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Peccia, l’energia dell’infinitamente piccolo

Incontri: Urezza Famos, direttrice del Centro di scultura di Peccia e co-presidente della Lia Rumantscha, si definisce una costruttrice di ponti fra cultura, politica ed economia e ci racconta la notte dell’alluvione e i giorni immediatamente successivi
/ 15/07/2024
Matilde Fontana

Solo tre giorni dopo lo shock che ha sconvolto la loro vita e il loro territorio, la Valle Bavona e la Lavizzara si sono presentate unite a lanciare la ricostruzione: è la resilienza, l’energia dell’infinitamente piccolo!

Per una singolare coincidenza, in Lavizzara sono salita il giorno precedente il passaggio di quell’onda anomala che ha spazzato la Valle Maggia. Per incontrare Urezza Famos, una donna che di realtà infinitamente piccole e recondite se ne intende: è contemporaneamente la direttrice del Centro internazionale di Scultura di Peccia e la co-presidente della Lia Rumantscha.

Ho il tempo di visitare la bella mostra che quest’anno prende spunto dalle «Forme dell’energia» prima che la direttrice mi raggiunga ad uno dei tavolini all’ingresso del padiglione espositivo del Centro dedicato alla scultura. È una giornata straordinariamente tersa e calda di questa estate mai veramente partita. Nessun presagio di tempesta.

Scattante nella sua tuta leggera, la signora dall’entusiasmo contagioso svolazza dentro e fuori, informa i turisti tedeschi interessati alla sorprendente vita culturale dell’alta valle, verifica che tutto sia pronto per la visita guidata del tardo pomeriggio, controlla la postazione per il cinema all’aperto (uno degli eventi promossi dal Centro), telefona per assicurarsi che vino, salumi e formaggi arrivino in tempo per l’aperitivo. E quando si risiede per qualche minuto al tavolino dispensa saluti a tutti, residenti e turisti che non possono sfuggirle sulla strada che passa proprio davanti al Centro: chi sale ai Piani di Peccia o a Mogno, chi scende a Prato Sornico. Un cenno della mano, un sorriso, una battuta.

Mi incuriosisce il suo nome, Urezza, mai sentito prima di conoscere lei. «È la brezza del mattino presto che scende dalle montagne della bassa Engadina», mi spiega. E racconta delle difficoltà incontrate dalla famiglia per poter battezzare la bambina col nome del vento. «Oggi siamo in sei a portare il nome della brezza mattutina engadinese in giro per la Svizzera. – aggiunge divertita – Una neonata mi è appena stata presentata a Berna».

Anche il cognome, Famos, affonda le radici secolari in terra engadinese e condivide con tante famiglie delle valli alpine una storia di emigrazione. Il bisnonno aveva fatto fortuna con l’arte della pasticceria a Foggia, dove erano celebrate le sue impareggiabili millefeuilles. Poi la Seconda guerra mondiale costringe i Famos al rientro in patria: il nonno diventa albergatore a Martina, padre e madre albergatori ampliano le attività imprenditoriali a Martina e in zona franca a Samnaun. Urezza studia economia e si dedica agli affari di famiglia per vent’anni, poi si specializza in management culturale e si divide tra Zurigo e l’Engadina con il suo ufficio di consulenza e di comunicazione. E fa la mamma. Per altri vent’anni.

Il Ticino l’ha sempre avuto nel cuore, fin da ragazzina, quando ha scelto di trascorrere le vacanze estive lavorando in un grotto del Locarnese. «Sarà stato forse per la storia familiare legata all’Italia o per la lingua madre latina – riflette – comunque l’occhio sul Ticino l’ho sempre tenuto». Occhio vacanziero fra le montagne della valle Maggia e della valle Bavona, ma poi anche occhio professionale, maturato di consulenza in consulenza. E così la manager engadinese ha finito per lasciare le opportunità della grande Zurigo per prendere in mano le sorti del piccolo Centro internazionale di scultura.

Ammette che, quando l’hanno contattata, un po’ di tempo per pensarci su se l’è preso. Un mese per rifletter come riorganizzare la vita e poi, armi e bagagli, si è trasferita a Peccia, frazione del comune di Lavizzara.

Una bella sfida. In valle il Centro di Scultura non piaceva a tutti. Si è andati persino in votazione popolare per garantirne il finanziamento. Ma in poco più di un anno Urezza si è fatta conoscere e ha fatto conoscere il potenziale rivitalizzante di un centro culturale internazionale: mostre, eventi, artisti in residenza, feste, anche fuori stagione.

Decisa e intraprendente, la signora Famos si porta in dote notevoli contatti ed esperienze nel settore del management culturale, che non esita a combinare con una buona dose di naturale empatia, organizzazione e persino capacità manuale. Chiacchierando mi propone di seguirla nell’ala del Centro che ospita gli ateliers vetrati sul grande laboratorio a cielo aperto, a disposizione degli artisti che vengono da tutto il mondo a lavorare a Peccia. Deve accordarsi sulla scenografia dell’aperitivo serale con un giovane scultore polacco, alle prese con tre grandi dischi di marmo bianco. Discute di argani e catene e mi presenta Miroslaw Baca, venuto a scolpire nel marmo della Lavizzara una grande installazione per l’ingresso della nuova sala da concerti di Cracovia.

