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La carica dei «Baby Boomers»
Il mondo, anche quello degli anziani, cambia velocemente e oggi, osserva il prof. Stefano Cavalli, troviamo nella stessa categoria più generazioni e, tra loro, ci sono genitori e figli
Matilde Casasopra
Hanno dominato il mercato del lavoro fino al 2011. Da lì in poi hanno cominciato a diminuire e nel 2029 saranno i maggiori artefici del mutamento sociale in atto in Svizzera. Proprio grazie ai «Baby Boomers» un terzo della popolazione si troverà infatti a essere al beneficio della pensione. Loro però, nati tra il 1946 e il 1964, come tutti gli umani accedono alla terza età in momenti e modi differenti. Le uniche cose che i «Baby Boomers» hanno in comune tra loro sono i diciotto anni della categoria alla quale appartengono e il giudizio che su di loro ha il resto della società. Le generazioni X (1965-1980), Y (1981-1995) e Z (1996-2010) li guardano come si può guardare una possibile minaccia al proprio futuro; la Generazione Silenziosa – ovvero quella che comprende le persone nate tra il 1925 e il 1945 – e la «Great Generation» – ovvero i nati tra il 1900 e il 1924 – ormai già rodate nel ruolo di «anziano» se non addirittura di «vecchio», li stanno attendendo al varco del cambio di status, mentre i giovanissimi – i nati dal 2011 in poi, quelli della generazione Alfa – sono troppo impegnati nel restare al passo con il cambiamento epocale della digitalizzazione per occuparsi di gente che, sebbene abbia concorso all’aumento della speranza di vita, tra Woodstock e guerre, ha messo in ginocchio l’intero pianeta. Situazione tutt’altro che semplice quella dei «Baby Boomers», per capirla meglio ci siamo rivolti al prof. Stefano Cavalli, direttore del Centro competenze anziani della SUPSI.
I «Baby Boomers», nel giro di poco tempo, sono tutti destinati a diventare degli «umarell»?
Non direi proprio. I neo-anziani arrivano alla terza età in condizioni fisiche, materiali e spirituali assai diverse rispetto a ciò che l’immaginario collettivo attribuisce all’anziano. Potrei, in una battuta, dirle che alle giornate passate a osservare i lavori nei cantieri o seduti sulle panchine al parco, preferiscono optare per la sdraio, possibilmente su spiagge assolate di Paesi lontani. Ma, al di là della battuta, non va dimenticato che molti «Baby Boomers» forniscono un importante contributo alle famiglie e alla società accudendo – ad esempio – i nipoti, prendendosi cura dei genitori o impegnandosi attivamente in varie associazioni.
Professor Cavalli, la interrompo per un chiarimento: cosa sono,per lei, anzianità e vecchiaia?
Partirei da un dato di fatto. Ovunque e in ogni società ci sono sempre stati dei vecchi, ma, fino all’introduzione della pensione, la vecchiaia come età della vita non esisteva. Da noi, in Svizzera, l’Assicurazione vecchiaia e superstiti (AVS) nasce il 6 luglio 1947. È dunque due anni dopo la seconda guerra mondiale che i vecchi sono riconosciuti come un gruppo sociale a parte, con uno status e dei diritti – ad esempio smettere di lavorare – specifici. Riconoscimento e aiuto inizialmente sono quasi simbolici: una cinquantina di franchi al mese. Poi, anno dopo anno, le condizioni di vita e di salute delle persone che raggiungono il «traguardo della pensione» cambiano. Si delinea così una nuova fase della vita: la terza età, quel periodo in cui si gode ancora di buona salute e si può vivere senza lavorare. Questa, per rispondere alla sua domanda, è l’anzianità. La vecchiaia, o quarta età, invece, la definirei come l’età della fragilità, che si manifesta in modi e tempi diversi. Interrogando diverse persone over 85 sul tema è emerso come per molti l’ingresso nella vecchiaia abbia coinciso con un evento traumatico (una caduta, la morte di una persona cara), mentre per altri si sia insinuata a poco a poco, inconsapevolmente. Ricordo una persona, in particolare, che mi ha detto: «Una mattina, svegliandomi, mi sono accorto che non funzionavo più come prima. Certo, c’erano stati dei segnali, ma mi ero detto che era normale per la mia età. Invece… è stato così che, da un giorno all’altro, mi sono ritrovato vecchio». Penso che la vecchiaia arrivi così, di botto, senza accorgersene
Torniamo ai «Baby Boomers». Entro il 2029 saranno tutti anziani e, se ho ben capito, tra loro, tra qualche anno, ci saranno però anche dei vecchi. Tutto nella norma dunque?
