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L’inclusione e quella sana voglia di vincere

La squadra di calcio Tutti in gioco del Raggruppamento San Bernardo dove la diversità è un punto di forza
/ 06/05/2024
Stefania Hubmann

La voglia di vincere è la medesima di quella delle altre squadre di calcio, l’impegno e la serietà pure. Gli «arancioni» luganesi però, forse, si divertono e apprezzano di essere parte di un gruppo sportivo più di altre formazioni. Sono una ventina di giovani atleti con disabilità fisiche e sensoriali che formano la squadra Tutti in gioco della società sportiva Raggruppamento San Bernardo con sede a Canobbio. Anima del progetto integrato, avviato quattro anni fa, è Simona Gennari, figura di rilievo del calcio femminile ticinese con una lunga esperienza nell’allenamento dei giovani calciatori. Basata sul valore etico e sociale dello sport, Tutti in gioco è in realtà un’inclusione nei due sensi, perché coinvolge anche giocatori senza disabilità e figure centrali del calcio, come quella dell’arbitro, chiamati ad adattare i loro principi alle caratteristiche di un gruppo che mette in luce il potere della diversità. Oltre ai nuovi tornei ai quali partecipa quest’anno, Tutti in gioco cresce per numero di atleti, entusiasmo dei protagonisti e delle loro famiglie. Ogni venerdì dalle 18 alle 19 la squadra di calcio si allena al campo Tavesio di Porza. Un appuntamento che nessuno dei giovani calciatori desidera mancare, coinvolgendo anche i genitori. Ne seguiamo uno a inizio aprile, condividendo lo spirito allegro e la soddisfazione che animano i presenti. I giocatori sono puntuali, motivati, organizzati. Analogo l’approccio dello staff tecnico e delle famiglie, siano esse quelle degli atleti con disabilità o dei «supporter», i giocatori di altre squadre del Raggruppamento che danno man forte a Tutti in gioco. Grazie alla loro presenza è stato possibile disporre all’inizio del progetto di un numero sufficiente di giocatori per formare due squadre e disputare una partita.

Simona Gennari, che incontriamo a bordo campo prima dell’allenamento, ricorda come il primo ostacolo da superare sia stato quello della pandemia. «Nel marzo 2020 al momento del lockdown – racconta l’allenatrice – eravamo pronti a partire con quattro bambini. Abbiamo perseverato con lezioni online fino a quando abbiamo potuto trovarci in presenza per poi assistere a un progressivo crescendo del numero di giocatori. Questi ultimi sono ora 18 (compresa una ragazza), di età fra gli 8 e i 18 anni. I “supporter” hanno pure fatto un gran balzo in avanti, tanto che ora sono una trentina e li devo convocare a turno. La loro presenza è una forma di inclusione al contrario, perché è indispensabile che si adattino al modo di essere, di comunicare e quindi anche di giocare della squadra». Questo aspetto è per Simona Gennari della massima importanza e riflette il suo percorso di appassionata allenatrice. Spiega al riguardo: «Dopo l’attività di giocatrice a livello Elite, sono diventata allenatrice, svolgendo per diversi anni la funzione di direttrice sportiva del Raggruppamento San Bernardo, società sportiva di calcio giovanile che riunisce i sodalizi di Canobbio, Origlio, Ponte Capriasca, Porza e Comano. Al suo interno ho fondato la Berny School con lezioni di calcio e didattiche basate sul valore dello sport, scuola che integrava bambini del Raggruppamento San Bernardo allievi E e che nel 2015 ha ottenuto il Premio etico». È poi stata la Fondazione Special Olympics Switzerland a proporle di dar vita a una squadra formata da giocatori con disabilità. L’organizzazione nazionale ha conferito al Raggruppamento San Bernardo anche per l’anno 2023/2024 il label Unified che certifica la qualità di un’offerta inclusiva.

