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Le adozioni sono in calo, molte le cause
La diminuzione del numero di bambini adottati da Paesi esteri è un fenomeno di portata generale, ne abbiamo parlato con Sabina Beffa, capo dell’Ufficio dell’aiuto e della protezione del Canton Ticino
Alessandra Ostini Sutto
L’adozione di un bambino è un gesto di profonda generosità e amore, che richiede grande forza e vera motivazione, anche perché il percorso per arrivarvi comporta una fatica spesso non del tutto immaginata né compresa.
Purtroppo però, da ormai oltre un decennio, in Ticino come nel resto della Svizzera e nei Paesi per tradizione aperti ad accogliere bambini bisognosi di una famiglia, le adozioni internazionali sono in calo. «Si tratta di un calo progressivo e inevitabile. A livello svizzero, secondo i dati dell’autorità centrale federale, siamo passati dalle 275 adozioni del 2008 alle 30 del 2023; a livello ticinese, dai 24 minori giunti nel 2008 ai 7 dello scorso anno», illustra Sabina Beffa, a capo dell’Ufficio dell’aiuto e della protezione.
Il fatto che la situazione nel nostro Cantone appaia migliore in confronto a quella della media nazionale può spiegarsi con la presenza, sul territorio, di due intermediari molto attivi, degli enti privati che fungono cioè da «ponte» tra i candidati all’adozione e i Paesi d’origine, rendendo per i primi un po’ più semplice e incentivante il processo. L’Associazione Chaba Adozioni è stata fondata nel 2008 con lo scopo di sostenere e accompagnare coppie e famiglie residenti in Svizzera che decidono di presentare una domanda di adozione in Thailandia; dal 2021 però l’assunzione di nuovi incarichi è temporaneamente sospesa, mentre rimane garantita l’attività nel sostegno delle famiglie impegnate nel percorso adottivo. L’Associazione Mani per l’infanzia, costituita nel 2006, ha invece iniziato una collaborazione con l’Etiopia nel 2008, cui si è aggiunta quella con Haiti. Attualmente è aperta a Burkina Faso, Repubblica Dominicana, Perù e Colombia. «Per ogni nuovo canale che si apre, si pongono specifiche condizioni ai Paesi disposti ad adottare, per esempio la richiesta di un periodo di avvicinamento molto lungo oppure la messa in adozione soltanto di bambini già grandi», commenta Sabina Beffa.
La Convenzione dell’Aja dal 2003
In generale, la Convenzione dell’Aja sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione internazionale, entrata in vigore in Svizzera nel 2003, può essere considerata una prima ragione del calo delle adozioni internazionali. La Convenzione, come scrive Sabina Beffa nell’articolo Calo delle adozioni internazionali: un fenomeno di portata generale, pubblicato sul Notiziario statistico 2024-22 dell’Ufficio cantonale di statistica, «si fonda sul principio della sussidiarietà dell’adozione internazionale, che può avere luogo soltanto se nel Paese d’origine sono fallite tutte le misure atte a permettere al minore di restare nella sua famiglia o se non è stato possibile trovarne una d’accoglienza idonea. Fra i suoi lodevoli obiettivi, vi è quello di stabilire delle garanzie affinché le adozioni internazionali si facciano nell’interesse del minore e per impedire la vendita e la tratta di minori, così come quello di instaurare un sistema di cooperazione fra gli stati contraenti al fine di assicurare il rispetto di queste garanzie». Ponendo tali paletti a tutela della protezione del minore e della correttezza dell’esecuzione della procedura di adozione, la Convenzione ha fatto sì che queste ultime diventassero più restrittive. Oltre a ciò, essa si traduce nel fatto che sempre meno nazioni sono aperte all’adozione internazionale, con la conseguente significativa diminuzione del numero dei bambini adottabili.
Paesi d’origine instabili
Sul calo delle adozioni internazionali giocano poi un ruolo le fluttuazioni geopolitiche dei Paesi d’origine. «L’ultimo esempio è Haiti, uno dei canali più recenti aperti per l’adozione, dove dal 1° giugno 2023 la Svizzera ha introdotto una moratoria considerando troppo elevato il rischio causato dalle tensioni sociali e politiche che affliggono il Paese – spiega Sabina Beffa – prima c’era stato il caso dell’Etiopia, uno dei Paesi che maggiormente collaborava con la Svizzera e che dal 2018 ha deciso di abolire l’adozione internazionale, preferendo le soluzioni interne».
Pure la pandemia ha comportato, tra le altre cose, un ulteriore rallentamento alle procedure di adozione, cui hanno contribuito anche i progressi della medicina nell’ambito dell’infertilità.
