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Condividete la felicità, non le foto

La campagna nazionale di Protezione dell’infanzia Svizzera invita i genitori a non pubblicare online fotografie dei figli
/ 30/09/2024
Alessandra Ostini Sutto

Nell’era della fotografia digitale, ci viene ormai quasi naturale fissare in un’immagine, o al massimo in un video, la parte che reputiamo più bella di quello che viviamo, pagando però il pegno di non assaporare appieno quel momento. In questo, siamo sì mossi dal desiderio di conservare memoria di un momento speciale, come è sempre stato con la fotografia, ma pure – influenzati dalla permeazione dei social nella nostra vita – di condividere quell’episodio con altre persone e poter dimostrare loro che «c’ero anch’io», appagando in questo modo un bisogno di affermazione.

«Il desiderio di condividere i momenti più belli con amici e familiari è comprensibile. Tuttavia, a maggior ragione se si parla di bambini, è necessario affrontare anche i potenziali pericoli della condivisione di foto e video sui social media», afferma Tamara Parham, direttrice della comunicazione di Protezione dell’infanzia Svizzera, organizzazione che proprio per sensibilizzare su questa tematica ha lanciato all’inizio delle vacanze estive, quando particolarmente tanti scatti vengono postati, la campagna nazionale online «Condividi momenti, non fotografie coi figli».

Ciò di cui stiamo parlando viene denominato sharenting (da to share – condividere – e parenting, genitorialità), termine con il quale si intende quindi il fenomeno della condivisione online da parte dei genitori di contenuti che riguardano i propri figli. Fenomeno che, come detto, nasconde non poche insidie, già per il fatto che, non appena finiscono nella rete, su questi materiali non si ha più alcun controllo. Anche se postato con la migliore intenzione, un dolce scatto del proprio bambino potrebbe infatti capitare che da Instagram finisca sul darknet o che, magari anche dopo anni, sia causa di cyberbullismo. Occorre prestare attenzione anche all’impiego degli hashtag, che possono facilitare la ricerca di immagini di bambini da utilizzare a scopi impropri. Inoltre, nemmeno stratagemmi come coprire il volto del piccolo con un emoji si rivela essere una protezione sufficiente, esistendo già delle app che consentono la loro rimozione.

Date queste premesse, la campagna dell’organizzazione a tutela dell’infanzia mira ad aiutare i genitori, come pure i nonni e le altre persone di riferimento, a trovare un corretto equilibrio tra la legittima propensione a condividere e la protezione dei più piccoli, che resta un nostro compito, nella vita reale come nello spazio digitale. Per farlo, si basa su una rilevazione commissionata all’Università di Friburgo, che ha interpellato 1605 mamme e papà sul loro comportamento rispetto allo sharenting. Genericamente, è emerso che un genitore su dieci posta regolarmente immagini dei figli online. Entrando maggiormente nel dettaglio, l’età dei genitori risulta strettamente connessa al comportamento di condivisione: circa un terzo delle madri e dei padri che posta ogni settimana ha meno di 35 anni e circa il 50% di quelli che condividono su base settimanale rientra nella fascia tra i 36 e i 40 anni.

Nelle persone di età superiore, si trova soltanto qualche genitore che pubblica settimanalmente, ma pure mensilmente, immagini dei figli. «Questi dati spiegano perché immagini e video di bambini piccoli vengono condivisi con una frequenza nettamente superiore sui social media rispetto al materiale che ritrae bambini più grandi», commenta Tamara Parham, che aggiunge una considerazione sulla consapevolezza dei ragazzi rispetto a quella degli adulti: «Oggi i bambini crescono con internet e hanno quindi una certa consapevolezza di questo problema fin da piccoli. Spesso però non comprendono comunque le conseguenze a lungo termine della pubblicazione di immagini, così come, in alcuni casi, i loro genitori». Non tutti gli utenti sono infatti in grado di immaginare l’estensione e la profondità della rete, i cui utenti sono attualmente circa 5 miliardi e come, all’interno di essa, un’immagine caricata possa facilmente venir condivisa su altri canali. «Oltre a far riflettere su questi aspetti, Protezione dell’infanzia Svizzera vuole indicare delle alternative, per esempio condividere l’amore per i propri figli, piuttosto che i loro volti, come testimoniano alcune immagini della campagna», spiega la direttrice della comunicazione, «molti bei momenti vissuti in famiglia possono infatti essere postati in modo che i bambini non siano riconoscibili nelle foto o nei video».

Abbiamo fin qui accennato ai pericoli digitali dello sharenting, ma vediamoli più da vicino. Innanzitutto, è noto come in rete vi sia chi cerca foto di bambini da diffondere tra persone con interessi di carattere sessuale verso i minori, i quali, a loro volta, possono ulteriormente condividerle con altri utenti. Situazione, questa, peggiorata dall’intelligenza artificiale, con la quale è possibile generare immagini o video di violenza sessuale sui bambini basandosi in parte su immagini vere di minori. In aumento sono pure i casi di sextortion (estorsione sessuale), in cui bambini e adolescenti (o i loro genitori) vengono ricattati con immagini di nudo prodotte artificialmente, servendosi di informazioni accessibili sui social.

Se i figli hanno dei propri profili, le foto condivise possono pure condurre al Cyber Grooming, e cioè il tentativo di adescamento di minori a scopi sessuali tramite internet, che, nel caso in cui le immagini vengano pubblicate insieme a dati sensibili, come il luogo di domicilio, può, nel peggiore dei casi, aver pure luogo nel contesto reale. Oltre a quanto elencato, la condivisione di contenuti in rete può potenziare delle problematiche tipicamente connesse all’età infantile e giovanile, come il bullismo. Le immagini di bambini – specie quelle potenzialmente imbarazzanti, ma non solo, viste le possibilità di rielaborazione digitale – possono infatti essere utilizzate per esercitare questa forma di violenza sul soggetto.

Tutti questi effetti sicuramente non desiderati del condividere immagini dei propri figli online possono a loro volta generare una perdita di fiducia di bambini e ragazzi nei confronti degli adulti, colpevoli di aver fornito loro un’identità digitale non voluta nonché di averne ignorato i diritti. Condividere contenuti digitali senza aver chiesto il consenso ai figli viola infatti il diritto alla sfera privata degli stessi, sancito dalla Convenzione dell’ONU sui diritti dell’infanzia. Un aspetto non sempre considerato dai genitori, come attesta l’indagine condotta dall’ateneo friburghese, secondo cui il 45% dei genitori interpellati non chiede l’autorizzazione ai figli prima di postarne le foto. Ovviamente, i bambini molto piccoli non possono dare il proprio consenso e, anche crescendo, bisognerebbe valutare se dispongono delle necessarie competenze per farlo. A muovere i genitori nelle loro scelte – oltre alla possibilità, di cui va comunque precisata l’esistenza, dei figli di richiedere, con effetto retroattivo, il diritto all’autodeterminazione – dovrebbe quindi essere sempre il bene del bambino.