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Una delle opere della collezione del Club ’74.


Un Club per tutte e tutti, da mezzo secolo

Quest’anno l’associazione a finalità terapeutiche e sociali Club ’74, situata nel parco di Casvegno, festeggia i primi cinquant’anni: una visita a un luogo inclusivo, creativo e di eguaglianza
/ 25/11/2024
Simona Sala

È ottobre e sono le otto di mattina. La bruma ammanta la parte bassa degli edifici e avvolge gli alberi, sfumandone i contorni e rarefacendo l’aria, quasi a volere offrire un set dall’atmosfera ottocentesca in un sedime che per molti versi è rimasto invariato per più di un secolo; e questo nel cuore di una regione che ha vissuto uno sviluppo esponenziale, quando non addirittura mostruoso. Siamo all’interno di quello che oggi si chiama OSC, Organizzazione sociopsichiatrica cantonale, ma che in passato è stato anche «il neuro» (ONC, Ospedale neuropsichiatrico cantonale), il manicomio, o semplicemente il villaggio. Chi nel Mendrisiotto è cresciuto o ha vissuto, certamente ha più familiarità con i residenti dell’istituto sociopsichiatrico, poiché la loro condizione di libertà (sulla quale torneremo più avanti) li porta a prendere i mezzi pubblici, un caffè in un bar, a fare una passeggiata o qualche spesuccia. A condurre una vita, insomma, il più possibile vicina a quella del «mondo fuori», seppure al netto dei suoi ritmi frenetici e delle sue regole a tratti ferree, con cui non per tutti è possibile tenere il passo.

La Valletta si trova «in fondo», vicino alle serre, ed è un imponente edificio tra campi e parco, risalente alla fine della prima metà del Novecento. La sede del Club ’74, l’innovativa associazione che agisce in nome di dignità e rispetto, che quest’anno compie mezzo secolo, si trova proprio qui, e già di buon’ora è animata da un quieto viavai. Oltre a ospitare un bar, vi sono il salone dedicato a riunioni, pasti in comune o improvvisazioni musicali, un atelier, un mercatino di abiti usati e, al momento, anche parte della collezione di Art Brut acquisita negli anni dal Club ’74.

I club terapeutici sono strumenti di lavoro che permettono di dare voce e soprattutto un ruolo alle persone
L’educatore Mauro, che ufficialmente coordina il servizio di socioterapia, ma i cui compiti, come vedremo, spaziano dalla mediazione all’organizzazione, passando per ascolto, trasporti, spiegazioni e non da ultimo, a volte, preparazione dei pasti, ci accoglie davanti alla scalinata che porta all’ingresso. Il bar è già operativo, e mentre prendiamo posto nel salone, entra una residente che, senza dire una parola, si siede al pianoforte ed esegue un brano. In passato suonava bene, si capisce subito, e Mauro accoglie con un ringraziamento e un complimento la breve ma intensa performance. La donna fa un cenno con il capo, poi, senza aggiungere nulla, infila la porta.

In Svizzera non vi è una politica psichiatrica condivisa, e ogni Cantone si trova nella posizione di compiere determinate scelte terapeutiche. È proprio questa libertà che ha permesso al Ticino, a partire dagli anni 60, di imboccare un percorso innovativo. Racconta Mauro: «In quegli anni il cambiamento fu a livello europeo, in Italia c’era stato Basaglia, ma avevamo anche gli esempi della scuola francese e di quella inglese. Il Ticino scelse così una via ad hoc, attingendo da Basaglia per esempio con l’apertura del manicomio, ma anche dalla realtà della clinica francese La Borde, fondata nel 1953 da Jean Oury. Credo sia doveroso ricordare l’importanza dell’arrivo qui a Mendrisio del ticinese Ettore Pellandini che aveva all’attivo una formazione teatrale al Piccolo di Milano e un periodo a La Borde in veste di animatore. Pellandini giunse in Ospedale in un momento di grande apertura: non ci si voleva più limitare alla contenzione farmacologica, bensì sviluppare le relazioni tra le persone e l’aspetto lavorativo». Questa nuova corrente fu sostenuta a livello clinico da molti giovani medici, tra cui Graziano Martignoni, e trasformata in disegno di legge dall’avvocato Marco Borghi, su richiesta dell’allora consigliere di stato Benito Bernasconi. A oggi il Ticino è l’unico cantone in Svizzera a rifarsi a una specifica legge sociopsichiatrica (LASP), a differenza degli altri cantoni, in cui ci si basa sul codice civile.

