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Un viaggio nel passato e nel presente rurale

Percorriamo un sentiero didattico a Brontallo per riscoprire il mulino, il torchio, la grà, la selva castanile, i muri a secco e i vigneti conservati e valorizzati grazie all’impegno dell’associazione Pro Brontallo
/ 13/05/2024
Elia Stampanoni

Il borgo di Brontallo, una frazione del comune di Lavizzara, rimane discosto, dato che la strada principale non vi transita. Per arrivarvi bisogna proprio volerlo: è necessario voltare verso il versante destro, salire gli ultimi tornanti e raggiungere il villaggio a circa 700 metri di altitudine.

Siamo in Vallemaggia, all’imbocco della Valle Lavizzara. Una zona, come altre della Svizzera italiana, caratterizzata da un passato a stampo rurale, trasmesso negli anni con oggetti e tradizioni rimaste nella memoria della popolazione e nel territorio. Anche a Brontallo sono dunque numerose le informazioni o le tracce che rimandano all’agricoltura di sussistenza, alla selvicoltura, al castagno e alla vita paesana. Si tratta di piazze, case e stalle, mulini e grà, terrazzamenti ricavati su terreni impervi e molti altri elementi che oggi hanno ritrovato un loro splendore e un loro interesse grazie agli interventi di recupero e di ripristino svolti negli anni.

Progetti che hanno permesso dei veri e propri salvataggi, come nel caso del mulino di Brontallo (el mulígn), che a seguito dell’abbandono era stato ricoperto da una vegetazione fitta e quasi impenetrabile. Il manufatto si trova nella parte bassa del paese, lungo il Ri del Ronchetto e per raggiungerlo bisogna affrontare un ripido ma suggestivo sentiero con caratteristici gradoni in pietra.

Il mulino, con la macina al piano superiore e la turbina a quello inferiore, è l’undicesima e penultima tappa del Sentiero didattico realizzato nel 2011 dalla ProBrontallo. Come indicato nel pannello didattico posto in loco e descritto sul sito dell’associazione, «solo poche persone erano a conoscenza dell’esistenza dei ruderi del mulino», che è stato recuperato e rimesso in funzione tra il 2006 e il 2008, nell’ambito del progetto pilota per la conservazione del paesaggio e lo sviluppo regionale. Si ipotizza che nel passato il mulino abbia avuto gravi problemi di funzionamento, forse dovuti alla scarsità d’acqua, come testimoniano le macine quasi intatte ritrovate sotto le macerie. Per questo motivo, al momento della ricostruzione è stato creato un bacino d’accumulazione qualche metro a monte dell’edificio, che garantisce un deflusso costante dell’acqua e ne assicura una caduta sufficiente per attivare le pale della ruota idraulica.

Oggi il mulino è di nuovo in vita e, oltre a essere una tappa del citato percorso didattico, il quale è pure abbinato a un’interessante e coinvolgente caccia al tesoro per i bambini, è tornato a macinare le castagne. Un frutto essenziale nel passato che ritroviamo abbondante nei boschi e anche nell’adiacente selva castanile, pure essa oggetto di un importante intervento di ripristino. L’area è impervia e caratterizzata da forti pendenze, le quali resero necessaria la costruzione di ingegnosi terrazzamenti con degli imponenti muri a secco, salvati anch’essi dall’incuria e dall’abbandono.

Una volta raccolte le castagne, leggiamo nella descrizione, le selve castanili (i crèst nel dialetto locale) venivano rastrellate per avere le foglie secche da utilizzare quale lettiera per il bestiame durante il periodo invernale. Le castagne, oggi come una volta, vengono raccolte, almeno in parte, e vengono in seguito messe nella grà (il metato) per l’essiccazione, prima di essere macinate nel mulino.

Anche due delle grà esistenti sono state oggetto di un importante intervento di ripristino nel 2004, mentre altre si scorgono abbandonate lungo il percorso (sul territorio di Brontallo ne sono state censite in totale una decina). A differenza di altri luoghi, questi edifici sono stati edificati lontano dall’abitato, si suppone per motivi di sicurezza, ossia per scongiurare il propagarsi di eventuali incendi dovuti al fuoco che rimaneva acceso, per giorni, nel processo di essiccazione.

Al punto numero otto del tracciato, ben segnalato da un’apposita cartellonistica e percorribile in circa un’ora e mezza, s’incontrano i vigneti (i mund). Nonostante l’altitudine considerevole di Brontallo, qui la vite cresce infatti vigorosa, grazie alla favorevole esposizione soliva del pendio e anche all’influsso dell’imponente parete di roccia, in grado di accumulare calore durante la giornata e rilasciarlo in serata (evitando così sbalzi di temperatura). Il vigneto è stato rinnovato e in buona parte ricostruito negli anni 2003-2005, quando si è provveduto a ripristinare interamente i muri a secco, a pulire il terreno (ormai abbandonato dagli anni ottanta) e a piantare oltre 700 nuove piante (barbatelle) che permettono oggi di produrre un vino locale, il «Sasc da la Cadéna».

La parte del percorso che si sviluppa nel paese, va invece a toccare alcune peculiarità del suggestivo borgo, che è stato inserito nell’inventario svizzero dei circa 1200 insediamenti da proteggere (ISOS), permettendo di scoprire vie, piazze e viottoli, case e costruzioni, così come altri angoli discosti. Ci sono per esempio i palèzz (le case degli emigranti), ossia quattro case congiunte e disposte a schiera, edificate in un lasso di tempo di 37 anni, tra il 1868 e il 1905, in una zona privilegiata per abitarvi, con una bella vista, un orientamento verso sud e un piccolo orto per ogni abitazione.

C’è poi la gésgia, la chiesa parrocchiale dedicata a San Giorgio che trova le sue origini nel lontano 1496, e il forno situato al centro del paese, utilizzato fino a circa 75 anni fa per la cottura del pane di segale, della fiascia (con la farina di castagne) o anche di torte. Oggi, dopo il restauro avvenuto verso la metà degli anni ’90, viene rimesso in funzione almeno una volta all’anno per la cottura del pane di segale, generalmente durante la festa del paese, che quest’anno si terrà il 15 settembre.

A ricordare l’importanza della viticoltura c’è il torchio, un possente apparecchio di tipo piemontese, tuttora integro e usato fin verso la metà degli anni sessanta. Un’ulteriore testimonianza del passato rurale è la casa antica (la c’a du Magnan), risalente al 1578, mentre a unire il paese alla campagna ci sono le stalle (el caslètt), frutto di un’accurata lettura del territorio. Al contrario delle case, che erano tutte raggruppate attorno alla piazzetta (la gesgína), le stalle vennero, infatti, costruite sul pendio verso il riale, lungo il quale in passato cadevano spesso sassi e valanghe (l’ultima, nel 1951, ostruì la strada cantonale che porta in Lavizzara). Seppur edificate a diversi anni di distanza, tutte presentano la stessa caratteristica struttura con il pianterreno completamente in sasso e la porta sulla facciata rivolta verso valle.

Il sentiero termina all’entrata del paese, dove ci s’imbatte nel pozz, il lavatoio, il cui nome deriva probabilmente da un primo pozzo scavato qui per raccogliere l’acqua di sorgente che sgorga tutt’oggi abbondante e a temperatura costante.