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Zoonosi & Pandemie

Mondoanimale - La salute umana e quella animale sono interconnesse
/ 01/03/2021
Maria Grazia Buletti

«Oggi, è ipotizzabile l’esistenza di circa 1,7 milioni di virus zoonotici ancora sconosciuti alla comunità scientifica. Di questi, 800mila potrebbero avere la capacità di infettare l’essere umano» è quanto ha pubblicato qualche mese fa la massima autorità scientifica in tema di natura e biodiversità Ipbes (Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services). Ma non si tratta di una novità, perché da molti anni esperti di tutto il mondo ci avvertono della possibilità che i virus (alcuni dei quali già in circolazione tra gli animali negli allevamenti intensivi e persino endogeni in alcune parti del mondo) possano sviluppare la capacità di trasmettersi facilmente tra gli esseri umani. 

«Questo è accaduto in passato, ad esempio nel caso di pandemia di influenza suina tra il 2009 e il 2010, e nel presente con il Sars-Cov-2, uno tra i tanti virus che ci sono stati trasmessi dagli animali (e non è nemmeno uno fra i più letali)», si legge nel rapporto Ipbes. Dal canto suo, l’Ufficio federale di sicurezza alimentare e veterinaria (Usav) ci ricorda che le zoonosi sono malattie trasmissibili dall’animale all’uomo o viceversa: «Spesso gli animali si ammalano senza manifestare sintomi e possono contagiare l’uomo tramite le derrate alimentari». 

Il contagio, di fatto «può avvenire proprio mediante contatto con animali infetti o consumando alimenti di origine animale contaminati». È quindi fondamentale sorvegliare le zoonosi negli animali, nell’essere umano e nelle derrate alimentari per evitare quel «salto di specie» (detto spillover) che può colpire l’uomo e trasmettersi poi con facilità da un individuo a un altro. Per questi motivi, l’Usav pubblica regolarmente il Rapporto sulla sorveglianza delle zoonosi, con attenzione particolare ai focolai di malattie provocate da cibo contaminato: «Anche nel 2019 le zoonosi nell’essere umano maggiormente notificate rimangono la campilobatteriosi e la salmonellosi». Dal canto suo, il nostro Ufficio del veterinario cantonale (Uvc) spiega infatti che «alle nostre latitudini ad essere al centro dell’attenzione non sono più le epizoozie classiche, quali ad esempio la tubercolosi o il carbonchio». 

Secondo l’Usav, l’attenzione e la prevenzione nel 2019 si sono concentrate sulle due citate zoonosi più comuni, prima fra tutte la campillobatteriosi, con 7mila casi: «nella maggior parte dei casi l’infezione è causata dal consumo di carne di pollame contaminata». E anche in merito alla seconda zoonosi in Svizzera, la salmonellosi (con circa 1500 casi), «le fonti di infezione più comuni rimangono le derrate alimentari contaminate, soprattutto uova, latte non pastorizzato, carne, ma anche cibo contaminato di origine non animale come insalate e verdure». 

L’Usav avverte che «tuttavia, il numero stimato di casi non denunciati è molto più elevato», affermando che per ridurre notevolmente il rischio di infezione bisogna considerare l’importanza di una buona igiene in cucina. Quattro i principi fondamentali: «Evitare il contatto tra la carne cruda e i cibi pronti (usando stoviglie e posate separate); conservare sempre gli alimenti deperibili in un luogo fresco perché i germi patogeni si moltiplicano nei cibi a temperatura ambiente; carne, pollame, pesce e frutti di mare devono essere ben cotti prima del consumo». 

Infine, per evitare la trasmissione delle zoonosi, abbiamo ormai ben presente quanto sia essenziale il lavare le mani con il sapone prima e dopo la preparazione dei cibi e subito dopo il contatto con la carne cruda. Mai abbassare la guardia, raccomanda l’Usav che nel suo rapporto 2019 porta alla luce un altro dato non trascurabile riguardo alle zoonosi che hanno registrato un aumento del numero di casi: «La febbre Q ha visto raddoppiare la sua incidenza rispetto all’anno precedente: un aumento riconducibile in gran parte a un focolaio scoppiato in primavera (ndr: 2019) in Ticino e dovuto molto probabilmente a due greggi di capre infette». 

Anche l’infezione da Escherichia coli (nell’uomo provoca diarrea grave e sanguinolenta) ha registrato un nuovo aumento di infezioni, così come sono aumentati i casi di Tularemia (infezione causata principalmente da punture di zecche). Per completare il quadro che sottolinea l’importanza di non abbassare la guardia sulle zoonosi a livello globale, elenchiamo alcuni esempi riportati nel rapporto dell’Ipbes, a cominciare dall’influenza aviaria che, tra l’autunno e l’inverno 2020, si è diffusa in Asia e in Europa: «Casi sono stati registrati in Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Irlanda, Paesi Bassi, Svezia, Regno Unito Giappone e India, mentre, per cercare di contenere il virus, dall’inizio di quest’anno la Francia ha ordinato l’abbattimento di oltre un milione di esemplari di pollame, soprattutto anatre». 

Altro dato significativo riguarda la peste suina africana (Psa): «È una malattia virale altamente contagiosa e letale che colpisce suini e cinghiali: nel 2019 ha decimato la popolazione suina cinese, dove sono stati persi 200 milioni di animali tra quelli morti per la malattia, abbattuti preventivamente o macellati anzitempo». L’elenco poco rassicurante continua con l’Ipbes che paventa senza remore una soluzione che passa per la chiusura degli allevamenti: «L’abbattimento (preventivo o meno) di milioni di animali a causa di virus emergenti sempre più pericolosi può essere una soluzione: questi animali non nascono “naturalmente”, ma per inseminazione artificiale, sono allevati in condizioni che rendono inevitabile la diffusione di una zoonosi, e più gli allevamenti intensivi si ingrandiscono, più aumentano le probabilità che si verifichi un nuovo spillover». 

L’ONU rincara la dose in un suo rapporto pubblicato il 6 luglio 2020 dove inserisce «l’allevamento intensivo fra i fattori di rischio che provocano l’insorgenza delle pandemie», avvertendo inoltre che: «Altre epidemie continueranno a emergere, a meno che non si prendano attivamente misure governative che impediscano ad altre malattie zoonotiche di diffondersi tra la popolazione umana». Lungo l’elenco che induce a una seria riflessione: «Il coronavirus, l’aviaria H7N9 e H5N1, l’influenza suina H1N1 e la febbre Q appartengono a una lunga serie di malattie zoonotiche che proliferano negli allevamenti intensivi perché sono questi luoghi a permettere il loro sviluppo e la loro diffusione».