Il Club ’74 nasce a sua volta rifacendosi ai principi della psicoterapia istituzionale fondata da alcuni psichiatri francesi, tra cui Oury, validi ancora oggi, cinquant’anni più tardi. Come riportato sul sito del Club ’74, l’approccio terapeutico vuole essere «basato sulla condivisione del potere tra pazienti e operatori, sull’importanza delle relazioni interpersonali, e sull’ambiente terapeutico come parte integrante del processo di cura».

L’ospedale psichiatrico, i cui primi padiglioni furono costruiti alla fine dell’Ottocento su una spinta che da qualche decennio attraversava un po’ tutta l’Europa, si trova all’interno di un immenso parco donato alla città di Mendrisio da Agostino Maspoli nel 1870 come «fondo pell’erezione e dotazione di un Manicomio»; fino ad allora i malati psichiatrici che necessitavano di un ricovero – non dimentichiamo il ruolo della famiglia, che si occupava dei propri malati, a volte addirittura nascondendoli – venivano collocati al Manicomio provinciale di Como. La costruzione fu approvata per votazione popolare, e nella sua progettualità iniziale, si rifaceva al modello del villaggio; ne resta traccia nella chiesa sulla collina, ma un tempo qui c’erano anche la panetteria, la macelleria, il pollaio, un laboratorio per la produzione di gazosa e le stalle, tutt’intorno, le abitazioni e i campi. Il villaggio aveva perfino una valuta propria. Le attività in cui si impegnavano gli utenti avevano una doppia valenza: oltre a essere terapeutiche, garantivano un certo grado di sussistenza, perché già allora le finanze erano limitate.

Riunioni, confronto e discussione
Oggi si respira una certa anticipazione alla Valletta, poiché più tardi ci sarà la riunione degli Inter Club, ossia dei Centri diurni (CD) dell’OSC, situati in quattro punti strategici della Svizzera italiana: Chiasso (Athena), Viganello (La Fenice), Locarno (Andromeda) e Bellinzona (Andromeda Perseo); strutture che, come afferma il sito del cantone, permettono alle e agli utenti di trascorrere parte della giornata «seguendo programmi terapeutici caratterizzati da attività personalizzate e mirate alla riacquisizione di competenze individuali, relazionali e sociali». Come spiega Mauro, impiegato da dieci anni all’OSC, «i club terapeutici sono degli strumenti di lavoro, poiché sono strutturati in modo da avere un/a presidente, la segretaria, la cassiera, eccetera, una serie di cariche che permette di dare voce, ma soprattutto un ruolo, alla persona».

Sui concetti di ruolo e responsabilizzazione Mauro torna spesso, spiegandone gli atout. Grazie all’approccio orizzontale che prevede la condivisione dei poteri, i pazienti possono godere di libertà maggiori e prendere parte ai processi decisionali. Al fine di incrementare le finanze, e per responsabilizzare le e gli utenti, con il tempo dal Club ’74 sono state create diverse iniziative collaterali, come la riffa, i mercatini e la gestione del baretto. I guadagni extra permettono di organizzare nuove attività, come l’apprezzato atelier di teatro con un regista professionista o l’annuale festa campestre del Parco di Casvegno. Continua Mauro: «Dal nostro Club ’74 passa gente che dispone di una cultura immensa, oppure di un paio di mani d’oro. Sta a noi individuare le specificità di ogni utente. Questo permette di valorizzare le persone, oltre ad affidare a ognuno un compito possibilmente personalizzato; così facendo riusciamo a infondere parte di quell’autostima che si perde naturalmente quando si arriva qui. Non dimentichiamo di come il ricovero psichiatrico sia ancora stigmatizzato da parte della società, cosa che porta a un crollo dell’autostima».

