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La condivisione passa anche dal linguaggio
Il caffè dei genitori: il nostro Caffè delle mamme cambia nome ma rimane uno spazio di riflessione e racconto comune
Simona Ravizza
Ottantadue appuntamenti a Il caffè delle mamme, da quel 13 novembre 2017 in cui ci dicevamo che la cosa migliore non è preparare la strada ai nostri figli, ma prepararli alla strada, e ci domandavamo: «Può passare anche dal fargli riempire una lavastoviglie a 10 anni?». Ottantadue appuntamenti che hanno preso vita davanti ai cappuccini e alle brioche consumati al bar di fianco alla scuola: i dubbi, i propositi, le letture, le aspirazioni, le frustrazioni e i dibattiti condivisi tra amiche subito dopo avere accompagnato i bambini davanti all’ingresso sono diventati spunti di riflessione per la rubrica che avete letto ogni mese e che è cresciuta insieme con i nostri figli. In questi sette anni loro hanno imparato ad andare a scuola da soli, e gli appuntamenti di noi mamme al Caffè adesso continuano soprattutto in immancabili telefonate in cui il confronto senza filtri resta l’unica regola. All’ordine del giorno: i modelli educativi; i tabù da affrontare durante la crescita; la scoperta della sessualità; il passaggio dall’avere in casa bambini che sorridono alla gestione dei neo-adolescenti che ringhiano, con la conseguente domanda: «Dove ho sbagliato?»; la famiglia tradizionale e quella allargata. Argomenti seri, dai quali però non vogliamo mai farci sopraffare: di qui l’esigenza di un po’ di frivolezza; l’onestà nell’ammettere la nostra fatica mentale; la concessione che talvolta facciamo a noi stesse nel dirci: «Lo faccio per me e non per questo i miei figli saranno votati all’infelicità!». Un po’ di autoironia per raccontare quello che viviamo con lo sguardo di quello che siamo, ossia donne-amiche-mamme-mogli.
Ottantadue appuntamenti dopo, e soddisfatte della strada fatta insieme, abbiamo deciso di fare un passo in più: da oggi la rubrica che leggete cambierà nome e diventerà Il caffè dei genitori. Lo facciamo adesso perché convinte che la realtà cambia se cambiano le parole che usiamo per raccontarla e rappresentarla. Di più: lo facciamo adesso perché siamo convinte che la realtà sta già cambiando e sono sempre di più i papà che si sentono offesi se tagliati fuori dalle chat scolastiche, non trovano un fasciatoio nei bagni degli uomini, il pediatra si rivolge solo alla mamma. Vogliamo la condivisione e la condivisione deve passare anche dal racconto comune: piuttosto che un Caffè delle mamme è meglio allora un Caffè dei genitori. È una decisione che nasce anche da una piacevole scoperta: sono sempre di più i papà che leggono la rubrica e scrivono per sottolineare che si sentono discriminati dal suo titolo. Il primo è Paolo Foa, 39 anni, ingegnere ambientale, neo padre di Oliviero, che il 9 dicembre 2022, alle 00.08. invia un’e-mail ad «Azione»: «Ho letto con interesse il suo articolo La parità di genere spiegata ai nostri figli, sensibile all’argomento della parità/suddivisione dei compiti nella coppia e fresco papà, le lancio una provocazione: ma se la parità cominciasse da un cambiamento del nome della sua rubrica?». Ammettiamolo: per decidere di cambiare ci abbiamo messo un po’, ma da allora gli stimoli per farlo si sono moltiplicati ed eccoci qui. Insieme al Caffè: mamme e papà. Ma anche genitori single e coppie omogenitoriali.
Vera Gheno, sociolinguista tra le più accreditate, 20 anni di collaborazione con l’Accademia della Crusca, mi fa riflettere su come la comunicazione attraverso un linguaggio inclusivo può influire sulla visione della famiglia: «Un papà che sta con i figli è un papà, non un mammo – sottolinea –. Un uomo che condivide con la propria partner il peso dei lavori di casa è un uomo che condivide con la propria partner il peso dei lavori di casa, non “uno che aiuta”».
Lo psicanalista Massimo Recalcati ci insegna che una buona mamma non è una madre che vive solo per il suo bambino, annulla tutto il resto e anche il suo essere donna, per cui diventa una madre-tutta-madre il cui desiderio è incentrato solo sul bambino (destinato a essere l’oggetto che colma la sua mancanza), altrimenti il rischio è che diventi una madre-coccodrillo che si sacrifica per la vita del figlio tendendo a inglobare tra le sue fauci l’intera esistenza, come in una eterna gravidanza. È da scongiurare, però, anche il rischio della madre-narcisa, troppo occupata a perseguire il successo nel lavoro o le relazioni personali. Insomma: la donna-madre vive costantemente in un precario equilibrio tra l’essere troppo e l’essere troppo poco. L’impressione è che se i figli hanno qualche problema sia sempre una questione di mamme. Amy Chua, avvocato e scrittrice statunitense, ci fa conoscere la mamma-tigre, che obbliga tutti i giorni le figlie a esercitarsi per ore in matematica, ortografia, piano e violino, anche nei fine settimana. La madre-drago di Marisa Dillon Weston è quella che non prende in considerazione la possibilità che la figlia abbia un’esistenza diversa da sé, ne fa un prolungamento fisico e psichico. La madre-frigorifero è un termine coniato a metà del secolo scorso per incolpare le madri dell’autismo dei figli, teorizzando che la causa sia la mancanza dell’amore materno.
Sui padri non ci sono tutti questi appellativi entrati nella letteratura; a memoria viene in mente solo il padre-tiranno raccontato dal tennista Andre Agassi nelle pagine autobiografiche di Open: «Da ragazzino ho odiato il tennis, vivevo nella paura di mio padre, che mi voleva campione a tutti i costi».
È davvero arrivato il momento, allora, di dire basta!!! E a sorpresa a chiedercelo sono proprio i papà. Loro che finora hanno rappresentato soprattutto la legge (per dirla ancora con Recalcati) adesso sono pronti a dire forte e chiaro: «Riguarda anche noi». Parole che possono essere magiche nell’abbattere gli stereotipi. Benvenuti a Il caffè dei genitori!