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L’anno della <i>sciguéta</i>

Mondoanimale - L’uccello dell’anno è schivo ma riconoscibile perché canta in modo inequivocabile
/ 01/02/2021
Maria Grazia Buletti

La si vede poco ma la si può sentire e, per l’onomatopea del suo canto, in dialetto ticinese si chiama «sciguéta». È la civetta l’uccello dell’anno 2021 eletto da BirdLife Svizzera che, grazie a numerosi partner fra i quali primeggia Ficedula, si prodiga con sforzi congiunti per evitarne la scomparsa e assicurarne un «futuro più roseo». «Quando la civetta è in allarme emette un suono che fa sciguétt, sciguétt, mentre il suo canto fa cucubàiacucubàia»: l’ornitologo di Ficedula spiega in questo modo l’etimologia del nome assegnato dall’uomo alla civetta. «Nel nostro dialetto è chiamata sciguéta, mentre in Grecia il suo nome è cucubàia, sempre per onomatopea del suo canto».

L’ornitologo ci permette di riflettere sul nome di quella che in italiano conosciamo come civetta: «Studiare il suo nome nelle varie lingue è davvero interessante: cucubaia, di origine greca, lo si trova già pure in un documento delle zone rurali del Lazio del 1500. Ciò fa presupporre una poco probabile latenza del termine greco, o più verosimilmente che anche a Roma si sia utilizzato lo stesso meccanismo onomatopeico per identificare, attraverso il suo canto, una specie che non si sapeva riconoscere». Cucubàia è un termine caduto in disuso in Italia, ma che rimane nei documenti a testimonianza di un meccanismo noto e comune: «In fondo, già duemila anni prima di Linneo a un animale veniva spesso dato il nome partendo dal suo canto, colore o atteggiamento». Infatti, la civetta si vede poco ma la si sente. Sciguétt è dunque il suo verso che arriva fino ai giorni nostri e che Roberto Lardelli invita a sentire attraverso questo link: www.ficedula.ch/civetta.

Un verso, o un canto che dir si voglia, che ha favorito la nascita di superstizioni e generato paure nei suoi confronti: «I pregiudizi arcaici e archetipici legati alla civetta giunti fino ai giorni nostri sono essenzialmente correlati alla salute: ad esempio, si dice che il canto porti disgrazia o morte. Inoltre, da sempre essa incute timore per il suo canto particolare che emette sempre prevalentemente di notte e che ci sveglia. Complice il buio, l’attitudine arcaica di cose funeste può prendere il sopravvento». Paradossalmente in Grecia la Civetta è considerata un portafortuna. Athena, la dea della saggezza, che ha dato il nome alla città, era raffigurata da una civetta e Pericle, famoso politico del quinto secolo a.C., ha contrassegnato il suo periodo di governo con monete aventi l’effigie della Civetta.

Del tutto diversa e lontana anni luce dalle convinzioni popolari è la realtà che la civetta sta oramai vivendo da qualche tempo: «A causa dell’eccessiva cementificazione del territorio, e in primis della banalizzazione dello spazio agricolo, negli ultimi decenni i suoi habitat si sono drasticamente ridotti e la civetta era diventata rara». Questo afferma BirdLife nell’accendere i riflettori su questo uccello da proteggere, e dal canto suo conferma l’ornitologo Lardelli che ci spiega la situazione nel nostro Cantone: «Tra il 2005 e il 2006 la Strategia cantonale per lo studio e la conservazione degli uccelli in Ticino fu il documento del nostro Cantone che ha sancito in maniera inequivocabile che la civetta era una delle specie in pericolo di cui ci si doveva occupare immediatamente». Sono iniziati i conteggi che, dice Lardelli, hanno certificato come in quegli anni in Ticino ne fossero rimaste solo 4 coppie.

Alla strategia del Cantone (UNP e UCP) e di Ficedula, del Museo cantonale di storia naturale e della Fondazione Bolle di Magadino, della Vogelwarte e di BirdLife Svizzera si è affiancato anche sostegno finanziario di Birdlife, con il comune obiettivo di salvare la civetta. Si è così avviata una prima fase conoscitiva che ha permesso di comprendere l’habitat delle civette: «Abbiamo scoperto che esse sono essenzialmente legate alle nostre abitazioni come rustici e diroccati dei quali è stato realizzato un inventario cantonale sul Piano di Magadino e altrove (Riviera e Mendrisiotto) dove era presente fino agli anni 90». È seguita un’elaborazione di modelli matematici che mostrassero la maggiore idoneità ambientale nella ripopolazione della civetta, seguita dalla preparazione di cassette in cartongesso piazzate nei punti più favorevoli. Il risultato non si è fatto attendere: «Con nostra grande soddisfazione le cassette sono subito state occupate, a dimostrazione che a mancare erano proprio le cavità di nidificazione negli habitat idonei. Ci siamo pure concentrati su quelle preesistenti e su quelle artificiali col risultato di veder crescere la popolazione di civette che nel 2012 era già risalita a 17 coppie».

Se nel 2013, a causa di una primavera anomala, le coppie sono diminuite a 12, Lardelli illustra il bilancio odierno positivo con 23 coppie accertate nel 2020. «La chiave di volta per lo studio di questo volatile è stata data anche dai nostri studi sulle borre: i rigurgiti alimentare che la civetta espelle quotidianamente e che contengono ciò che non digerisce: pelo, piume, ossa o resti di insetti. Lo studio delle borre ci ha permesso di comprendere le sue necessità alimentari che, se soddisfatte, ne assicurano la sopravvivenza sul territorio».

Si è scoperto che nel periodo dello svezzamento si nutre prevalentemente di insetti. «Più avanti nella stagione la sua alimentazione diventa prevalentemente carnivora (uccelli di ogni tipo confacenti alla sua taglia, lucertole, orbettini), d’inverno non disdegna micro-mammiferi e in primavera consuma spesso lombrichi». Oltre alla marcatura di alcune civette con un GPS passivo (che ha reso possibile individuare un migliaio di punti di presenza per notte definendo il suo territorio attorno al nido), si è dunque compresa l’importanza della biodiversità che possa favorirne la presenza evitando la sua estinzione: più biodiversità maggiori possibilità di sopravvivenza delle coppie.

Infine qualche aneddoto sui nomi delle due coppie seguite dalle web nel 2020: «Abbiamo chiamato la prima Atena e Pericle, mentre, in onore del luogo di habitat, un’altra coppia si chiamava Petronilla e Merlot», conclude un soddisfatto Roberto Lardelli.