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Storia di un colore che ha conquistato la politica
Parole verdi 4 – Con questo articolo continua la serie dedicata al nostro rapporto con l’ecologia e la crisi climatica
Francesca Rigotti
Verde: un colore per un’idea. Sembra semplice, addirittura banale. I prati e i boschi sono di colore verde, il verde è onnipresente nel mondo vegetale, facciamone il simbolo dei movimenti e delle correnti di opinione che mettono al centro dei loro programmi e delle loro rivendicazioni la salvaguardia dell’ambiente e i comportamenti ecocompatibili. E così è andata. A livello mondiale l’uso e la simbologia del verde sono stati confiscati da un’unica corrente di pensiero con valore messianico: il verde salverà il mondo. Non è però sempre stato né è completamente così, spiega il grande storico dei colori Michel Pastoureau nel suo saggio sul colore verde (Vert. Histoire d’une couleur, Paris, Seuil, 2013).
Prima di spiccare nel nome di tanti movimenti e partiti ecologisti, prima di evocare speranza, salute e libertà nonché l’autorizzazione a passare, il colore verde ha avuto una storia turbolenta, ricca di associazioni anche negative: gelosia, avarizia e invidia sono ancora «verdi» ai nostri occhi, come a quelli dei nostri antenati lo erano il maleficio, il veleno, persino il diavolo! Tra i personaggi storici che Pastoureau ricorda come amanti o odiatori del verde troviamo tra i primi Nerone: il terribile imperatore era ghiotto di verdure e in particolare di porri, e amava presentarsi vestito di verde e ornato di smeraldi. Si dice persino che durante i combattimenti dei gladiatori si riposasse la vista posando lo sguardo su un grande smeraldo. Tra quelli che il verde lo detestavano, la regina Vittoria e il musicista Franz Schubert, che cercava di evitare accuratamente quel colore maledetto.
Su una cosa però si era e si è tutti d’accordo (a parte Schubert): sul fatto che il verde riposi la vista e tranquillizzi la mente, che il posare semplicemente lo sguardo su prati e boschi, parchi e giardini rilassi e rallegri. Ce ne si accorse in particolare in Europa nel momento dell’industrializzazione e dell’urbanizzazione, quando politici illuminati pensarono di introdurre spazi verdi nel cuore e nelle periferie delle città. Una piccola consolazione, più o meno riuscita. Una volta che mi trovavo a Tokyo per una serie di conferenze mi portarono sulla terrazza di un altissimo grattacielo dal quale si poteva contemplare la città di 36 milioni di abitanti. Un’unica distesa di tonalità grigie e metalliche e in centro, minuscola, una macchia di verde: i giardini dell’imperatore, beato lui.
Verde, colore incerto: l’etimologia della parola è latina e il campo semantico da cui deriva il nome è ampio e legato a termini che richiamano forza, vigore, crescita, fertilità, vita. Il tutto ci sembra molto «naturale» e invece la nostra attuale percezione di questo colore è frutto di una storia che per lo più ignoriamo, tanto che la croce verde delle farmacie, i camici verdi dei chirurghi o il colore verde delle scatole di aspirina, il farmaco più venduto al mondo, ci sembrano normalissimi e non degni di attenzione. Una lunga strada ha portato il verde nella politica come nella medicina e anche su tutti i campi di gioco, non soltanto il terreno del calcio o il tavolo da ping pong, ma anche il tappeto verde sul quale si gioca a carte o alla roulette. Quella dell’ecologia, ci sta dicendo il suo colore, è una grande sfida con un’altissima posta in gioco: speriamo che il pianeta tutto ne esca vincitore.