni che sputacchiano lava color vermiglio». Dalle vette dell’Etna si osservano colate di diverse epoche. In alcuni punti «grandi colonie di coccinelle rosse si annidano tra le rugosità del magma, disposte in piccoli grappoli». In altri, depositate sui manti di cenere sdrucciolevole, si trovano le «bombe vulcaniche», massi sputati fuori dalla bocca del vulcano. I paesaggi cambiano in base alla zona: «Idda» è variegata, con la sua area di oltre mille e duecentocinquanta chilometri quadrati (per circoscriverla interamente bisogna percorrere circa centocinquanta chilometri).

Il secondo vulcano italiano che spicca per spettacolarità è Stromboli, «Iddu» o «Il faro nella notte» come era chiamato nei secoli passati quando non esistevano illuminazioni artificiali e quella luce era provvidenziale per la navigazione. La sciara del fuoco, cioè il ripido pendio formato da lapilli e scorie incandescenti che dal cratere scende fino al mare, rappresenta il cuore pulsante della montagna. «Col calare delle tenebre, quando i brandelli lavici vengono sparati fuori dai crateri sommitali, centinaia di metri più su, ne nasce uno show pirotecnico di straordinaria bellezza».

Il modo più semplice per osservare il fenomeno è dal mare. Durante la stagione turistica, ogni sera decine di imbarcazioni arrivano vicino all’isola, cariche di passeggeri. È fondamentale rimanere a debita distanza, perché eruzioni violente possono riversare, in pochi secondi, valanghe di materiale rovente in acqua. Catastrofi con proporzioni gigantesche sono accadute in passato, «generando enormi onde di maremoto», registrate da testimoni illustri come Francesco Petrarca nel 1343.

Lo spettacolo di «Iddu» si può ammirare anche dalla terra ferma, raggiungendo il campo base di Punta Labronzo, una terrazza con un ristorante dove «si gode delle scintille color arancio che dalla sommità irrompono nel cielo zaffiro del tramonto, e poi in quello notturno». Fino a una ventina di anni fa era consentito salire più in alto, oltre i quattrocento metri, ma successivamente è stato vietato ogni accesso per ragioni di sicurezza. «Lo Stromboli e l’Etna sono i due vulcani che suggerirei di visitare per primi, per chi volesse programmare un primo viaggio sulla via del fuoco italiana. Hanno l’attività pirotecnica più intensa. Stromboli, inoltre, è un luogo indubbiamente romantico» dice Mugnos.

Il viaggio di Draghi sepolti continua sempre nelle Eolie, in Sicilia, con Vulcano, conosciuto anche come «Il fabbro degli dei». La sua attività sotterranea si manifesta con emissioni sulfuree che richiedono particolare cautela. Sulle pareti scoscese, sabbiose e in parte fumanti del cratere lasciato dall’ultima eruzione, bisogna fare attenzione a non rimanere intossicati dai gas, soprattutto nel caso di fuoriuscite di anidride carbonica, che tende ad accumularsi sul suolo e nelle depressioni. Sull’isola «sono vietati i campeggi ed è assolutamente sconsigliato infilarsi dentro cavità o avvallamenti di ogni genere». Qui, come altrove, è sempre raccomandabile affidarsi a una guida. I pericoli, infatti, sono in agguato: esplosioni; fuoriuscite di lava; fughe di gas; cedimenti del suolo.

In Campania c’è lo sterminator Vesuvio, «una bocca scura spalancata verso il cielo, larga quasi mezzo chilometro e profonda trecento metri: un’enorme voragine, buia come l’inferno». Il vulcano è stato celebrato nell’Ottocento da Giacomo Leopardi e Johann Wolfgang Goethe che in una delle tre ascensioni si ritrovò sotto una pioggia di lapilli. Poco distanti, nel Golfo di Pozzuoli, i Campi Flegrei, che da soli potrebbero generare un cataclisma capace di sconvolgere i cinque continenti. In Lazio, alle porte di Roma, si trova il grande vulcano dei Colli Albani, ancora attivo, «sta solo dormendo». Qualcosa bolle in pentola: studi recenti indicano che a diversi chilometri di profondità si sta accumulando magma fresco pronto a inaugurare un nuovo ciclo eruttivo. Non c’è da preoccuparsi, comunque, dato che i tempi, in termini umani, sono lunghissimi, e si muovono sulla scala delle migliaia o forse decine di migliaia di anni.

Nel testo di Mugnos le descrizioni dei luoghi e dei percorsi sono corredate da consigli gastronomici e riferimenti storici e letterari. Viene ricordato anche il ruolo fondamentale ricoperto negli studi di vulcanologia da Katia e Maurice Krafft, «la celebre coppia di vulcanologi alsaziani che rincorreva ogni eruzione in giro per il mondo». Chiamati «i diavoli dei vulcani», per le loro temerarie avventure – foto e video li ritraggono, vestiti con tute ignifughe argentate, vicinissimi ai fiumi di lava – morirono sul monte Unzen, in Giappone, per una colata piroclastica, una nube più densa dell’aria, formata da magma e gas. Sono stati celebrati nel documentario di Werner Herzog Into the Inferno, imperdibile per chiunque sia affascinato dai vulcani (disponibile online in streaming).