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Figli con due case, non sempre tutto fila liscio
Il caffè delle mamme ◆ A colloquio con la psicologa Federica Invernizzi Gamba, direttrice del Consultorio familiare di Lugano e Bellinzona, per capire come aiutare bambini e adolescenti a dividersi tra due abitazioni dopo il divorzio dei genitori
Simona Ravizza
Previsto dalla legge (in Svizzera addirittura dal 1907, e dal 2000 «senza colpa»), spesso irrinunciabile quando un amore finisce anche se la conseguenza dolorosa è di fare scoppiare una famiglia: «Stare insieme a tutti i costi per i figli, senza più volerlo veramente – scrive la psicoterapeuta Stefania Andreoli – è tra le versioni più vigliacche dello spogliarsi delle proprie responsabilità, e tra quelle con gli effetti più a lungo termine rispetto alla crescita e alla costruzione, nella mente di un figlio, di un’idea di cosa siano l’amore, l’impegno, il progetto, la coppia, il coraggio, la verità e la felicità». Eppure ancora oggi il divorzio, con le sue conseguenze, è tra gli argomenti più dibattuti la mattina a colazione a Il caffè delle mamme. Confronti accessi sul da farsi, ricerca di soluzioni, a volte lacrime agli occhi.
Il cuore della questione sono i figli che irrimediabilmente si trovano ad avere due case: il trasferimento da un genitore all’altro il mercoledì, a fine settimana alternati, o una settimana dalla mamma e una con il papà, è spesso motivo di insofferenza di bambini e adolescenti. Difficile non comprenderli: lo sbattimento è innegabile. Purtroppo non sono isolati i casi in cui i figli a un certo punto decidono di non volere più andare da uno dei due: l’ultimo racconto di un’amica è di stamattina, la scorsa settimana era quello di un amico, e prima ancora quello di una coppia di amici. Ognuno con la propria storia: «Non vogliono più andare dal papà perché con lui si annoiano!» (10 e 13 anni); «È tornato a stare dalla mamma dopo un anno che stava prevalentemente qui perché lei è più accondiscendente» (16 anni); «Vuole restare con la mia ex moglie perché detesta dovere fare la valigia e portarsi i libri di scuola da una casa all’altra» (15 anni).
Ci sono stati i decenni del padre-bancomat: assegni di mantenimento esorbitanti, accompagnati dalla mortificazione di potere vedere i figli soltanto due fine-settimana al mese. Il rischio è di ritrovarsi papà poi poco ingaggiati a livello educativo e figli che perdono una figura di riferimento importante. Poi la svolta degli ultimi anni: l’affidamento adesso è sempre più spesso condiviso, ma i figli possono – e con buone ragioni – vivere male il ritrovarsi un po’ qui e un po’ là. «Come fare?», è la domanda che si solleva con forza a Il caffè delle mamme: «Il desiderio di restare in una casa sola anche a scapito del rapporto con l’altro genitore è un capriccio di figli che non sono capaci di adattarsi? Oppure è una richiesta legittima da assecondare, soprattutto in caso di adolescenti?». È un dilemma a cui – meglio ammetterlo subito – noi non siamo in grado di rispondere. Troppo coinvolte. Così invitiamo a Il caffè delle mamme la mediatrice familiare Federica Invernizzi Gamba, 49 anni, laurea in Psicologia a Ginevra, dal gennaio 2020 direttrice del Consultorio familiare dell’Associazione comunità familiare: il Consultorio familiare opera dal 1971, su mandato cantonale, nelle sedi di Lugano (in Via Trevano 13) e di Bellinzona (in Viale Stazione 2) e accoglie le persone, le coppie e le famiglie offrendo loro servizi di consulenza e mediazione. «Non c’è mai una regola che vada bene per tutti i casi. Non è un campo di certezze assolute. Meglio le soluzioni su misura – premette Invernizzi Gamba –. Dopodiché possiamo tentare di mettere alcuni punti fermi». Eccone 5.
Uno. La decisione sulla gestione dei figli – quando stanno con chi e quanto – è sempre meglio non farsela calare dall’alto dall’autorità giudiziaria sulla base di regole astratte. È consigliabile trovare prima un accordo condiviso tra genitori: se è troppo difficile per l’alto livello di conflittualità è possibile farsi aiutare dai mediatori familiari. L’obiettivo dovrebbe essere quello di valutare con onestà il tempo reale che ciascun genitore ha a disposizione per stare con il figlio quando è il suo turno. E decidere tenendone conto. Una soluzione condivisa, basata sulle reali possibilità di ciascuno (soprattutto lavorative, ma non solo), è più facile da accettare anche per i figli che non si trovano sballottati da una parte all’altra inutilmente.
Due. Non cadere da genitori nella trappola della rabbia: dietro l’affidamento dei figli non può esserci una questione economica, né il desiderio di farla pagare all’ex coniuge. Il pensiero di farseli affidare quanto più possibile per riuscire a ottenere un assegno di mantenimento più alto – o viceversa per pagare meno –, non deve neppure sfiorarci! Come possono dei bambini/adolescenti accettare lo scombussolamento di saltare da una casa all’altra se dietro non ci sono neppure delle buone ragioni? Più i genitori se li contendono, più è complicato per loro non farsi condizionare e spostarsi serenamente da una parte all’altra. Il rischio è che decidano di chiudere con uno dei due genitori per tirarsi fuori dal campo di battaglia.
Tre. Il tentativo dev’essere sempre quello di avere modelli educativi non troppo diversi: se i figli in una casa, per esempio, non hanno regole e nell’altra possono fare quello che vogliono, a lungo andare si ritrovano disorientati e la conseguenza prima o poi sarà scegliere quello che più gli fa comodo: «Voglio restare con la mamma!», «Voglio restare con il papà!».
Quattro. Anche quando è il nostro turno, i figli devono avere la possibilità di organizzare il tempo in base alle proprie esigenze: fare le attività sportive, vedere gli amici, andare a un compleanno. Il diktat «Non uscire perché voglio stare io con te» rischia di farli scappare a gambe levate! È meglio concedere spazi di libertà e cercare di tenere a bada la nostra insicurezza. Anche se spesso lo sforzo è immane.
Cinque. La nostra speranza deve essere che i figli stiano il meglio possibile anche nell’altra casa: essere gelosi della nuova compagna del papà piuttosto che del nuovo marito della mamma e mettere zizzania può spingerli ad allontanarsi da uno dei due genitori. Gli affetti si moltiplicano e non vanno mai in sottrazione: prima di tutto lo dobbiamo capire noi adulti.
Insomma, secondo Federica Invernizzi Gamba, quando la valigia di un figlio è così pesante da non riuscire a essere spostata da una casa all’altra, spesso dentro non ci sono solo vestiti o libri, ma anche altri problemi. Il più delle volte causati dal comportamento di noi adulti. Ascoltare i figli per cercare di capire cosa passa loro per la testa diventa, dunque, la cosa più importante. Il resto è vita quotidiana: e non ci resta che cercare di sfangarla il meglio possibile. Nell’interesse – unico ed esclusivo – dei bambini che certo avrebbero preferito due genitori insieme per tutta la vita. Ma l’«E vissero felici e contenti», purtroppo, non è una condizione automatica.