Tra una cassa di bicchieri e l’altra, mi offre una fetta di torta engadinese che ha preparato la mattina. La migliore che abbia mai assaggiato: sarà per il miele di Fusio o per l’arte pasticciera ereditata dal bisnonno engadinese rinomato a Foggia?

Comunque sia, l’Engadina resta metà della vita di Urezza. Moderna manager favorita dalle tecnologie della comunicazione, vive affetti e sfide professionali da migrante stagionale tra le montagne ticinesi e quelle grigionesi, tra la Lavizzara e l’Engadina, passando per Coira, dove studia il figlio e dove ha sede la Lia Rumantscha.

Sì, perché, a proposito di infinitamente piccolo, Urezza si è lanciata con entusiasmo anche alla guida della Lia Rumantscha, che gestisce dallo scorso anno in un’inedita co-presidenza al femminile. «Con Gianna Luzio, la mia giovane collega, ci siamo trovate subito sulla medesima lunghezza d’onda e siamo perfettamente complementari: a lei la lobbying politica, a me l’economia culturale».

Un’altra bella sfida: mantenere l’attenzione viva su una micro-realtà linguistica diluita in 5 varianti regionali sparse in remote valli alpine…

La sua ricetta combina il turismo culturale (corsi di lingua abbinati ai soggiorni di vacanza in montagna) alla rivitalizzazione della diaspora romancia. Infatti, se nelle sue valli il romancio gode relativamente di buona salute, secondo la presidente resta però ancora molto da fare per aumentarne la visibilità: «Dobbiamo trovare altri ambasciatori del romancio, come è stato Martin Candinas a Berna lo scorso anno, alla presidenza del Consiglio Nazionale. Ma soprattutto è fondamentale tener vivo l’uso della lingua nelle famiglie miste o emigrate fuori dalle valli. Ne ho avuto esperienza diretta con mio figlio, con cui nella grande città ho faticato a tener vivo l’uso della lingua di famiglia, il Valader dell’Engadina. Oggi però mi ringrazia di avergli sempre parlato romancio e capisce l’importanza della sua lingua materna».

Congedandola velocemente le chiedo come si definirebbe in un selfie di parole: «Una costruttrice di ponti, fra cultura, politica ed economia», risponde decisa. «Brückenbauerin» specifica in tedesco, nel caso non fosse stata sufficientemente chiara nel suo italiano fluente, ma che vorrebbe perfezionare ulteriormente da brava ticinese d’adozione.

C’è già chi l’attende per la visita alla mostra e il furgone del cinema all’aperto è in arrivo.

Riesco a ricontattarla finalmente via mail quattro giorni più tardi. Nel frattempo la potenza della natura i ponti li ha spazzati via, e le strade, le case, le vite: dai Piani di Peccia giù giù lungo la valle fino a Cevio. Il villaggio di Peccia si è salvato miracolosamente, con il Centro di Scultura.

Urezza mi rassicura in poche righe: «Qui da noi è passato l’angelo della fortuna». Nei giorni di isolamento comunicativo e di interruzione di acqua ed elettricità ha aiutato «la Cornelia del Ristorante Medici a metter su una cucina d’emergenza. Ho portato su il grill a gas del Centro e le bottiglie d’acqua della nostra scorta», conclude laconica la comunicazione.

Ci risentiamo al telefono esaurita l’adrenalina dell’emergenza. È la prima giornata di riposo dopo una settimana trascorsa soprattutto al ristorante, a fianco dell’infaticabile Cornelia, ma anche a gestire le pratiche amministrative urgenti per il Centro e l’organizzazione degli spostamenti degli artisti, colpiti dall’emergenza fuori e dentro la valle.

«Sono stati giorni faticosi ma indimenticabili per la carica di solidarietà vissuta nella valle isolata». Urezza mi racconta che a una settimana dal disastro Peccia è silenziosa. Chi voleva o doveva uscire dalla valle è partito. Anche Miroslaw, lo scultore polacco in residenza al Centro, ha preferito abbandonare le montagne per qualche giorno. Aveva bisogno di città. «Lo capisco – spiega la direttrice – io sono nata in montagna e conosco la potenza della natura, ma non tutti sono abituati alle piene dei fiumi e ai sassi che rotolano. E comunque la notte del disastro ho avuto paura anch’io. Ero in casa a Peccia e non riuscivo a dormire tanto intensi erano i fulmini e tanto fragorose le frane che circondavano il paese. Ho provato a chiamare la mia famiglia al telefono, ma non c’era campo e subito dopo si sono spente anche le luci. Poi ho sentito sirene in lontananza. Sono corsa al Centro per controllare che fosse tutto ok e tornando a casa ho visto che il villaggio era tranquillo. Solo all’alba abbiamo iniziato a capire cosa era successo sopra e sotto di noi».

Per alcuni giorni l’osteria è stata crocevia di pompieri, polizia, squadre di salvataggio. E soprattutto familiare punto di riferimento per la popolazione isolata alle prese con le pale per rimuovere fango e detriti.

«Tutti bravissimi, infaticabili! Ma mi ha impressionato particolarmente l’energia dei giovani e giovanissimi che hanno ripulito la loro valle a una velocità incredibile».

Urezza, il vento mattutino dell’Engadina, presidia il suo Centro internazionale di Peccia, graziato dal disastro. Un paio di artisti in residenza sono rimasti. Gli altri torneranno presto. Gli eventi organizzati in luglio sono annullati. Ma ad agosto si riparte.