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L’importanza del metodo di studio

Il caffè dei genitori: il passaggio dalle elementari alle medie può comportare qualche difficoltà, come aiutare i figli?
/ 25/11/2024
Simona Ravizza

Il discorso torna ancora lì! Il passaggio dei più piccoli di famiglia dalle elementari alle medie accende inesorabile a Il caffè dei genitori il dibattito sull’importanza del metodo di studio. La convinzione diffusa è che in linea di massima fino alle elementari basta un po’ di attenzione in aula e semmai un minimo di impegno dopo la scuola per cavarsela con risultati soddisfacenti: dalle medie invece la musica può cambiare e anche chi senza troppi sforzi si è abituato a prendere buoni voti adesso deve faticare di più. Di noi 7 in famiglia adesso è il 10enne Enea ad avere fatto il salto: ma immediatamente mi rendo conto che una discussione simile, proprio a Il caffè, l’abbiamo affrontata nell’agosto 2018 con il debutto alle medie di Clotilde, ormai 16enne. Oggi come allora la necessità è la stessa: liberiamoci dai compiti dei nostri figli (li devono fare loro, non noi!), ma aiutiamoli a capire come studiare. Già sei anni fa gli esperti che avevamo interpellato per «Azione» ci avevano messo in guardia: «Troppo spesso i genitori organizzano in modo puntuale e costante le sessioni di studio del figlio – ci avevano detto gli psicoterapeuti Alberto Pellai e Barbara Tamborini –. A volte si ha l’impressione che certe mamme e papà non siano lì ad aiutare il ragazzo a studiare, bensì stiano studiando con lui, se non addirittura al suo posto. Avere una buona autostima scolastica significa sentirsi capaci di tenere sotto controllo i propri impegni, compiti e lezioni compresi».

Capita l’antifona, resta l’esigenza di fornire ai nostri figli gli strumenti migliori perché imparino a studiare nel modo più efficace, senza poi che noi dobbiamo stargli appresso, cosa sbagliata oltre che insopportabile. Come quando ci ritroviamo a scrivere nelle chat di classe: «Che compiti dobbiamo fare per oggi?». Ecco quel dobbiamo non va pronunciato mai più, non solo per salvaguardare la nostra salute mentale, ma anche per il bene dei nostri figli! È il motivo per cui decidiamo di leggere come se fosse la Bibbia il testo Studiare è un gioco da ragazzi. Il metodo rivoluzionario per fare i compiti in modo efficace e veloce (ed. Gribaudo). L’autore è Matteo Salvo, 47 anni, il primo e unico italiano ad aver conquistato il titolo di Grand Master of Memory che vuol dire riuscire a memorizzare: un numero lungo almeno 1.000 cifre in 60 minuti di tempo; almeno 10 mazzi di carte in 60 minuti di tempo; un mazzo di carte sotto i 2 minuti di tempo. La sua promessa è di rendere lo studio un’attività piacevole, l’apprendimento efficace e permettere ai ragazzi di avere più tempo per gli amici e lo sport. Nessuno a Il caffè dei genitori crede nei miracoli (perlomeno scolastici), ma vale la pena tentare di capire. Del resto a tutti noi dispiace avere in casa figli che passano tutto il pomeriggio sui libri, alla sera non hanno ancora finito, e il giorno dopo non vogliono andare a scuola perché hanno l’ansia di non essere preparati. E che cosa dire, poi, di quelli che invece la testa sui libri non vogliono neppure mettercela, gli occhi li spostano in continuazione su TikTok, e sbuffano solo all’idea di studiare per più di dieci minuti?

Ecco allora, in estrema sintesi, sei consigli su cui vale la pena ragionare.

Uno: postazione e materiale di studio. Studiare in un ambiente gradevole fa sentire meglio e questo permetterà di essere a proprio agio e di stare in quel posto più volentieri. Luce. Ordine. Una sedia comoda che permetta anche di tenere la schiena dritta. La penna scelta con cura e che scorre sul foglio proprio come piace, invece che la penna trovata per caso nell’astuccio, magari smangiucchiata dal fratello. La tazza con la tisana sulla scrivania. Una candela accesa. Tutto può fare la differenza per rendere più accogliente lo spazio dove studiare: «Se tuo figlio per studiare inizia a usare cose che gli piacciono senza neanche rendersene conto – assicura Salvo – assocerà un’emozione di piacere allo studio».