Tutti in gioco ha la sua divisa – casacche arancioni, rispettivamente azzurre per le partite in trasferta – e fa fronte ai diritti e ai doveri che accomunano tutte le squadre del Raggruppamento. «È questo il senso di una vera inclusione, nel nostro caso realizzata attraverso lo sport», spiega Simona Gennari. «Abbiamo introdotto i rituali del calcio rispettando tempi e modi dei nostri atleti. Il grido collettivo “Hip hip urrà” a inizio e fine allenamento è diventato un’abitudine, così come mettersi le scarpe sul posto o ancora ritrovarsi nello spogliatoio a fine partita; il prossimo passo sarà quello di utilizzare lo spogliatoio anche per cambiarsi». Lavorando a tappe si è permesso ai ragazzi non solo di ritrovarsi sorridenti per un’attività di gruppo all’aperto, ma pure di acquisire una certa autonomia. Per raggiungere questo obiettivo, l’allenatrice può contare su uno staff tecnico motivato composto da giovani neodiplomati o in formazione e da adulti con esperienza nelle attività di inclusione. Oggi sono l’allenatore principale Det (come Simona con una formazione G+S andicap), Luca, Moreno, Ambra e Gaia a seguire i ragazzi negli allenamenti e nelle partite. La presenza di un team di sei persone permette, come abbiamo visto durante l’allenamento, di aiutare chi ha qualche difficoltà motoria a svolgere le diverse fasi dell’esercitazione. «Riceviamo un grande sostegno – afferma l’allenatrice – sia da ex membri dello staff come Franco che si è trasferito in Italia, sia dai nostri sponsor».

L’apprezzamento maggiore viene però dalle famiglie degli atleti, come testimoniano due mamme. Entrambe sottolineano come la possibilità di svolgere un’attività di gruppo, creandosi amici con i quali condividere anche altri momenti spensierati (un film al cinema, una pizza) sia particolarmente importante per i giovani con disabilità che crescendo faticano a trovare simili occasioni di svago. I benefici dell’attività calcistica concernono anche altri aspetti della vita. L’allenamento funge da stimolo per una maggiore indipendenza nel preparare il proprio materiale e nel recarsi al campo. Cristina, madre del portiere Mattia, afferma che grazie al calcio giocato suo figlio ha «imparato a perdere». Benché l’obiettivo del gioco sia quello di vincere, non bisogna infatti dimenticare il fair play e il divertimento che devono avere la precedenza sulla prestazione. Anche Aline, madre di Elia (attaccante), insiste sull’aspetto ludico che «permette a tutti di giocare, di divertirsi e di sentirsi parte del gruppo». Elia è cresciuto osservando sui campi da calcio il fratello maggiore e Tutti in gioco permette anche a lui di praticare il suo sport preferito. La madre aggiunge che «grazie a questa attività i nostri figli acquisiscono un tipo di autonomia che serve per la vita». Per alcuni, aggiunge l’allenatrice, questa formazione può persino rappresentare un trampolino di lancio per l’inserimento in un’altra squadra del Raggruppamento, come è avvenuto per un giovane talento ipovedente. Il bel gruppo di Tutti in gioco è apprezzato anche dalle famiglie dei «supporter». Mentre Patrizio entra in campo, la madre Maura ci dice che «tutti vengono per divertirsi e stare in amicizia. I bambini non hanno pregiudizi; sono semplicemente felici di giocare insieme».

Altro aspetto che emerge a bordo campo è la determinazione a conseguire buoni risultati. Certo, conservare il sorriso in ogni caso è l’atteggiamento di fondo, ma la squadra punta giustamente a vincere. Le partite che gioca ogni due o tre settimane un po’ in tutto il Ticino sono quindi sentite e ancora di più lo sono appuntamenti importanti come i due tornei di questo mese, uno dei quali ha portato per la prima volta i giocatori oltre San Gottardo. La trasferta è avvenuta lo scorso weekend nel canton Berna per un torneo organizzato da Special Olympics. Fra due settimane sarà invece la volta del 21esimo Torneo di Pentecoste del Settore giovanile del Footbal Club Mendrisio, sodalizio che pure conta una squadra riconosciuta da Special Olympics con la quale esiste un’ottima collaborazione. «Ritengo che le nostre partite – conclude l’allenatrice – siano molto più di un incontro calcistico perché, promuovendo valori universali di rispetto, accettazione e solidarietà, dimostrano il potere dello sport nel valorizzare la diversità, ispirando cambiamenti positivi nella società».