Le rispondo partendo da uno studio – SWISS100 – del quale ha riferito anche «Azione» (si veda l’articolo Il segreto dei centenari sotto la lente del 18 marzo 2024, n.d.r.), nel quale ci siamo occupati dei centenari. Il Ticino è il cantone svizzero con il maggior numero di centenari in rapporto alla popolazione (più di 150). Si tratta di persone molto longeve che hanno attraversato buona parte del secolo scorso. Alcuni partecipanti al nostro studio sono nati durante la prima guerra mondiale e allo scoppio della seconda stavano diventando adulti. I centenari che abbiamo incontrato sono gli ultimi membri della cosiddetta «Great Generation». Nella maggior parte dei casi i loro figli sono nati dopo la guerra, sono parte dei «Baby Boomers». Genitori e figli che appartengono entrambi alla categoria degli anziani, ma che tutto divide, che rappresentano mondi diversi. Tutto ciò è una novità. Pensi al Ticino e, in generale, alla Svizzera. I centenari sono spesso legati al mondo rurale: le mani nodose del contadino, quelle screpolate della casalinga; l’orto, il pollaio, la festa campestre, la partita a carte all’osteria, la tombola o la cantata in compagnia. Ecco, prenda solo quest’ultimo aspetto. Centri diurni e case per anziani propongono il canto insieme come momento aggregativo. Provi adesso a immaginare i «Baby Boomers» in questa situazione. Sono cresciuti con le canzoni dei Beatles, di Joan Baez e dei Doors, al ritmo del rock dei Rolling Stones, di Jimi Hendrix, degli Emerson Lake & Palmer e… potrei continuare, ma mi fermo e le chiedo: se li vede aggregati per cantare la «bella verzaschina»?
No, sebbene conosca la «bellaverzaschina», non me li vedoproprio (forse perché anch’io sono una «Baby Boomer»)…
Immaginavo. È ben chiaro però che tutto ciò mette in discussione dei modelli che, anno dopo anno, stanno mostrando tutti i loro limiti. I «Baby Boomers» sono cresciuti nella società dell’abbondanza, delle rivoluzioni giovanili, della pillola anticoncezionale. Molti hanno iniziato a utilizzare il computer durante la vita lavorativa e oggi passano il tempo su Facebook, mentre la maggior parte dei membri della generazione precedente era già in pensione quando si è diffuso l’utilizzo della posta elettronica. Arrivano alla pensione in salute e, nella maggior parte dei casi, in condizioni economiche tali da consentire loro di dedicarsi a quello che in passato, a causa del lavoro, avevano accantonato: un viaggio, un hobby o, più semplicemente, una vita più libera.
Eppure anche i «Baby Boomers»sanno che, prima o poi,dovranno morire…
Certo che lo sanno, ma anche di fronte a questo tema l’atteggiamento è cambiato. La fragilità, associata all’anticamera della fine, è sicuramente presente, ma in modo completamente diverso. Uno studio del 2016, nel quale SUPSI e HESAV (Haute école de santé Vaud) avevano affrontato il tema del fine vita intervistando 1214 membri di EXIT (di 65 o più anni), permise di stabilire che il motivo principale di adesione all’associazione era la possibilità di autodeterminare, in scienza e coscienza, la fine della propria vita (uno su due l’aveva menzionato). Gli altri motivi, nell’ordine: evitare la possibilità di malattie dolorose o di una vita in stato vegetativo (41%) e, ancora, di essere di peso ad altri (27%). Pur ammettendo che lo studio è sempre uno spaccato della realtà e non la verità rivelata, mi sembra abbastanza evidente che vi sia una trasformazione importante anche sul versante della morte. In generale, i «Baby Boomers» mostrano una maggiore apertura a temi considerati tabù in passato (ad esempio, oltre alle scelte riguardanti il fine vita, l’affettività e sessualità in età avanzata) e accordano una grande importanza a valori quali l’autonomia e la realizzazione personale.
Viste tutte queste differenze ha ancora senso svolgere studi sull’insieme della popolazione anziana?
Sì, ma è sempre più difficile. Confrontare generazioni diverse, persone della terza e della quarta età, è estremamente interessante, ma anche molto complesso. Immagini di dover preparare delle domande da porre sia a un sessantacinquenne sia a una centenaria e magari il primo è figlio della seconda. Approfondire temi quali la fragilità e la dipendenza con un giovane anziano non ha molto senso, così come parlare delle conseguenze del pensionamento con chi ha vissuto la transizione 35 anni fa. Ci sono però delle tematiche di grande attualità che riguardano potenzialmente tutte le persone anziane al di là delle diversità anagrafiche. Penso, ad esempio, alla solitudine e all’isolamento sociale che, badi bene, non sono la stessa cosa. Fenomeni che toccano tutte le generazioni di anziani (e non solo), ma che assumono forme e significati diversi a seconda delle esperienze passate e delle caratteristiche individuali. È su questo che stiamo lavorando.