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Il lavoro visto con gli occhi della Generazione Z
Il caffè dei genitori: i giovani hanno un nuovo approccio alla vita professionale e anche nuove pretese, quali le ricadute per le aziende e per la società? Ne abbiamo parlato con l’esperta Virginia Stagni
Simona Ravizza
Storie della buonanotte per bambine ribelli. 100 ragazze di oggi per il mondo di domani, che raccoglie le storie di giovani donne che stanno plasmando il futuro in vari campi (ed. Mondadori, ottobre 2022), già le riconosceva il ruolo di mentore e grande ispiratrice per la Generazione Z «grazie alle sue idee e alla sua grande intraprendenza che la rendono un esempio di professionista di alto livello». Virginia Stagni, classe 1993, nota per essere stata la manager più giovane nella storia del quotidiano britannico «Financial Times» con il compito di scovare nuove idee per attrarre lettori under 30, dal settembre 2023 è dirigente responsabile delle strategie di marketing per l’Italia di The Adecco Group, l’agenzia di lavoro con sede a Zurigo e attiva in oltre 60 Paesi che fornisce lavoratori temporanei alle aziende, le aiuta a trovare candidati per posizioni a tempo indeterminato, le supporta nella gestione delle risorse umane e offre corsi di aggiornamento e riqualificazione. Comprendere gli interessi dei giovani e il loro approccio al mondo del lavoro è diventato dunque il cuore della professione di Stagni. L’abbiamo invitata a Il caffè dei genitori per aiutarci a capire se e come lo scenario lavorativo – e forse anche la società – possano essere trasformati dal nuovo approccio della Generazione Z. Un atteggiamento che, come raccontato nell’ultima puntata della rubrica Le parole dei figli, si riflette nel quiet quitting: un’espressione inglese, ormai divenuta il nuovo mantra dei più giovani, che indica l’idea di limitarsi al minimo indispensabile sul lavoro. Un concetto che si traduce in messaggi chiari: «il lavoro non è la tua vita», «il tuo valore non dipende dalla produttività», «ciò che conta davvero è l’equilibrio tra vita privata e professionale», insieme alla «salute mentale». La chiacchierata con Stagni si sviluppa su tre aspetti: che cosa c’è dietro le pretese degli Gen Z, (altrimenti definiti zoomer), quali sono le sfide che il nuovo approccio comporta per le aziende, le ricadute possibili per la società.
Dalla celebre favola di Esopo La volpe e l’uva, in cui la volpe, dopo aver cercato invano di raggiungere un grappolo d’uva, se ne va dicendo «Tanto è acerba!», Stagni ha tratto una lezione importante: è spesso più facile accusare le circostanze che affrontare le difficoltà e ammettere i propri fallimenti. Tuttavia, come afferma al Caffè dei genitori, «quello che a mio parere può sembrare un disinteresse nelle attività lavorative della Generazione Z non è un alibi per stare un passo indietro. Non credo nella “politica del lamento” e sono convinta che la maggior parte dei miei coetanei non lo sia. Piuttosto, penso che i più giovani, anche nel mondo del lavoro, siano guidati da un forte principio identitario: non è tanto il prestigio della banca, del brand o del giornale a motivarli, quanto la ricerca del mestiere per sé, ovvero un lavoro che rispecchi appieno la propria identità. Un aspetto su cui questa generazione è più esigente di quella dei genitori e ancora di più dei nonni, attirati soprattutto dal famoso posto fisso o in un luogo prestigioso».
Il rifiuto di mansioni extra non retribuite sottolinea il valore del tempo, che non può essere dato per scontato, soprattutto quando c’è l’esigenza di coprire le spese quotidiane, come l’affitto. La difesa del work-life balance (l’equilibrio tra vita e lavoro) è strettamente legata alla cura del benessere mentale. Inoltre, la definizione di sé passa sempre più attraverso le proprie passioni, che diventano strumenti per sviluppare competenze utili anche nel contesto professionale. «Ecco perché, dietro la “rivendicazione dei diritti” tipica della Gen Z – sottolinea Stagni – c’è soprattutto il bisogno di chiarezza sul proprio percorso professionale: “Qual è il mio ruolo? Quanto vengo retribuito? Quali sono le prospettive di crescita?”. Se la risposta del datore di lavoro non è convincente, allora arrivederci!».
