Asperiores, tenetur, blanditiis, quaerat odit ex exercitationem pariatur quibusdam veritatis quisquam laboriosam esse beatae hic perferendis velit deserunt soluta iste repellendus officia in neque veniam debitis placeat quo unde reprehenderit eum facilis vitae. Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipisicing elit. Nihil, reprehenderit!
«La malattia mi ha stravolto la vita»
Il 10-15% delle donne soffre di endometriosi, si stanno studiando nuove terapie e metodi preventivi come un impianto idrogel sviluppato al Politecnico di Zurigo ma il problema non è facile da diagnosticare. Sarah e Lisa raccontano la loro storia
Vittoria Vardanega
Circa il 10-15% delle donne in età fertile soffre di endometriosi, una malattia cronica benigna caratterizzata dalla presenza di tessuto endometriale – che normalmente riveste l’interno dell’utero – fuori dalla sede originale. La malattia può compromettere in modo significativo la qualità della vita, e tra le donne con problemi di fertilità, circa il 30-40% soffre di endometriosi.
Una delle possibili cause della malattia è la mestruazione retrograda: parte del sangue mestruale risale lungo le tube di Falloppio e trasporta cellule endometriali che si possono depositare nella cavità addominale. Questo tessuto durante il ciclo mestruale si comporta come quello all’interno dell’utero: cresce e sanguina, causando infiammazioni e aderenze che possono provocare forti dolori e altre complicazioni.
I ricercatori del Politecnico federale di Zurigo (ETH), in collaborazione con l’Empa, hanno recentemente sviluppato un impianto in idrogel che potrebbe prevenire l’endometriosi o evitarne l’aggravarsi. L’impianto, finora sperimentato solo in vitro e su modelli animali, viene inserito nelle tube di Falloppio tramite una procedura non chirurgica. Una volta in posizione, l’idrogel si gonfia e agisce come una barriera fisica che impedisce il passaggio del sangue (e anche degli spermatozoi, motivo per cui funziona anche come contraccettivo). «L’impianto è composto da un gel morbido, compatibile con il tessuto nativo e non rigettato dal corpo», spiega Alexandre Anthis, autore principale dello studio pubblicato sulla rivista Advanced Materials.
Il dottor Christian Polli, viceprimario presso il Centro Endometriosi di Lugano, commenta la notizia invitando alla cautela. «Potrebbe funzionare, ma è fondamentale testare l’impianto sugli esseri umani, e possibilmente studiarne gli effetti nel lungo periodo». In passato, aggiunge, un sistema simile – una spirale usata per occludere le tube – era stato ritirato dal mercato poiché inefficace. «Oltre a valutarne l’efficacia, bisogna assicurarsi che l’idrogel possa essere rimosso senza lasciare residui nel corpo e senza compromettere la fertilità della donna», continua il dottor Polli. Su questo punto la ricercatrice Inge Herrmann, presentando lo studio, ha rassicurato: «L’impianto può essere rimosso in modo semplice e rapido, utilizzando raggi UV o una soluzione speciale, evitando un intervento chirurgico».
Non si tratta dell’unica innovazione svizzera in materia di endometriosi: la start-up FimmCyte sta lavorando a una terapia che, secondo i ricercatori, potrebbe eliminare il tessuto endometriale in eccesso senza chirurgia. Ma passeranno anni prima che si possa valutare l’efficacia di questo possibile trattamento, così come prima che si abbiano dati definitivi riguardo all’impianto in idrogel.
In attesa di una cura definitiva, il trattamento attualmente si concentra sulla gestione dei sintomi. In prima istanza si ricorre alla terapia ormonale, ovvero l’assunzione di pillole che sono anche anticoncezionali, spiega il dottor Polli. La terapia si interrompe solo con la menopausa o se si cerca una gravidanza. «Se smette di funzionare, si ricorre alla chirurgia, mentre la rimozione dell’utero si prende in considerazione solo se la donna non vuole più avere figli e non ci sono alternative», conclude.
