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L’inclusione inizia dalle città

Autismo: la Fondazione Ares promuove un progetto che coinvolge Bellinzona, Lugano e Locarno per sensibilizzare commercianti, operatori turistici ed enti pubblici sui bisogni delle persone che soffrono di un Disturbo dello Spettro Autistico
/ 27/05/2024
Stefania Hubmann

La qualità di vita di bambini e adulti che soffrono di un Disturbo dello Spettro Autistico (DSA) passa sempre più da una diagnosi precoce seguita da interventi mirati, ma pure dalla possibilità di partecipare nella quotidianità alle attività tipiche della comunità di riferimento. Ciò significa ad esempio andare al supermercato, al ristorante, dal parrucchiere. All’apparenza azioni semplici che a queste persone e alle loro famiglie richiedono però grandi sforzi per superare le barriere derivanti dalla loro condizione. La Fondazione Ares (Autismo Risorse e Sviluppo) ha promosso tre anni fa il nuovo progetto La città che include, iniziando da Bellinzona dove ha la sua sede aperta al pubblico quale centro di informazione e documentazione e dove operano una quindicina di persone attive nella formazione, nella consulenza e negli interventi dalla prima infanzia all’età adulta. Dalla capitale l’iniziativa è stata estesa nel 2023 a Lugano, mentre quest’anno è Locarno ad avviare il processo che porta alla creazione di luoghi «amici dell’autismo», dove le persone con autismo e le loro famiglie possono trovare interlocutori in grado di riconoscere e accogliere i loro bisogni speciali. Ciò è possibile attraverso buone prassi da mettere in atto dopo la sensibilizzazione e la breve formazione previste dal progetto.

Con questa iniziativa la Fondazione Ares va quindi a migliorare l’inclusione soprattutto delle persone che presentano un disturbo autistico poco accentuato. Proprio per questo motivo alcuni loro comportamenti nella vita quotidiana possono essere male interpretati creando disagio e insicurezza sia nella persona con autismo sia nei suoi interlocutori. «Anche la parola autismo – aggiunge Gionata Bernasconi, autore con la collega Rosy Pozzi del progetto La città che include – è diventata da un lato più comune, ma dall’altro utilizzata a volte in modo improprio». Riprendiamo quindi la spiegazione fornita nel pieghevole Locarno la città che include che con la sua grafica blu (colore associato all’autismo a livello internazionale) nei prossimi mesi attirerà l’attenzione del pubblico in commerci e uffici pubblici della Città sul Verbano. Si legge: «A vari livelli emergono compromissioni nelle modalità di comunicazione e interazione sociale, difficoltà a comprendere il pensiero altrui e a leggere e capire le situazioni sociali. Molte di queste persone convivono con una ipo o iper sensibilità sensoriale e possono essere soggette a movimenti del corpo ripetitivi e stereotipati. In molti casi faticano a vivere i cambiamenti e a interrompere le loro routines». Ciò permette di comprendere perché le situazioni di vita collettiva possono risultare fonte di stress e quindi di comportamenti insoliti da parte delle persone con DSA. Altro fattore importante è il loro numero. «L’autismo non è una condizione rara – spiega Gionata Bernasconi – perché riguarda un neonato su 100. Possiamo quindi stimare che in Ticino vi siano 20-25 nuovi nati all’anno. La nostra attività di consulenza e intervento, per la quale esiste ormai una lista d’attesa, segue in un anno circa 140 bambini e 80 adulti con il coinvolgimento di 250 famiglie».