Due: pianificazione del tempo di studio. Innanzitutto è fondamentale avere sott’occhio il programma delle lezioni di tutta la settimana: ovviamente lo devono avere sott’occhio i ragazzi, non noi genitori! In base a quello possono fissarsi degli obiettivi da perseguire giorno per giorno, giocando sempre d’anticipo: lunedì arrivare a pagina 7 del libro di storia, martedì imparare 15 vocaboli di inglese, mercoledì scrivere il tema, ecc. Più l’obiettivo è chiaro, preciso e stimolante più diventa facile raggiungerlo. Una strategia che stimola la voglia di fare, perché permette di procedere molto velocemente, è affrontare per prima la materia più impegnativa e subito dopo la materia più facile, in modo da vivere la sensazione di avanzare rapidamente e vedere la to do list che diventa sempre più corta. «È bene che il tempo di apprendimento o di studio a casa non superi mai i 40 minuti consecutivi – insiste poi Salvo –. Dopo ci deve essere sempre una vera pausa per poi riprendere, se necessario, sempre con la concentrazione alta. È più motivante e incentivante sapere di dover rimanere concentrati per un tempo ridotto. Tuo figlio vedrà la meta vicina e saprà che fino a lì, impegnandosi, ci può arrivare. Per tenere il tempo e mantenere la concentrazione può essere di grande aiuto un timer». Io l’ho provato con Enea, con successo: sapere di avere 30 minuti a disposizione per fare un tema (la cosa che più odia) l’ha convinto a non alzarsi ogni 6 minuti a chiedere una parola, bere, mangiare, cercare una pallina, perdere tempo con le scuse più varie, ma a restare concentrato sapendo che finito il tema avrebbe avuto una pausa.

Tre: le parole-chiave. È bene dare una lettura scremante all’argomento da imparare e individuare poche parole da cerchiare sul libro che aiuteranno a rievocare i concetti chiave.

Quattro: studiare per spiegare invece che per imparare. È uno switch mentale. Più che memorizzare i concetti nella propria mente, è utile immaginare qualcuno davanti a cui ripeterli per farglieli capire. Qui sì, ci diciamo a Il caffè dei genitori, che possiamo giocare il nostro ruolo di ascolto!

Cinque: la comunicazione. Il voto del professore non si basa solo sul contenuto esposto, ma anche sulle modalità con cui viene esposto. Come nel gioco dell’oca allora ritorniamo al punto quattro: «È chiaro che se tuo figlio potrà esercitarsi a spiegare alla lavagna riproducendo la situazione che si troverà a vivere con la sua insegnante – dice per esempio Salvo – sarà molto più facile al momento dell’interrogazione essere tranquillo e disinvolto». Ai miei tempi io facevo finta di essere la prof e di spiegare le cose agli alunni. Ma, forse, sono un caso patologico.

Sei: vietato dire non ti agitare. Sentite cosa dice l’esperto: «Se abitui tuo figlio a ricevere informazioni in questo modo, la sua mente ripeterà la stessa struttura per qualsiasi cosa lui dica a sé stesso, quindi è probabile che davanti a un rigore dica “Non devo sbagliare” oppure “Non me la deve parare” e all’interrogazione potrebbe dirsi “Speriamo che non mi chieda questo”». Nulla di tutto ciò è tranquillizzante. Meglio invece che si dica: «Voglio rimanere tranquillo», «Voglio rimanere concentrato». Per lui sarà molto più semplice andare nella giusta direzione.

L’ultimo capitolo di Studiare è un gioco da ragazzi s’intitola: Verso l’eccellenza! Un campione nello studio. A Il caffè dei genitori confessiamo di non averlo letto: i figli troppo performanti ci spaventano.