Le storie delle pazienti e Endo-help
Nonostante i progressi nella ricerca, la gestione della malattia rimane una sfida complessa. «L’endometriosi mi ha stravolto la vita», racconta Sarah Schnorf-Antoniazzi, 52 anni. «Ho sempre avuto vari sintomi, ma da quando sono arrivati i dolori ho dovuto abbandonare prima il pattinaggio sul ghiaccio e poi molte altre attività, compresa quella lavorativa».
«Piangevo dal dolore, ma la mia ginecologa non mi ha presa sul serio, consigliandomi di farmi visitare da uno psichiatra. Al reparto endometriosi di Ginevra invece mi hanno fatto sentire capita e seguita». L’endometriosi di Sarah ha raggiunto il IV stadio. «La malattia ha cicatrizzato tutta la parete addominale, non riuscivo più a mangiare», racconta. Soffre anche di altri disturbi come la fibromialgia e l’encefalomielite mialgica, e ha avuto un cancro al collo dell’utero. Si è sottoposta in tutto a 11 operazioni, ma ancora oggi per gestire il dolore cronico assume forti oppiacei e utilizza un neuromodulatore sacrale.
In media, la diagnosi di endometriosi si ottiene 7-8 anni dopo la comparsa dei primi sintomi, ma per Sarah ce ne sono voluti più di venti. Oggi invita le donne che soffrono a insistere per ottenere risposte. Oltre alla scarsa consapevolezza di alcuni medici, il dottor Polli spiega che la difficoltà nel diagnosticare la malattia è dovuta alla varietà di sintomi con cui si può manifestare, e alla diversa percezione del dolore di ciascuno. «In generale, un dolore che impedisce il normale svolgimento della vita quotidiana e che si presenta regolarmente, ad esempio a ogni ciclo, non va sottovalutato, soprattutto se peggiora nel tempo», afferma.
Oggi la diagnosi viene effettuata valutando l’insieme della cartella clinica della paziente. Con la laparoscopia si può valutare la presenza di tessuto endometriale fuori dall’utero, ma visto che si tratta di un’operazione non sempre viene eseguita. Esiste anche un test salivare che analizza la presenza di uno specifico microRNA associato all’endometriosi. I risultati sono molto precisi, ma è un esame costoso è al momento non viene impiegato automaticamente.
Anche Lisa Balmelli soffre di endometriosi, ma la sua esperienza è diversa da quella di Sarah e in un certo senso riflette l’aumento di consapevolezza e sensibilizzazione rispetto alla malattia avvenuto negli ultimi anni. Lisa soffriva di dolori mestruali molto forti e di una serie di sintomi apparentemente scollegati tra loro: cistiti, vescica iperattiva, problemi intestinali e forti dolori alla schiena. «Ero preoccupata, non si capiva che cosa avessi. Non è stato facile, con la malattia diventa impossibile continuare la stessa vita di prima». Dopo quattro anni e molti test, la diagnosi è arrivata con una laparoscopia. Lisa è stata operata all’ospedale cantonale di Zurigo, e oggi continua la terapia ormonale e la fisioterapia pelvica. «I sintomi sono praticamente scomparsi», racconta. «Se si sospetta di avere l’endometriosi è importante rivolgersi a un centro specializzato come quello di Lugano, dove i medici hanno più esperienza con questa condizione».
Malattie come l’endometriosi sono poco conosciute e non visibili dall’esterno. «Sia io che Lisa all’inizio abbiamo faticato a far capire ai nostri cari che cosa stavano passando», spiega Sarah. Anche per questo, a gennaio 2023 Sarah e Lisa hanno fondato la sezione ticinese di Endo-help (www.endo-help.ch), un’associazione di auto-aiuto per le pazienti di endometriosi. Si incontrano online una volta al mese per condividere le proprie esperienze e supportarsi a vicenda. «Volevo che la mia sofferenza aiutasse altre donne a non passare quello che ho passato io», conclude Sarah.