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L’insoddisfazione che ci spinge al progresso

La spiacevole sensazione che tutti hanno di non essere o non aver fatto abbastanza non sempre è negativa, il punto di vista della scienza e della psicologia
/ 28/10/2024
Alessandra Ostini Sutto

Che si sia una persona che cerca di dare il meglio in tutto ciò che fa, oppure una che si impegna a lavorare su sé stessa con l’intento di raggiungere maggiori equilibrio e consapevolezza, capita di sentire dentro di sé quella spiacevole sensazione di non essere o non aver fatto abbastanza. Questo perché in tutti noi esiste una predisposizione all’insoddisfazione, che non è una questione connessa al presente, ma attraversa piuttosto l’intera vicenda umana. Un tema – quello della tensione verso «qualcosa in più» – a cui il genetista Edoardo Boncinelli e il filosofo Marco Furio Ferrario hanno dedicato un interessante saggio, L’animale inquieto, uscito quest’anno per i tipi de Il Saggiatore. Diversamente dalla comune percezione, secondo cui prevale una connotazione negativa, alla scontentezza la scienza attribuisce più merito che demerito, considerandola una spinta, innata ed ancestrale, che ha mosso l’umanità verso progresso e cambiamento e questo a partire da quando la nostra specie si è dovuta ritagliare il proprio posto sul pianeta fino alle conquiste dei tempi più recenti.

Nonostante questa visione diciamo «più ampia», nella quotidianità l’insoddisfazione – che possiamo provare rispetto a diversi aspetti della vita, quali la professione, le relazioni, la salute, il nostro stesso modo di essere in un dato momento – porta a sentirsi scontenti, impotenti, delusi e frustrati e viene pertanto vissuta come qualcosa, che, di fatto, può avere un impatto negativo sul proprio benessere. Si tratta di un sentimento complesso, che ognuno vive e percepisce in modo diverso. «L’insoddisfazione di sé e di ciò che si ha o si fa può dipendere da fattori individuali come la personalità, l’autostima, l’esperienza infantile, ma anche da fattori ambientali come il contesto socio-culturale e le relazioni interpersonali – spiega la psicologa e psicoterapeuta Vanessa Romelli – essa può essere inoltre vista come una discrepanza tra l’esperienza attuale e l’immagine ideale di sé o dell’ambiente, che l’individuo ha costruito attraverso le proprie esperienze e relazioni interpersonali».

Per quel che riguarda le influenze date dal contesto, i social media, mostrando una rappresentazione ideale della vita altrui, contribuiscono a creare aspettative irrealistiche e favorire la comparazione sociale che possono a loro volta alimentare l’insoddisfazione personale. «Con le tecnologie di cui disponiamo, siamo bombardati di informazioni, cui possiamo accedere in modo estremamente semplice, il che rende molto facile il confronto. Spesso però senza filtri né profili “costruiti” per forza di cose ne usciamo “perdenti”: ci sarà sempre qualcuno più di successo, più bello, più ricco,… rendendoci molto difficile il compito di apprezzare il giusto valore di quello che abbiamo e spingendoci a volere altro o di più, anche se talvolta quell`“altro” non è realistico o realizzabile – commenta Romelli, che è pure sessuologa clinica e terapeuta EMDR – inoltre i social network possono portare ad una dipendenza da like e dal giudizio degli altri, amplificando l’importanza data all’opinione altrui sulla propria vita. I valori imposti dalla cultura possono quindi influenzare il modo in cui l’individuo si orienta nei confronti della vita e della propria identità, portandolo così ad aspirazioni e decisioni dettate da altri o dai social, talvolta in linea con i propri desideri e le proprie necessità, talvolta invece portandolo a costruirsi una realtà ed un sé non coerente con i propri valori e obiettivi personali».

La comparazione continua con gli altri che, ci dice Vanessa Romelli, risponde di per sé ad un bisogno di appartenenza e accettazione, è ulteriormente sollecitata dal fatto di vivere in una società della prestazione, nella quale l’insoddisfazione può essere pure amplificata dalla pressione sociale di raggiungere risultati sempre migliori.

Ma, per fortuna, la sensazione di «non essere mai abbastanza» di cui stiamo parlando, può essere – come dicevamo – pure una spinta motivazionale per cercare di migliorarsi e superare i propri limiti, riguardo alla quale ne L’animale inquieto si legge: «Gli esseri umani non chiedono tanto, chiedono di più. In quel “di più” si annida la ragione profonda della tipica inquietudine umana, alla perenne ricerca di qualcosa di ulteriore».

«Importante è imparare a gestire questa inquietudine per evitare di cadere in un circolo di insoddisfazione costante e promuovere la serenità, un certo equilibrio e un certo sentimento di benessere – commenta la psicoterapeuta – personalmente, direi che è bene avere sempre dei piccoli e grandi obiettivi nella propria vita per evitare di “rimanere sul posto” ed è altrettanto importante saper riconoscere il raggiungimento degli stessi e saper godere del presente e di ciò che si è e si ha».

Per sfruttare le potenzialità insite nel senso di insoddisfazione e fare in modo che, invece di essere motivo di sfiducia e infelicità, esso diventi una risorsa, è inoltre fondamentale essere il più consapevoli possibile ed accettare se stessi e le proprie imperfezioni. «Bisogna evitare l’auto-critica eccessiva e ossessiva ed utilizzare gli spunti utili per una crescita verso il miglioramento, il tutto sempre nell’accettazione e nel rispetto di sé», afferma Vanessa Romelli. Per fare ciò, può rivelarsi utile il sostegno di una persona esterna che permetta di mettere in prospettiva le cose. «Se si decide di rivolgersi a un professionista, in un approccio costruttivista come il mio, lo psicoterapeuta può essere d’aiuto nell’identificare le aspettative e gli schemi di pensiero che possono aver contribuito all’insoddisfazione e nel trovare modi più adattivi per affrontare la situazione – continua l’esperta – per esempio, invece di colpevolizzarsi o giudicarsi per i propri difetti e le proprie lacune, il paziente può imparare a riconoscerli come parte della sua esperienza e a concentrarsi sugli aspetti positivi della sua vita e della sua personalità. Inoltre, la psicoterapia costruttivista può incoraggiare il paziente a rafforzare le proprie competenze di resilienza e adattamento, ad esempio utilizzando tecniche di mindfulness, meditazione o ristrutturazione cognitiva».

Insomma, per fare in modo di massimizzare i vantaggi dell’insoddisfazione, minimizzandone gli svantaggi, è bene imparare a concentrarsi su sé stessi e sulla propria vita interiore, così da riuscire a stare nel presente e a tornare a vivere attimo per attimo come quando si era bambini. Con questo stato d’animo sarà più facile considerare l’insoddisfazione come il segnale che qualcosa non sta funzionando nella propria vita e cogliere il momento per darsi la possibilità per cercare nuove soluzioni, che siano più consapevoli e pongano l’attenzione su ciò che conta davvero.