La riunione sta per iniziare, sarà diretta da un animatore socioculturale, Valentino, poiché Mauro è impegnato nell’accoglienza di un gruppo di neoassunti. Utenti di ogni età provenienti dai diversi Centri diurni del cantone si salutano, prima di entrare nel salone bevono un caffè o fumano una sigaretta. Gli animatori socioculturali si mescolano a chi usufruisce dei centri diurni, che a sua volta non è distinguibile da chi è residente all’OSC o invece lo era un tempo ed è rimasto legato a questo posto. D’altronde, è questa la filosofia di un luogo in cui ogni opinione vale quanto l’altra, poiché a esprimerla vi è sempre un essere umano; dunque, poco importa se il signor G., dopo avere chiesto di essere presidente della riunione e avere dato qualche istruzione, all’improvviso se ne va per non tornare più: Valentino sorride e ringrazia, mentre si procede con l’ordine del giorno.

Si racconta delle vacanze trascorse insieme in estate a Scuol, in una struttura meravigliosa perché non era «tipo» colonia, con le camerate, ma aveva delle stanze doppie, di come fossero rilassanti le terme e di come invece fosse faticosa la montagna. I toni sono pacati, e nessuno interrompe, Valentino fa domande, approfondendo così gli interventi di chi chiede la parola. Si passa poi a discutere l’esperienza teatrale – diretta quest’anno da Diego Willy Corna con Ceci n’est pas – le emozioni che vi sono coinvolte, e l’importanza di fare parte di un gruppo. La sincerità e la naturalezza con cui a volte vengono svelati i vissuti di chi prende la parola è quasi disarmante, ma testimonia anche la grande fiducia di chi, parlando di emozioni, sente di potersi fidare e di potere contare sulla sospensione di ogni tipo di giudizio. Valentino ascolta, risponde, fa una battuta ironica.

Si passa a uno scambio intorno alla realizzazione del carro di carnevale: ci sono le date dei cortei da tenere in considerazione, e va scelto un tema che, come sottolinea a più riprese Valentino, deve avere anche una valenza politica e sociale. Poi la discussione si focalizza sulla mostra Dubuffet e l’Art Brut in corso al Musec di Milano fino a febbraio e su un’eventuale visita alla Casa dell’Art Brut di Casteggio (PV). Di questo genere d’arte molti dei presenti hanno già visto il Museo di Losanna, ma, come si evince da una certa fibrillazione, vi è anche molta aspettativa nei confronti di un progetto «interno».

Il Club ’74, infatti, nel corso degli anni ha acquistato diverse opere d’arte (quadri e sculture) realizzate da utenti, arrivando oggi a disporre di una collezione di oltre 450 pezzi. Quello che Valentino definisce a giusta ragione «un vero patrimonio culturale» (oltre che una profonda testimonianza umana, oseremmo aggiungere), è ora oggetto di una catalogazione da parte dello storico dell’arte Ivano Proserpi, coadiuvato da alcuni studenti del CSIA di Lugano. All’inizio del 2025 parte della collezione sarà visibile in una doppia mostra a Mendrisio (SUPSI e Filanda). Durante la riunione, però, caldeggiati da Valentino, ci si spinge ancora un po’ più in là, arrivando a immaginare uno spazio permanente da dedicarsi all’arte. Un luogo che permetterebbe alla gente da fuori di avere un motivo in più per entrare nel parco, favorendo così quella tanto auspicata permeabilità tra due mondi.

