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Le mille forme dei Nudibranchi

Mondo sommerso - Quando la natura concentra design, arte, horror, chimica e fisica in un’unica specie (parte prima)
/ 03/05/2021
Sabrina Belloni

Creature striscianti dall’aspetto curioso ed eccentrico, corpi molli, amorfi, con strane forme e colori psichedelici, talvolta fosforescenti, con efflorescenze e antenne. Non stiamo parlando di alieni provenienti da lontane galassie ma di parenti stretti delle lumache. Molluschi gasteropodi strani e affascinanti.

Si differenziano in oltre 7000 specie e, allo stadio adulto, sono tutti completamente nudi, privi di gusci protettivi, quasi totalmente ciechi. Vivono strisciando molto lentamente sul loro ventre (il «gastro»), aggrappati ai fondali marini per evitare di rotolare in balìa delle correnti. Come tali, sono chiaramente esposti alla voracità di predatori affamati, in un mondo dove le regole per campare sono ferree: vince il più forte o il più furbo. E anche i nudibranchi hanno adottato strategie per sopravvivere in ambienti a loro così tanto ostili. E in particolare hanno sviluppato vari meccanismi davvero efficaci, quali la colorazione criptica, il camuffamento e le modifiche comportamentali. 

Alcuni, ad esempio, sono attivi solo di notte. Probabilmente la tattica più singolare è l’uso selettivo di sostanze chimiche (fra le quali l’acido solforico) che li rendono estremamente riconoscibili: per i predatori, essi risultano assolutamente sgradevoli, quando non letali. Per i membri della stessa specie sono facilmente identificabili, talmente tanto che talvolta diventano un lauto pasto, poiché alcuni nudibranchi sono cannibali e non disdegnano un proprio commensale, se l’ambiente circostante non offre di meglio.

Quanto a banchetti, il nudibranco Cratena peregrina predilige prede che stanno ancora alimentandosi, non solamente perché in tale frangente esse sono meno attente ai pericoli circostanti pertanto più vulnerabili. Le ricerche effettuate da Trevor J. Willis1 e Luigi Musco2 e altri hanno dimostrato che in tal modo i nudibranchi assumono nutrimento anche dal cibo non digerito dalla propria preda. 

Cratena peregrina vive in acque superficiali in Mediterraneo e lungo le coste atlantiche dell’Africa, in habitat ricchi di idroidi (che sono, semplificando, colonie di polipi fissati a un substrato). Il nudibranco, oltre a sfruttare gli idroidi come superficie sulla quale spostarsi, si nutre dei polipi della colonia, preferendo di gran lunga quelli che hanno appena catturato del cibo. Sorprendentemente, gli esperti ritengono che questo comportamento porti beneficio anche agli idroidi, poiché il nudibranco si sazia ingerendo un numero inferiore di polipi ben pasciuti anziché fare razzia di una quantità maggiore ma vuota (e pertanto meno nutriente), il che metterebbe a rischio la riproduzione e la sopravvivenza della colonia. 

La comprensione delle strategie alimentari e dei risultanti legami tra le specie è fondamentale per l’intuizione delle dinamiche nella comunità marine e nei flussi energetici.

L’aspetto dei nudibranchi dà inequivocabilmente nell’occhio. Nell’ambiente marino, i colori vivaci sono spesso utilizzati come messaggio: le livree vistose sono avvertimenti facilmente identificabili e sono scientificamente definite «colorazione aposematica». Dopo qualche tentativo di cibarsene, i predatori (quando sopravvivono) imparano a evitare i nudibranchi e collegano i colori appariscenti al disgusto. 

Anche nell’ambiente marino c’è però chi copia e se ne approfitta. Alcuni platelminti (vermi piatti), non tossici e quindi appetitosi, sono simili ai nudibranchi: ne imitano la livrea per confondere i propri predatori e vivere un’esistenza più tranquilla.

In una famiglia di nudibranchi, i Chromodorididae, i colori sono spettacolari e molto evidenti. Recentemente i ricercatori hanno dimostrato che nel loro mantello ci sono ghiandole specializzate a conservare sostanze chimiche velenose (i metaboliti) che loro estraggono dalle spugne di cui si cibano. I ricercatori Karen L. Cheney e Andrew White3 hanno dimostrato che i nudibranchi Chromodoris non solo estraggono le sostanze tossiche dalle spugne, ma sono in grado di selezionarle: conservano nel mantello quelle a loro più utili a fini difensivi (ad esempio Iatrunculina A, che impedisce la polimerizzazione dell’actina – una proteina – all’interno dei processi cellulari), mentre ne ingeriscono altre come cibo (queste ultime sono state ritrovate nelle viscere). La ricerca ha dimostrato che i Chromodoris si sono specializzati sia nel proteggere sé stessi dalla tossicità del Iatrunculina A (immagazzinandola nel mantello, ben lontano dagli organi essenziali per sopravvivere), sia nell’utilizzo della sostanza a scopo difensivo. Non è stato ancora scoperto come essi riescano a disinnescare il processo chimico di polimerizzazione che li porterebbe a morte certa; la ricerca è molto interessante per i possibili sviluppi in campo farmaceutico, ad esempio per l’effetto citotossico selettivo ai danni delle cellule cancerogene.

Un altro sorprendente comportamento è l’auto-mutilazione: così come le lucertole e i lombrichi, i nudibranchi sono in grado di segmentarsi e di separare parti del corpo. Sayaka Mitoh4 ha recentemente assistito ad azioni raccapriccianti, degne da film horror: alcuni nudibranchi Elysia marginata, allevati in laboratorio, si sono auto-decapitati e hanno abbandonato il proprio corpo. Le ferite al collo sono guarite in un giorno e le teste si sono regolarmente alimentate dopo poche ore. L’intero corpo ha impiegato solamente 21 giorni per ricrescere. Si ritiene che tale gesto estremo sia effettuato per liberarsi da copepodi (minuscoli crostacei parassiti), mentre sarebbe del tutto inutile in caso di predazione, poiché il procedimento richiede alcune ore.

Quando i ricercatori hanno simulato un attacco di predatori ai danni dei nudibranchi, nessun animale ha frammentato il proprio corpo. Resta un mistero, per ora irrisolto, come questi animali riescano a sopravvivere per circa un mese privi degli organi vitali che restano nella parte di corpo abbandonata.

Note

1. Istituto di Scienze Marine, Università di Portsmouth.
2. Stazione Zoologica Anton Dohrn, CNR-IAMC.
3. Università del Queensland, Australia, Istituto di Chimica Biologia e Bioscienze Molecolari.
4. Nara Women’s University in Giappone.