«Dal punto di vista delle domande di adozione si nota effettivamente un calo», afferma Sabina Beffa. Uno degli elementi che maggiormente scoraggia i potenziali genitori è l’età del bambino da adottare. Il bebè – il sogno dei più – è ormai l’eccezione piuttosto che la regola. «Sempre più Paesi chiedono poi la disponibilità ad adottare minori con “special needs”, bisogni speciali in termini di salute o di background, per i quali più difficilmente si trova una soluzione in patria», aggiunge la responsabile dell’Ufficio dell’aiuto e della protezione. «Tornando all’età, se il desiderio – tendenzialmente – è quello crescere un bambino dalla primissima infanzia, diverso è accoglierne uno che ha già un suo carattere e un vissuto più importante – commenta Beffa – rispetto alla genitorialità naturale, quella adottiva presuppone infatti un lavoro supplementare per poter creare un legame di attaccamento, tenendo conto dell’età, delle esperienze e della storia del bambino, fatti, inevitabilmente, di traumi ma anche di rapporti precedenti».
Tempi lunghi e qualche novità
Altri elementi che possono demotivare i genitori ad arrivare in fondo all’iter che porta all’adozione sono le difficoltà della procedura, i tempi lunghi e il rischio di non riuscirci proprio. «Effettivamente la certezza non c’è, come testimonia l’esempio dei genitori che si erano candidati per Haiti», afferma Sabina Beffa.
Il Settore affidamenti famigliari e adozioni propone ai genitori interessati al progetto adottivo una consulenza approfondita, in cui viene spiegato tutto ciò che riguarda il processo di adozione. «Se i candidati decidono di proseguire, il percorso di valutazione di idoneità dura indicativamente sei mesi; dopodiché bisogna preparare il dossier da presentare al paese d’origine e possono passare dai tre ai cinque anni», continua l’esperta. Nonostante le difficoltà, di famiglie in attesa ce ne sono sempre: «Nel 2023 erano 37 le famiglie che attendevano l’arrivo di un bambino, mentre 7 sono stati quelli effettivamente giunti; l’anno precedente le famiglie in attesa erano 44 e i bambini arrivati nel nostro Paese nel corso dell’anno 9», esemplifica Sabina Beffa.
Tra le famiglie in attesa dal luglio del 2022 possono figurare pure coppie dello stesso sesso. «Con il matrimonio gay si è aperta l’adozione alle coppie omogenitoriali e qualche richiesta effettivamente c’è stata», precisa Sabina Beffa.
Restando in tema legislativo, cambiamenti significativi ce li riserva, probabilmente, il futuro; nel nostro Paese sono infatti state poste le basi affinché il diritto in materia di adozioni internazionali venga rivisto, con conseguenze nella pratica dell’adozione nei prossimi anni. «A seguito dello scandalo delle adozioni illegali dallo Sri Lanka negli anni Ottanta-Novanta, e in altri Paesi come confermato da studi, il Consiglio Federale – riconoscendo e condannando il fatto che le autorità elvetiche non abbiano adottato adeguate misure di contrasto – ha demandato approfondimenti a un gruppo di esperti; il rapporto è atteso entro la fine del 2024», spiega il capoufficio.
Adozioni nazionali e affido
Abbiamo fin qui parlato delle adozioni internazionali, ma di quelle nazionali ve ne sono? «Pochissime; si contano sulle dita di una mano e anche su più anni, nel senso che non tutti gli anni ne abbiamo – ci spiega Sabina Beffa – questa situazione è legata ad un aspetto culturale svizzero, il quale fa sì che nel nostro Paese si prediliga l’affido familiare». L’adozione in Svizzera è infatti completa, il che significa che prevede la rescissione di tutti i legami di sangue. «Prima che un genitore naturale arrivi a rinunciare completamente al proprio figlio davanti a un’autorità e prima che quest’autorità chieda di farlo viene preferito un altro tipo di soluzione, nello specifico il collocamento in una famiglia affidataria oppure in una struttura, come un centro educativo o un foyer», afferma Sabina Beffa, che precisa: «Nel 2018 è stata introdotta una modifica del codice civile la quale prevede, a determinate condizioni, che i legami di sangue tra i genitori e il minore vengano mantenuti ma, a dire il vero, non l’ho ancora vista applicata nel nostro Cantone».
Quello che invece può succedere – anche se non accade spesso – è che nel caso di un affido familiare si presentino a un certo punto le condizioni affinché la famiglia affidataria possa adottare il minore che aveva accolto in affido.
Di famiglie affidatarie in Ticino, comunque, c’è sempre bisogno. «Abbiamo avuto una contrazione, che abbiamo collegato alla pandemia e alla recessione economica, e ora, per fortuna, si nota qualche segno di ripresa», commenta il capo dell’Ufficio dell’aiuto e della protezione. Se adottare – come visto – non è facile, c’è quindi un’altra via che può essere presa in considerazione, non esente, ovviamente, neppure questa da difficoltà, ma per percorrere la quale ci sono sicuramente più possibilità.