È giunta l’ora di pranzo, chi vuole può fermarsi a mangiare; la riunione si scioglie, ma oggi è mercoledì, e come sempre a metà settimana, più tardi ci sarà l’atteso incontro musicale. Il versatile salone del Club ’74 si trasformerà così in una sala da concerto. Prima, però, Mauro, di ritorno dal giro nel parco con i neoassunti, occuperà il salone insieme a loro per una breve riunione, cui parteciperanno anche degli ex pazienti e altri collaboratori, per mettere ancora una volta in luce la filosofia di totale apertura dell’ospedale, nonché l’auspicio che anche le nuove segretarie e i nuovi aiuto cuoco imparino a sentirsi parte integrante di una realtà dove non solo non c’è nulla da temere, ma che può rivelarsi anche una grande fonte di ispirazione e testimonianza di condivisione.

I neoassunti così, oltre ad avere individuato il proprio nuovo luogo di lavoro, si sentono raccontare anche delle difficoltà di alcuni ex utenti, del bisogno di riconquistare l’autostima, di come in fondo siano labili e permeabili i confini che separano chi sta dentro da chi, invece, vive fuori, ed è perfettamente integrato in una vita «funzionante».

Blues, un poco di punk e la voglia di musica
È arrivato il tanto atteso momento musicale. Dall’oscurità e alla spicciolata sbucano numerosi utenti. Fanno capolino nel grande salone, dove Valentino ha già preso posto dietro alla batteria, mentre un infermiere sta accordando la chitarra. C’è anche «ul Gianda», sorta di mattatore musicale, che ogni mercoledì sera mette a disposizione le proprie competenze per sintonizzarsi sulle corde dell’esibizione di turno.

Uno alla volta, rispettando il proprio turno e accordandosi con il Gianda e gli altri musicisti: è così che ci si prende il palcoscenico durante le serate musicali del Club ’74. Il primo intervento è di un inatteso bluesman, occhi bassi e voce tonante, che subito riesce a creare atmosfera, e a trasformare in una jam session l’esibizione. Chi non se la sente di cantare sceglie maracas, sonagli, tamburelli e cabasa dalla grande cassa di plastica, oppure si prende il tamburo o uno jembe, ma può anche suonare uno dei due pianoforti o le tastiere.

Tocca al prossimo, un uomo timido, come dimostra la voce sommessa, ma a suo modo sorprendente, poiché la sua passione, come confesserà più tardi, va al punk. Si alternano la giovane accompagnata dalla chitarra acustica, e il ragazzo con la passione per le ballate rock, un paio di strofe di Battisti gridate nel microfono da una ragazza che ritorna subito al bar, e poi si riparte. Sempre seguendo lo stesso ordine.

A ogni giro i pezzi sembrano uscire più sicuri, e fra chi accompagna le voci con uno strumento e chi semplicemente ascolta si instaura la magia tipica della musica, capace di creare un filo invisibile che tocca tutti allo stesso modo e nello stesso momento. Chi all’inizio si esibiva con un certo pudore, finalmente alza lo sguardo, e sorridendo accoglie gli applausi e i complimenti dei presenti, mentre cresce l’affiatamento.

Nel frattempo, Mauro è impegnato in cucina: sta preparando la cena comune insieme a un ex paziente che ogni mercoledì si mette a disposizione. Il menù prevede risotto ai funghi porcini e un TamTam per dessert. Gli animatori-cuochi-musicisti Mauro e Valentino cercano di frenare gli entusiasmi di chi vorrebbe tornare subito sul palco, chiedendo almeno il tempo per consumare la propria cena, ma c’è chi proprio non ne vuole sapere: d’altronde è mercoledì, e al Club ’74 oggi è il momento della musica.

Fuori è già buio, ma deve essere bello, per chi passa magari per caso, vedere la Valletta illuminata, e sentire le note a volte intonate, a volte meno, ma comunque felici, che si involano verso le campagne tutt’intorno.