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Noi adulti siamo in grado di educare?

Il caffè delle mamme riflette sull’interrogativo posto magistralmente dal film «La sala professori» del regista İlker Çatak
/ 22/04/2024
Simona Ravizza

Il film Das Lehrerzimmer del regista tedesco di origini turche İlker Çatak – in italiano La sala professori – nominato agli Oscar del 10 marzo come migliore pellicola straniera, mette insegnanti e genitori davanti a domande che ci fanno interrogare nel profondo: siamo in grado di educare? Ed esiste il modo migliore per farlo?

Il filosofo francese contemporaneo Jean-Luc Marion scrive: «L’educazione dipende dalla certezza che colui che parla dice il vero e l’interesse del bambino è quello di conoscere questa verità». Ma noi adulti siamo in grado innanzitutto di conoscere la verità, e poi di ammetterla e trasmetterla? A Il caffè delle mamme la discussione è animata da giorni. Avvertenza prima di proseguire: le riflessioni che seguono «spoilerano» il lungometraggio di Çatak. Ma la convinzione è che i contenuti meritano di essere affrontati indipendentemente da chi ha già visto il film, andrà a vederlo oppure non lo farà mai. Tutto ruota intorno a una scuola media dove vengono compiuti dei furti. Al motto della «tolleranza zero» i vertici dell’istituto scolastico sono decisi a trovare il colpevole utilizzando anche metodi intimidatori (dall’apertura in classe dei portafogli degli studenti alla pressione per convincerli a fare la spia). Uno studente figlio di immigrati turchi viene accusato ingiustamente, almeno in apparenza. Carla Nowak, insegnante di matematica e sport giovane e idealista, piena di empatia nei confronti dei propri alunni, vuole reagire all’ingiustizia e lascia correre la telecamera del computer per individuare il vero colpevole (sull’identificazione del quale non ci sarà mai una certezza assoluta). La registrazione incastra Friederike Kuhn, la poco appariscente segretaria scolastica di lunga data: la sua camicetta fantasia può essere chiaramente identificata dal filmato che però non fa vedere chiaramente il crimine. Ecco gli spunti di riflessione che il film offre da quel che succede di qui in avanti.

Il primo chiama in causa direttamente i genitori. La signora Kuhn, che nega con veemenza il furto, è la madre del timido Oskar, studente premuroso e molto dotato in matematica. L’11enne le crede. Come ognuno tende a fare con la propria mamma. Così nella mente di Oskar chi mente è l’insegnante e fa di tutto per sbugiardarla. Ma è la madre invece che sembra ingannarlo, spingendolo a una difesa a oltranza che lo farà finire cacciato dalla scuola. La mancanza di chiarezza con i propri figli può portare a guai infiniti. Ma quanti di noi madri e padri – ci domandiamo a Il caffè delle mamme – sono capaci di essere davvero sinceri ed eventualmente di assumersi la responsabilità di possibili errori? Il film però non dà certezze assolute: la prova schiacciante contro la mamma di Oskar manca. Del resto, quante certezze abbiamo noi adulti da potere presentare come tali a bambini e adolescenti?

Il secondo spunto di riflessione riguarda il ruolo degli insegnanti. Nella lezione di matematica Nowak rivolge agli alunni una domanda: «0,9 periodico è uguale a 1?». Non è un interrogativo qualunque: il tema è uno dei più difficili da insegnare perché gli studenti di matematica notoriamente rifiutano l’uguaglianza tra 0,999… e 1. La prof. spinge a riflettere e Oskar dimostra capacità di ragionamento non comuni: «0,333… è uguale a 1⁄3 che per 3 fa 1». «Da una prova si arriva sempre a una conclusione – sottolinea Nowak –. Passo dopo passo». Ma Oskar non avrà la stessa capacità di ragionamento quando si tratta della propria mamma. E nella vita pratica, come scrive il «New York Times», «ogni volta che la prof. penserà di avere una soluzione, le cose andranno di traverso, in parte anche perché non puoi contare sul fatto che gli alunni di seconda media seguano semplicemente i suggerimenti degli adulti». Non funziona il metodo della «tolleranza zero», ma neanche la strada dell’empatia porta a risultati: l’insegnante giovane, impegnata e senza dubbio ben intenzionata è destinata a smarrirsi sempre più. Dopotutto insegnare, come essere genitore, non è un’attività che puoi apprendere dai libri né dal cuore, ma che puoi capire solo sul campo. Navigazione a vista. In questo contesto se famiglia e scuola non trovano un punto di vista comune chi ci perde sono i ragazzi: «Se fallisco io, fallisce anche lei perché è sua madre», sbotta la prof. con la mamma di Oskar: «Falliamo tutti».

Il terzo spunto riguarda gli adolescenti. Nella Sala professori regna il caos che porta la verità a dissolversi: la segretaria più efficiente si rivela una potenziale ladra e una madre che spinge il figlio alla rivolta, il bambino più talentuoso della classe può trasformarsi in quello più problematico, l’insegnante più empatica in quella che crea lacerazioni tanto quanto gli altri. Annientate le certezze del mondo adulto, sono gli adolescenti quelli convinti di sapere tutto: «Veritas Omnia Vincit», la verità vince su tutto, è la scritta che campeggia nella redazione del giornalino scolastico. I ragazzi si organizzano, mettono sotto accusa, denunciano la censura. Ma l’articolo sulla vicenda sarà in grado di diffondere solo una verità di parte. Disinformazione. Giudizi.

Solitudine. Incapacità degli adulti di rapportarsi tra loro (prof. che litigano, genitori e prof. che si guardano di traverso) e senza la fiducia degli alunni. Intransigenza dell’adolescenza. In Das Lehrerzimmer sembra non salvarsi nessuno. Del resto il regista Çatak ama ricordare il detto: «La strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni». La Nowak a lezione invita ad alzarsi in piedi: «Voglio che adesso tutti strilliamo più forte che possiamo. Pronti partenza via! Più forte!». Urlo liberatorio. È la tentazione che ci viene ogni tanto al Caffè delle mamme quando le nostre convinzioni sull’essere in grado di educare fanno i conti con le difficoltà quotidiane. È un compito arduo e il film lo racconta in modo magistrale. Al Caffè ci diciamo anche, però, che un errore che emerge dalla Sala professori possiamo evitare di farlo: lì tutti vogliono avere ragione e nessuno ascoltare. Incominciamo da qui allora? Anche senza certezze.