azione.ch
 



Il bello di incontrarsi allo Spazio L’ove

Visita al Luganetto, uno stabile di Viganello dove un gruppo di creativi propone arte e serate conviviali
/ 08/07/2024
Sara Rossi Guidicelli

Tutto parte dal Cinema. E arriva a qualcosa di ancora più importante.

Vado al Luganetto, uno stabile degli anni Quaranta dall’aria simpatica, nel cuore di Viganello, che un tempo era il refettorio per gli operai di una ditta edile. Vado a incontrare l’Associazione Luganetto, quella che da alcuni anni gestisce lo Spazio culturale L’ove. Quando cammino per Lugano e vedo un edificio con una storia, non troppo alto e più vecchio di me, sono sempre felice.

Sono rari momenti e, ancora più rari, in città, sono i luoghi dove si può andare a fare qualcosa di oramai speciale, rivoluzionario e desueto: stare con altra gente. Magari senza spendere niente, senza badare al vestito e senza uno scopo preciso: semplicemente ci andiamo per vivere.

Dentro lo Spazio L’ove trovo Eleonora, che mi accoglie con entusiasmo e mi mostra il suo ufficio dove lavora per un’azienda medica: lo condivide con due grafiche; due altre porte racchiudono i locali dove lavorano altre 10 persone. Vanni, film-maker, mi fa un caffè nella cucina, poi ci sediamo in salotto, nel grande salotto con la lunga vetrata, il divano verde, lo spazio per conferenze o spettacoli. Le poltroncine piano piano si riempiono: arrivano altri abitanti della casa. Non che vivano qui nel senso stretto della parola: un letto ce l’hanno altrove, ma a Luganetto passano moltissimo tempo, non solo di lavoro.

C’è Muriel, che è arrivata da Losanna 15 anni fa per studiare comunicazione visiva ed è rimasta a Lugano; Antonio Prata, che già conosciamo perché è un programmatore cinematografico e dirige il Festival dei Diritti Umani; Alan, regista e insegnante di video al Csia, che arriva per ultimo. Del Comitato fanno parte cinque persone, mentre nello spazio di coworking lavorano in tredici.

«All’inizio volevamo trovare un posto per proiezioni cinematografiche», racconta Antonio, che nel 2018, dopo la chiusura del Living Room, si è ritrovato senza una sala per la rassegna Nuovo Cineroom. E così hanno trovato questo bell’edificio vuoto, appena lasciato dalla Comunità aramaica e che risuonava ancora dei loro canti, balli e momenti conviviali. «Poi è arrivata la pandemia e una compagnia di registi, fotografi, grafici, ha preso qui la propria scrivania. Fanno parte della scena artistica luganese che si sta sviluppando in questi anni. Finiti i lockdown, e dopo l’abbattimento del Macello, si è rafforzata la voglia e la ricerca di spazi dove incontrarsi e sviluppare idee: si rivendicava il bisogno di luoghi dove far nascere ciò che sentivano premere dentro».

L’esperienza della Straordinaria Tour Vagabonde è stata un detonatore: grazie a una torre di legno ci si è accorti che era possibile avere in città un luogo dove andare, magari senza spendere niente, senza badare al vestito e senza uno scopo preciso: semplicemente dove ritrovarsi e vivere.

Ora si dice che in Città c’è un vuoto, che mancano gli spazi della cultura indipendente. Se ne parla molto, ma… qui dove sono oggi c’è una sacca di resistenza. Lo Spazio L’ove ha una programmazione che propone spettacoli teatrali, performance musicali, conferenze, mostre d’arte, proiezioni di film, presentazioni di libri e soprattutto è un luogo di creazione artistica; funge da ritrovo per altre associazioni, ha accolto Radio Gwendalin, #cine Lugano vi ha trovato una casa. Ma è lo scambio umano che rende questo salotto uno dei più preziosi che vi siano ora in città.