La differenza con la mentalità di sacrificio e dedizione totale tipica delle generazioni precedenti è notevole. Conferma «The Economist», una delle riviste di economia, politica e attualità più influenti al mondo, in un articolo del 16 aprile 2024 dal titolo «La Generazione Z è incredibilmente ricca»: «Considerate il gruppo che ha preceduto la Gen Z: i millennial, nati tra il 1981 e il 1996. Molti sono entrati nel mondo del lavoro in un periodo in cui il mondo era sconvolto dalla crisi finanziaria globale del 2007-09, durante la quale i giovani hanno sofferto in modo sproporzionato. Work Bitch di Britney Spears, una canzone popolare pubblicata nel 2013, aveva un messaggio intransigente per i giovani millennial: se vuoi cose belle, devi faticare. I giovani della Gen Z che hanno finito gli studi affrontano circostanze molto diverse. La disoccupazione giovanile nel mondo ricco, pari a circa il 13%, non è mai stata così bassa dal 1991. Le canzoni popolari riflettono lo spirito del tempo. Nel 2022 il protagonista di una canzone di Beyoncé si vantava: “Ho appena lasciato il lavoro”. Sembra che i millennial siano cresciuti pensando che un lavoro fosse un privilegio e si siano comportati di conseguenza. Sono deferenti verso i capi e desiderosi di compiacere. Gli zoomer, al contrario, sono cresciuti credendo che un lavoro sia fondamentalmente un diritto, il che significa che hanno un atteggiamento diverso».
Più zoomer, meno boomer: il numero di Gen Z che lavorano a tempo pieno con il loro mindset (insieme di credenze, atteggiamenti e schemi mentali che influenzano il modo in cui una persona interpreta la realtà, affronta le sfide e prende decisioni) sta per superare il numero di baby-boomer a tempo pieno, quelli nati dal 1945 al 1964, le cui carriere stanno volgendo al termine. Cosa comporta, chiediamo a Virginia Stagni, tutto ciò? Le nuove sfide per le aziende non sono legate solo al rischio di boomer-stumping che, tradotto letteralmente, sta per «mettere in imbarazzo il boomer» con un linguaggio a lui incomprensibile (vedi Le parole dei figli del maggio 2024). «Le aziende devono sviluppare capacità più che mai importanti – spiega Stagni –. Due su tutte: l’attitudine a ingaggiare lo Gen Z in un progetto che senta anche proprio, che vuol dire farlo sentire una “risorsa” e non un “numero”; e la chiarezza sul percorso di crescita professionale». Per fare capire cosa intende, Stagni usa anche la propria esperienza personale raccontata in mille interviste: «La forte importanza che le nuove generazioni danno al bilanciamento tra vita privata e lavoro è innegabile. Qualcosa che prescinde l’insoddisfazione legata al salario, e riguarda più la personalità, i desideri e le aspirazioni. Non mi sono trasferita in Italia perché desideravo cambiare vita, ma sono tornata perché c’era un’ottima opportunità di lavoro che andava a soddisfare diversi miei bisogni che non sono tangibili. Credo sia primario sentirsi realizzati in un disegno di visione che va al di là della mansione quotidiana. I datori di lavoro fanno bene il loro mestiere quando riescono a far vedere cosa c’è oltre la job description, ossia la descrizione di una posizione lavorativa all’interno di un’azienda».
È possibile immaginare un futuro, ci siamo chieste infine a Il caffè dei genitori, in cui la divisione delle responsabilità di figli e casa sia più equa? Meno sfruttamento sul lavoro e vite più equilibrate vorrà dire, di conseguenza, anche maggiore parità? Stagni ne è convinta: «Ci saranno sicuramente nuovi equilibri, i segnali ci sono già». Se così fosse il cambiamento nel modo di lavorare potrebbe scatenare una vera e propria rivoluzione socio-culturale. Chissà.