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Il Mar Morto si prosciuga, ha bisogno di cure
La crisi ambientale unita allo sfruttamento delle sue acque sta facendo scomparire il lago più salato del mondo La guerra e le tensioni geopolitiche della regione non fanno che aggravare la situazione
Luigi Baldelli, testo e foto
L’anziano cameriere di un resort, nella sua linda camicia bianca e pantaloni neri d’ordinanza, guardando la riva del Mar Morto oramai lontana una trentina di metri mi dice: «Quando da giovane ho iniziato a fare questo mestiere i turisti potevano mangiare con i loro tavoli a pochi metri dal bagnasciuga e gli alberghi e i ristoranti si affacciavano sulle rive. Le spiagge sabbiose che vedi oggi, erano ricoperte di acqua». Poi, indicando con la mano nodosa un punto più in basso, mi dice ancora: «Vedi, arrivava fino a lì. E in tutti questi anni si è ristretto, diventando ogni giorno più piccolo, l’acqua si allontana sempre di più». Fa per andarsene, ma poi si ferma di nuovo e aggiunge: «Io sono oramai troppo vecchio per vedere come andrà a finire, ma per quello che ho visto in tutti questi anni non credo che sarà una cosa bella il futuro di questo lago».
Il Mar Morto, che in realtà è un lago, è lo specchio d’acqua più salato del pianeta ed è certamente un fenomeno geologico unico. È chiamato in questo modo perché nella sua acqua, a causa dell’alta concentrazione di sale, non sopravvivono forme di vita, ma solo microbi. Si trova a più di 400 metri sotto il livello del mare e rappresenta la depressione più profonda della terra, risultato dell’evaporazione millenaria delle sue acque. Già nell’antichità erano noti i benefici sulla salute dopo un bagno nelle sue acque salate. Ancora oggi è meta di locali e turisti che trovano giovamento immergendosi al suo interno, o facendo i fanghi a bordo riva.
Il Mar Morto è però anche un lago in grande sofferenza a causa della crisi climatica e dello sfruttamento da parte dell’uomo. Alimentato dal Giordano, il fiume biblico dove fu battezzato Gesù, oggi si è infatti trasformato in un disastro ambientale. Lungo 320 chilometri, segna il confine tra Giordania, Israele, Siria e Palestina, occupando parte di un’area geografica che soffre la scarsità d’acqua, per cui esso rappresenta l’unica fonte per uso domestico, ma anche per l’intera agricoltura che si sviluppa lungo il suo corso.
L’inquinamento che ne deriva, per non parlare dei liquami che vi vengono riversati, ha ridotto il flusso del Giordano, passando da 1,3 miliardi a 30 milioni di metri cubi nell’arco di 50 anni. La conseguenza è presto detta: il Mar Morto ha subito un drastico abbassamento del livello, con una velocità di circa un metro all’anno, riducendo la sua superficie da 950 a 600 km quadrati, per l’appunto, negli ultimi 50 anni. A questo bisogna aggiungere il bilancio negativo tra evaporizzazione e acqua immessa, in quanto i cambiamenti climatici e il riscaldamento globale comportano un innalzamento delle temperature e un aumento dell’evaporizzazione stessa.
La sorte sembra accanirsi contro questa bellezza della natura, perché ad aggravare il problema ci si mette anche la scarsità di piogge con la conseguente e crescente siccità che colpisce il Medio Oriente, già afflitto da altre guerre che non quelle ambientali. Come detto, tuttavia, l’uomo non è esente da colpe verso i danni causati al grande lago salato. Se da una parte lo danneggia con lo sfruttamento incontrollato del fiume Giordano, dall’altro agisce un abuso anche direttamente con le industrie minerarie, lungo le coste israeliane e giordane, che pompano acqua dal Mar Morto, per farla evaporare in apposite vasche e isolare i minerali di cui è ricco il bacino.
Tra questi minerali ci sono: la potassa, utilizzata come fertilizzante agricolo; il magnesio, usato nell’industria automobilistica; e il bromuro, adoperato nei pesticidi. Secondo la EcoPeace Middle East – un’organizzazione che riunisce ambientalisti israeliani, palestinesi e giordani – le attività di estrazione minerarie della israeliana Dead Sea Works e della giordana Arab Potash Company, più precisamente i loro bacini industriali di evaporizzazione solare, sarebbero responsabili del 30-40% del consumo delle acque del Mar Morto.
L’acqua viene pompata al nord, dove il bacino è più profondo e tale estrazione, secondo i dati, provoca una perdita di oltre 84 miliardi di litri d’acqua all’anno. L’insieme di questi ingredienti ci mostra una fotografia dell’allarmante situazione in cui versa il Mar Morto, e gli studi fatti da scienziati e geologi dicono che se non si interviene al più presto, il rischio che questo specchio d’acqua possa scomparire nei prossimi 50 anni è davvero reale. Già nel 2014 la rivista «Time» lo aveva messo nell’elenco dei luoghi da visitare prima della sua scomparsa. E la situazione oggi è aggravata dal fatto che il Mar Morto si trova in una regione in cui guerre e tensioni geopolitiche ostacolano gli sforzi per contrastarne il prosciugamento. Lo ha dichiarato poco tempo fa all’agenzia di stampa France Presse l’idrologo Nadav Tal dell’ufficio israeliano della Ong ambientalista EcoPeace che ha sottolineato che «la cooperazione regionale è la chiave per salvare il Mar Morto».