«Noi siamo qui ogni giorno per lavoro», racconta Vanni. «Ma poi in cucina, con una tazza di caffè in mano, nascono idee e desideri». Mi viene in mente come un fulmine La storia infinita. Ricordate cosa dice? Che se muoiono le idee e i desideri si distrugge un mondo fantastico e tutti noi diventiamo docili e governabili.

Ma torniamo nel nostro salotto. Muriel spiega: «Cerchiamo di proporre personaggi e artisti meno conosciuti o della scena sperimentale. Chi ha già il suo posto nei grandi teatri o sale da esposizione o concerto, è già a posto. Noi diamo la possibilità di esibirsi e farsi conoscere ai futuri ospiti dei grandi palcoscenici… da qualche parte devono pur cominciare, no?». All’inizio è andato tutto con il passaparola. Si aspettavano qualche amico, oggi hanno cinquecento tesserati tra i 18 e i 70 anni e sono sempre aperti a nuovi arrivi.

«In pratica condividiamo con altri quello che piace a noi, stiamo attenti alla qualità e alla novità. Poi ci sono moltissime proposte che ci arrivano da fuori. Il lavoro è tanto e ovviamente è tutto a titolo di volontariato», sorridono. Mi immagino le giornate a organizzare, le sere ad accogliere, le mattine a pulire. Che lavoro prezioso per la comunità. Ma c’è una spada di Damocle sopra la loro testa: lo stabile è già in vendita, probabilmente verrà abbattuto (un altro pezzo di Lugano che se ne va) per farne palazzine di appartamenti, non una piazza, un orto o un campo dove inventarsi cosa fare. Ricordo un’urbanista che diceva: ogni paese o città dovrebbe avere qualche spazio libero, senza una funzione precisa. È lì che si vive davvero, che si trova se stessi. Ci si incontra, qualcuno porta una seggiolina per fare due chiacchiere, i bambini danno vita a un gioco che prima non esisteva; lì, possono nascere idee nuove e nuovi stili musicali. Alan le dà ragione: «Non è nella solitudine che si può creare. Confrontarsi solo con se stessi non porta a niente, non dà né fiducia, né stimoli. Questo spazio mi ha salvato quando ho finito la scuola e c’era il Covid».

Torniamo al salotto. «Chiediamo di essere riconosciuti», mi spiegano Eleonora e Julie, la nuova arrivata in Via Luganetto 1. «C’è molto da fare in Ticino per riconoscere il valore della cultura indipendente; ci vorrebbe una normativa che ci permetta di fare progetti a lunga scadenza in edifici dall’affitto moderato; ci vorrebbe una tolleranza maggiore rispetto al rumore e agli orari di chiusura». A Zurigo ci sono quartieri interi votati al ritrovo di persone che coltivano il piacere di stare insieme; la municipalità fa in modo che questo sia possibile perché sa che è un investimento nella qualità di vita degli abitanti e nella creazione artistica cittadina. Permette a persone che fanno lavori poco redditizi di avere una scrivania o un atelier e di restituire alla popolazione aprendo ogni tanto le porte del suo studio. E sa anche che la felicità genera un rumore più bello di quello dei cantieri.

«C’è una cosa importante che si sta dimenticando», mi dicono. «Che la cultura si crea nell’incontro. Va benissimo offrire prodotti artistici già fatti, ma non possiamo rifiutarci di dare alle persone l’humus dove far nascere qualcosa». Si dice spesso che i telefonini stanno distruggendo il nostro modo di stare insieme. Ma lo sviluppo urbanistico, allora? «La cultura indipendente ti permette di conoscere il tuo vicino di casa. Di affezionarti al territori in cui vivi. Perché vieni qui e ti metti comodo, puoi arrivare molto prima e ripartire molto dopo la proposta artistica; incontri persone, parli di quello che ti sta a cuore, vedi che non sei solo al mondo e ti accorgi che non hai bisogno di molto altro».