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In aiuto dei ghiacciai

Snowfarming - A causa dei cambiamenti climatici, le nevi perenni si stanno ritirando a una velocità sempre maggiore. Ma cosa si può fare per rallentarne lo scioglimento?
/ 28/12/2020
Stefano Castelanelli

Il rifugio Guide del Cervino da quasi 40 anni è un crocevia per tutti gli alpinisti che si avventurano a scalare il monte Breithorn; la sua cima di 4165 mslm fa parte della catena montuosa del Monte Rosa. L’edificio situato ai bordi del ghiacciaio del Plateau Rosa in Valle d’Aosta a 3480 m è stato costruito nel 1984 su suolo italiano. Negli ultimi 15 anni però il continuo scioglimento del ghiacciaio sta inesorabilmente avvicinando lo stabilimento alla Svizzera.

Per il gerente del rifugio Lucio Trucco passare in Svizzera comporterebbe molti cambiamenti perché dovrebbe adeguarsi alle leggi elvetiche. Ciò significherebbe ad esempio cambiare l’arrangiamento della cucina o le prese elettriche, per non parlare delle tassazioni e dei permessi. Ma l’edificio di per sé non si è spostato. Quindi dovrebbe rimanere in Italia, oppure no?

La questione è oggetto di discussione tra i due paesi confinanti. Tutto dipende dalla definizione di confine. «Sulle alpi – afferma Alain Wicht, preposto al confine della Svizzera presso l’Ufficio federale di topografia (Swisstopo) – il confine è definito principalmente dalla linea spartiacque, cioè dalla direzione verso cui scorre l’acqua ed essa segue anche le creste dei ghiacciai». Lo scioglimento dei ghiacciai, tuttavia, sposta la linea spartiacque. E cosa succede alla linea di confine? «Per seguire i cambiamenti naturali della linea spartiacque, è stato introdotto il concetto di “confini mobili” – dice Wicht: – la linea di confine si adatta ai cambiamenti naturali e segue la linea spartiacque».

Nel 2008 Svizzera e Italia si sono accordate nel considerare la linea di confine che coincide con la cresta dei ghiacciai come un confine mobile. «Secondo l’attuale posizione della linea spartiacque, stabilita insieme agli italiani, i 2/3 del rifugio Guide del Cervino si trova in territorio svizzero. Purtroppo, gli italiani hanno poi cambiato parere – dice Wicht. – Tutti gli attori svizzeri coinvolti, cioè il comune di Zermatt, il Canton Vallese e la Confederazione, sono d’accordo che il rifugio debba rimanere in Italia». Che fare quindi? «Per il momento, svizzeri e italiani non riescono ad accordarsi sull’attuale posizione della linea di confine naturale definita dalla linea spartiacque – dice Wicht. – Una soluzione sarebbe l’introduzione di un confine fisso con scambio di territori: i metri quadrati che la Svizzera perderebbe per permettere al rifugio di rimanere in Italia dovrebbe riceverli indietro altrove». Una soluzione questa che probabilmente renderebbe felice anche il gerente del rifugio Lucio Trucco.

La discussione sui confini è solo una conseguenza dello scioglimento dei ghiacciai. «I ghiacciai si stanno riducendo a un ritmo sempre più rapido – dice Felix Keller, co-direttore del Centro di Glaciologia Applicata della Scuola Universitaria Professionale dei Grigioni – e questa non è nemmeno la notizia peggiore. Sì, perché i grandi ghiacciai reagiscono alle elevate temperature con un ritardo di circa 20 anni. Ciò significa che il grande ritiro dei ghiacciai deve ancora iniziare».

Ma i ghiacciai ricoprono un ruolo centrale per la natura e l’uomo e il loro ritiro è un problema ambientale importante. «I ghiacciai non sono solo serbatoi che forniscono acqua ai fiumi nei periodi di siccità – dice Keller – ma sono anche una risorsa idrica essenziale per oltre 200 milioni di persone che dipendono direttamente dall’acqua dei ghiacciai per vivere. Soprattutto in Asia centrale (Himalaya) e in Sudamerica (Ande), la diminuzione delle masse glaciali sta causando scarsità d’approvvigionamento idrico».