Il rischio è l’autoesclusione

Famiglie che, considerato il gravoso impegno nell’organizzare un’uscita con una figlia o un figlio autistico, tendono ad autoescludersi dalla vita sociale o a limitarla a quei luoghi dove sanno che la loro condizione è capita e rispettata. Un bambino che si nasconde sotto un tavolo in un negozio o che si tappa le orecchie può agire in questo modo per proteggersi da stimoli ambientali per lui eccessivi come lo sono a volte la presenza di troppe persone o l’alto volume della musica. Non va quindi giudicato negativamente, ma piuttosto accolto con qualche accorgimento. Gionata Bernasconi spiega che in alcuni casi sono sufficienti piccoli cambiamenti per rendere un ambiente più inclusivo e questo non solo a favore di chi soffre di DSA. «Con il nostro progetto desideriamo offrire la possibilità di leggere determinate situazioni con uno sguardo attento e sensibile affinché si riesca a dare un senso a comportamenti che riflettono i bisogni specifici di chi soffre di DSA. Le discriminazioni in questo senso sono per lo più involontarie e non percepite come tali. Ci muoviamo a livello di barriere legate all’ambiente umano, più complesse da riconoscere rispetto a quelle riguardanti le disabilità fisiche». Tornando agli esempi, ecco che «a livello di percezione sensoriale si può agire abbassando la musica o, per le grandi superficie di vendita, considerando eventuali aree o fasce orarie che permettano di evitare situazioni eccessivamente stimolanti; esperienze in questo senso sono già in corso in Francia. Anche gli alberghi possono compiere una riflessione analoga. È il caso della catena Best Western, che prevede camere discoste più tranquille presentate tramite numerose immagini per facilitare la scelta ai potenziali clienti. Per quanto riguarda la comunicazione – si pensi ai negozi o agli sportelli dei servizi pubblici – è importante rispettare i tempi di reazione delle persone, semplificare il linguaggio e utilizzare le immagini per facilitare la comprensione».

Queste situazioni trovano conferma nella testimonianza diretta di una donna Asperger (sindrome rientrante nel DSA) raccolta tramite la Fondazione Ares. La donna spiega come la vicinanza con le persone le generi «molto stress e ansia, e capita che rinuncio a spostarmi proprio per questo motivo». I trasporti pubblici sono infatti spesso affollati. Aggiunge la donna: «L’insieme di rumori, odori e luci forti mi causa un sovraccarico. Vado raramente nei ristoranti e se vado normalmente sono sempre gli stessi due o tre posti conosciuti». Al supermercato «il momento della cassa spesso è un momento di ansia, soprattutto se trovo coda o se c’è troppa vicinanza tra una persona e l’altra». In generale «anche il doversi sempre giustificare o spiegare nei dettagli il perché di alcuni miei comportamenti o abitudini diventa estremamente estenuante per me».

Locarno aperta e accogliente

Per Giovanna Schmid, coordinatrice dei Servizi sociali della Città, il progetto Locarno la città che include rappresenta un ulteriore tassello dell’impegno di fondo a essere inclusivi, ossia aperti e accoglienti. «La campagna volta a coinvolgere i vari attori, dai commercianti agli operatori turistici, dalle associazioni di quartiere agli enti pubblici, ha avuto un buon riscontro così come gli eventi organizzati in aprile. Alla giornata mondiale per la consapevolezza dell’autismo (2 aprile) sono seguiti un pomeriggio formativo per studenti universitari e delle scuole superiori basato su uno spettacolo teatrale e un convegno di studio organizzato dal Dipartimento formazione e apprendimento della SUPSI. Quest’ultimo ha promosso una riflessione sull’importanza dell’incontro e del lavoro di rete nel sostegno alle persone nello spettro autistico e alle loro famiglie». Ora Locarno sta entrando nella seconda fase. Prosegue la nostra interlocutrice: «Stiamo organizzando con la Fondazione Ares la mezza giornata di formazione che coinvolgerà una quindicina di persone a livello di uffici comunali. L’obiettivo è quello di raggiungere i funzionari a contatto con il pubblico come pure i servizi di polizia e dei pompieri attraverso un loro rappresentante che potrà in seguito sensibilizzare i propri colleghi. È inoltre previsto un incontro con il nuovo Consiglio comunale, perché questo genere di progetti vada a buon fine è importante che le autorità politiche siano informate e consapevoli. L’obiettivo di lavorare con la diversità in generale e non solo con l’autismo è parte essenziale di una crescita civica. Questi progetti richiedono tempo, continuità e persistenza».

In effetti la Fondazione Ares intende proseguire nell’estendere il concetto de La città che include ad altre realtà cantonali, siano esse cittadine o regionali quali ad esempio le valli. Come ogni label anche questo non è acquisito per sempre, ma è necessario verificare che evolva in sintonia con le trasformazioni che interessano la società.