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Alla base dell’empatia i neuroni specchio

Ricerca medica - Un reticolato di aree e di connessioni compone quello che viene definito il nostro «cervello sociale»
/ 08/04/2024
Maria Grazia Buletti

Fare uno sbadiglio dopo aver visto qualcuno sbadigliare; sorridere a chi ci sta sorridendo anche se in quel momento non avremmo un vero motivo per farlo; provare le stesse emozioni che sta provando qualcun altro: situazioni che tutti sperimentiamo, comportandoci «come uno specchio» che ci fa riproporre la stessa azione che stiamo vedendo svolgere dalla persona con cui stiamo interagendo, ponendoci emotivamente nei suoi panni. Per gli antropologi tutto questo è frutto dell’evoluzione per la sopravvivenza della nostra specie che, passando attraverso l’organizzazione sociale in gruppi, ha dovuto sviluppare strutture cerebrali dedicate alla socialità.

«Nel nostro cervello esiste un reticolato di aree, neuroni e connessioni che compongono il cosiddetto cervello sociale: quel cervello cablato per riconoscere, gestire e curare le relazioni», il professor Fausto Caruana, primo ricercatore dell’Istituto di Neuroscienze del CNR di Parma, così esordisce per aiutarci nella comprensione dei meccanismi dell’empatia e delle strutture cerebrali che sottintendono all’imitazione. Parliamo dei neuroni specchio (detti anche neuroni mirror), scoperti negli anni Novanta proprio a Parma dal gruppo di neuroscienziati coordinato dal professor Giacomo Rizzolatti e composto da Vittorio Gallese, Leonardo Fogassi e Luciano Fadiga: «Questa tipologia di neuroni fu scoperta studiando la corteccia motoria delle scimmie; in laboratorio si è osservato che in questi primati esistono neuroni motori che si attivano sia quando l’animale compie un movimento, sia quando lo osserva negli altri». Per l’appunto: una sorta di «meccanismo specchio», che ora sappiamo essere presente anche nell’essere umano: «Riflette la capacità di trasformare le azioni osservate (motorie o emozionali) in rappresentazioni motorie dell’individuo». Quello che fanno le altre persone fa dunque risuonare qualcosa che sappiamo fare anche noi, «consentendo la conoscenza esperienziale».

Gli studi sui neuroni specchio hanno rivoluzionato la nostra comprensione del cervello umano e del comportamento sociale: «Se gli anni Novanta segnano la scoperta dei neuroni specchio correlati al sistema motorio, dagli anni Duemila si è compresa l’implicazione di altri centri emozionali, piuttosto antichi dal profilo filogenetico, che regolano il nostro comportamento emozionale e si attivano quando osserviamo la condotta altrui. Ad esempio, quando guardiamo qualcuno che prova disgusto, felicità o altre emozioni, siamo spinti a sentirle a nostra volta. Si è infatti scoperto che esistono reti di neuroni specchio anche in molte aree emozionali e, per questo, si può parlare di “cervello specchio”».

Oggi sappiamo dunque che «queste reti di neuroni sono essenziali per il processo di imitazione, empatia e apprendimento sociale, e si attivano sia quando osserviamo un’azione sia quando osserviamo qualcun altro farla, favorendo la comprensione delle azioni altrui e la condivisione delle emozioni. Per questo motivo, oltre che al meccanismo di apprendimento per imitazione, i neuroni specchio sono spesso associati all’empatia. Ma empatia e imitazione sono due cose distinte, spiega il nostro interlocutore: «I neuroni specchio spiegano solo un piccolo aspetto dell’empatia a cui sono spesso associati per il loro ruolo di attivazione. L’empatia è più complessa e articolata: è alla base della vita sociale e ci consente di sentire l’altro, ma nel suo funzionamento entrano altri fattori come quelli cognitivi, culturali, educativi e mediatici che si influenzano a vicenda».

È oramai noto che più sentiamo gli altri simili a noi, maggiormente saremo in grado di provare empatia, e uno degli aspetti più affascinanti dei neuroni specchio è proprio il loro ruolo in questo meccanismo, che però non si ferma qui e, a ulteriore conferma, il nostro interlocutore porta ad esempio gli studi del professor Marco Iacoboni, uno dei più esperti ricercatori in materia, che ha dimostrato come essi siano i principali agenti nell’esperienza di cogliere anche le sfumature nel porsi nei panni altrui, permettendoci di «leggere» gli stati mentali degli altri e comprendere le loro motivazioni e desideri: «Un’abilità fondamentale per le interazioni sociali che ci consente un’adeguata risposta all’intenzione che cogliamo nell’altro».

Caruana torna sul significato di empatia e invita a non attribuirle un’accezione esclusivamente positiva: «I neuroni specchio possono servire a “sentire” le intenzioni dell’altro, e questo può stare alla base dell’empatia così come di un comportamento deviato: ad esempio, il sadico non prova compassione, ma prova sicuramente empatia perché comprende cosa prova l’altro». Sempre Iacoboni collega l’esperienza empatica con quella del dolore, riscontrando come quest’ultima abbia un ruolo fondamentale nell’attivazione dei neuroni specchio: «L’esperienza del dolore e della sofferenza connessa all’empatia è fondamentale per la formazione e la costituzione dei legami sociali: dinanzi a una persona sofferente, i nostri neuroni specchio riflettono la sua mimica facciale, innescando i centri dell’attivazione emozionale che, infine, ci permettono di esperire la medesima emozione di colui che sta soffrendo».

E sottolinea: «L’osservazione dei movimenti facciali è alla base delle forme più arcaiche di comportamento empatico situate nella prima infanzia». Dunque, fin dalla nascita siamo concepiti per stare in relazione: «Le funzioni di rispecchiamento e simulazione ci consentono di esperire e condividere il dolore altrui attraverso l’empatia, caratteristica che contraddistingue la specie umana». La ricerca sui neuroni specchio ha pure importanti implicazioni per la comprensione di disturbi legati all’empatia e all’imitazione, e il loro funzionamento difettoso è stato associato ai disturbi dello spettro autistico, in cui empatia e imitazione possono risultare limitate. Qualcuno ha addirittura ipotizzato una correlazione fra neuroni specchio «difettosi» e autismo.

Secondo il neuroscienziato Vilayanur Subramanian Ramachandran (fra i più autorevoli nello studio delle neuroscienze e del comportamento) vi è una minore attivazione dei neuroni specchio nei bambini con disturbi dello spettro autistico: «Quando gli altri eseguono azioni, il bambino autistico ha un’attivazione più debole del sistema dei neuroni specchio, ma questo potrebbe anche essere una conseguenza di un malfunzionamento del sistema motorio, sul quale il sistema specchio si appoggia. Il dibattito è ancora aperto».

Infine, Caruano mette in risalto un altro ambito di applicazione che riguarda la riabilitazione basata sull’osservazione: «Se osservare un’azione muove il nostro cervello motorio, allora fargli osservare azioni complesse facilita la riabilitazione dei pazienti che non possono muoversi, come alcuni pazienti neurologici o ortopedici».