Come nella regione montuosa indiana del Ladakh, dove l’acqua dei ghiacciai viene utilizzata per le necessità quotidiane e per l’agricoltura. La regione si trova tra le catene montuose dell’Himalaya e del Karakorum, e soprattutto il territorio intorno al ghiacciaio del Siachen è strategicamente così importante, che viene conteso da anni da India e Pakistan. Tra il 1984 e il 2003, i due Stati confinanti hanno addirittura combattuto una guerra ad oltre 6000 metri per il controllo del ghiacciaio. Dal 2003 è in vigore un cessate il fuoco. Il ghiacciaio appartiene all’India ed è costantemente protetto dall’esercito indiano.

Conflitti bellici a parte, i ghiacciai hanno anche un’altra funzione particolarmente importante per la Svizzera. «I ghiacciai sono anche un’importante attrazione turistica» dice Keller. «Molti turisti, soprattutto asiatici o arabi, vengono nel nostro paese per ammirare i ghiacciai».

Ma come si può fermare o perlomeno rallentare lo scioglimento dei ghiacciai? «Lo snowfarming è una tecnica per preservare la neve durante l’estate» dice Keller. «Non viene utilizzato solo per le stazioni sciistiche, ma anche per la conservazione dei ghiacciai». In pratica si tratta di compattare la neve caduta in inverno in una particolare area che poi viene ricoperta con dei teli geotessili (vedi fotografia). «Sul Diavolezza lo snowfarming viene praticato dal 2007 – dice Keller – con successo: lo spessore del ghiacciaio è aumentato di 10-15 metri ed è stato possibile creare un nuovo ghiacciaio». Lo snowfarming aiuta, ma da solo non risolve il problema dello scioglimento dei ghiacciai. «Lo snowfarming – continua Keller – ha un problema di scala: si può coprire solo una superficie inferiore a un chilometro quadrato. Per aree più vaste lo sforzo è troppo grande. Inoltre, il movimento del ghiacciaio distruggerebbe la copertura». I numeri aiutano a capire i limiti dello snowfarming. «Il ghiacciaio del Morteratsch presso Pontresina è un ghiacciaio naturale e di grandi dimensioni. Conserva 1500 miliardi di litri d’acqua. Con lo snowfarming sull’adiacente Diavolezza si può immagazzinare fino a circa 1 miliardo di litri d’acqua. Una differenza significativa».

Ma lo snowfarming non è l’unica misura per combattere lo scioglimento dei ghiacciai, un’altra soluzione si chiama ice stupa. «L’approccio è stato sviluppato nel Ladakh – dice Keller. – I contadini volevano conservare l’acqua caduta in inverno per l’irrigazione dei campi in primavera. Per questo motivo hanno iniziato in inverno a spruzzare l’acqua in eccesso verticalmente. Così facendo formano grandi torri di ghiaccio, le cosiddette ice stupa. L’acqua degli ice stupa che si scioglie in primavera viene poi utilizzata per l’irrigazione».

Le torri di ghiaccio ricordano la forma degli stupa, i templi di preghiera buddisti, ed è così che è nato il nome. Nel 2016 anche a Pontresina sono stati costruiti degli ice stupa. Tuttavia, servono più come attrazione turistica e come campagna di sensibilizzazione al problema dello scioglimento dei ghiacciai, che come veri e propri serbatoi d’acqua per l’agricoltura.

Ma esiste anche un terzo approccio più innovativo e più promettente. «Se si coprono i ghiacciai con la neve si può rallentare o addirittura impedire il loro ritiro» dice Keller. «A questo proposito basta coprire la superficie di 1 km quadrato». Per produrre la neve si può usare l’acqua che si scioglie dai ghiacciai.

Ma sui ghiacciai non c’è elettricità, e per questo «abbiamo sviluppato un metodo per produrre neve dall’acqua senza elettricità. Basta sfruttare un dislivello di 200 metri» spiega Keller. Un problema quindi sembra essere risolto, ma ce n’è un secondo: la quantità. «Per coprire una superficie di 1 km quadrato di neve, bisogna produrre 32mila tonnellate di neve al giorno. Una quantità enorme». I test di laboratorio sono stati però positivi.

Nel corso di quest’anno è in programma la costruzione di un primo piccolo impianto pilota all’aperto presso la stazione alpina di Pontresina. Il progetto pionieristico svizzero viene seguito con interesse da tutto il mondo. E, di fatto, sarebbe la prima tecnologia che potrebbe seriamente fermare lo scioglimento dei ghiacciai.