Non è inusuale vedere lungo le rive del Mar Morto fatiscenti alberghi abbandonati, scheletri di hotel e ristoranti che una volta si specchiavano nelle acque del lago, mentre oggi sono lontani e circondati da sabbia e sterpaglie. La profondità dell’acqua nella parte sud del bacino oramai è di pochi metri. Questo grave processo di prosciugamento, (dove le previsioni più drastiche prevedono il totale ritiro del Mar Morto entro il 2050), come conseguenza ha provocato un ulteriore danno ambientale, quello che viene chiamato «sinkholes», cioè le doline, la nascita di veri e propri crateri. Questi fenomeni carsici avvengono perché con il ritiro dell’acqua le rive del lago sono sempre più asciutte e ciò comporta lo sciogliersi degli strati sotterranei di sale, che scomparendo lasciano crateri che si ingigantiscono a causa degli sprofondamenti del suolo. Alcuni sono solo di pochi metri di diametro, mentre altri, molto più grandi, hanno inghiottito porzioni di alberghi e case.
I turisti, che provengono da tutto il mondo per godere delle tante proprietà benefiche e curative del Mar Morto, non si pongono certo il problema del futuro del lago. Li si osserva lungo le spiagge mentre prendono sole oppure galleggiare dondolati dalle onde. L’elevata salinità dell’acqua, aumentata a causa delle forti evaporizzazioni, la rende così densa che è impossibile nuotare. Le proprietà benefiche dell’acqua portano molti di loro a fare queste «vacanze curative» per alleviare patologie come artrite, vitiligine e psoriasi. Stesso discorso per i trattamenti naturali con i fanghi che si possono fare lungo la riva e che sono di grande effetto per la pelle.
Sparsi ovunque si trovano contenitori pieni di fango ed è normale vedere uomini e donne completamente ricoperti di palta marrone, che sembrano degli strani esseri venuti da un altro mondo, beneficiare di questa poltiglia. Del resto sembra che anche la regina Cleopatra si bagnasse nel Mar Morto per curare il suo aspetto e la sua bellezza e godere dei suoi benefici sulla salute.
Ma a godere di una cura speciale dovrebbe essere lo stesso Mar Morto: in tutti questi anni sono stati portati avanti diversi progetti e idee, che faticano però a trovare sbocchi concreti.
Tra questi, l’idea su cui si lavora da circa 20 anni è quella di costruire un canale che porti acqua salata da Aqaba sul Mar Rosso fino al Mar Morto. Il progetto prevede anche un impianto di desalinizzazione per ottenere acqua dolce, mentre l’acqua rimanente, ancora più salata, sarà fatta confluire nel Mar Morto; inoltre è prevista la costruzione di una centrale elettrica.
Come detto, sono però passati già circa 20 anni da quanto il progetto è finito sul tavolo di discussione tra i vari Paesi che si affacciano sul Mar Morto, e ancora oggi non sembra ci si muova verso la sua realizzazione in tempi brevi. Non mancano d’altronde alcune critiche che si levano al riguardo, anche in merito alla portata d’acqua che confluirà nel bacino: secondo gli esperti, oltre a essere un progetto invasivo e costoso, alzerebbe il livello dell’acqua solo di pochi metri.
Un altro proponimento utile a porre un rimedio al problema parte da più a monte e cioè dal naturale fornitore del Mar Morto, il fiume Giordano. Sembrerebbe essere un progetto più sostenibile e più attento all’ambiente, e avrebbe a che fare con la razionalizzazione e la riduzione dei consumi dell’acqua del fiume, contenendo gli sprechi sia in ambito civile sia industriale.
Tale riduzione dovrebbe essere compensata dall’aumento dell’utilizzo di acqua desalinizzata del mare. A ciò seguirebbe una maggiore apertura della diga sul lago Tiberiade – che si trova lungo il corso del Giordano e a monte del Mar Morto – e un minor prelievo delle industrie minerarie presenti sulle coste del bacino. Ma anche quest’altra idea, portata avanti da diversi anni, ad oggi, dopo riunioni, incontri, convegni, studi e progetti, rimane solo sulla carta.
La situazione è davvero critica. E di non facile risoluzione. La calura del pomeriggio mi costringe alla sosta in un chiosco ai margini della strada che scavalla le rive del lago.
Un beduino sul dorso di un cammello passa lento. Il ragazzo che mi porta la bibita mi chiede perché sono lì. E alla mia risposta, «per vedere questa meraviglia che rischia di scomparire», mi guarda prima strano, poi con voce bassa e triste mi dice: «lo so, purtroppo. E noi non stiamo facendo niente per salvarlo». Si sistema i capelli neri, accende una sigaretta e continua: «Goditi questa vista fino a che puoi. Io lo vedo tutti i giorni ma non mi sento fortunato per questo». Dopo qualche secondo di silenzio gli chiedo il perché, mentre l’ultima luce arancione del tramonto illumina il suo viso.