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Le mangrovie e le paludi costiere

Se hanno effettuato escursioni naturalistiche nei litorali bassi e in particolare nella fascia periodicamente sommersa dalla marea, i lettori che hanno trascorso del tempo in luoghi tropicali e subtropicali conoscono l’unicità e la bellezza dei mangrovieti (le paludi di mangrovie). Le mangrovie sono piante strane, a metà fra il mondo terrestre e quello acquatico; le loro radici intricate e arcuate permettono alle piante di crescere rigogliose in aree ostili, totalmente immerse nell’acqua salata o salmastra nelle fasi di alta marea e totalmente esposte all’aria in quelle di bassa marea. La parte esposta all’aria consente agli alberi di ossigenarsi, ciò che è impossibile quando l’area è impregnata d’acqua salina. Le piante si sono adattate sviluppando meccanismi di desalinizzazione, tra cui l’estrusione del sale, l’esclusione e l’accumulo.

Radici robuste e peculiari, le fanno sembrare erette su molti trampoli. Esse sono la chiave di volta per resistere al movimento continuo delle onde: la loro flessibilità consente una stabilità fisica; trattengono il terreno sottoposto all’azione delle maree e proteggono le aree interne dalla violenza delle tempeste e delle mareggiate. Inoltre, forniscono una base su cui vivere per molte specie.

Per similitudine, possiamo paragonare l’albero di mangrovia a un palazzo a più piani, abitato da uccelli, insetti, mammiferi e rettili, in mutuo aiuto e allegra coesistenza. Sott’acqua, sulle radici, crescono tunicati, spugne, alghe, ricci e bivalvi. Il terreno soffice sotto le mangrovie ospita specie di infauna (all’interno di un substrato) ed epifauna (a stretto contatto con il substrato), mentre lo spazio tra le radici è casa e cibo per gamberi, granchi e piccoli pesci. Fra le radici c’è un asilo: moltissime specie di pesci e invertebrati marini trascorrono qui le prime fasi della loro vita, fino al raggiungimento di una dimensione che consente loro di sopravvivere nell’oceano.

Risalendo l’albero, si incontrano insetti, rettili (inclusi i grandi coccodrilli), mammiferi marini (lamantini, tigri del Bengala), primati (macachi). Gli uccelli trampolieri e gli uccelli marini allevano i loro piccoli in enormi colonie di mangrovie, sfruttando le risorse e la relativa inaccessibilità della copertura forestale ai predatori terrestri.

Le paludi costiere sono un ecosistema sensibile e dinamico e possono essere classificate come saline, salmastre e di acqua dolce. Sono praterie periodicamente inondate nelle regioni intertidali (le zone del litorale che dipendono dalle maree), laddove la salinità dell’acqua marina o quella salmastra crea un ambiente acquatico in cui prosperano le piante alofile, cioè dotate di adattamenti morfologici o fisiologici che ne permettono l’insediamento su terreni salini o alcalini.

Come i mangrovieti, anch’esse hanno un grande valore ecologico perché fungono da vivaio per i pesci, habitat per una grande varietà di fauna selvatica, zone cuscinetto per proteggere la qualità dell’acqua e producono ossigeno che rilasciano nell’aria. Sono spesso chiamate «spugne» a causa della loro capacità di assorbire l’energia delle onde, sia durante le tempeste costiere sia nelle normali fasi di marea. Riducendo l’energia delle onde, le paludi costiere riducono il potenziale di erosione e mitigano gli impatti delle inondazioni.

Le principali minacce per le mangrovie e le paludi costiere sono per lo più legate all’impatto umano del dragaggio, dell’inquinamento (idrocarburi, pesticidi, erbicidi), del deflusso dei rifiuti urbani e dello sradicamento per far spazio a saline, allevamenti di gamberi, vasche per l’acquacoltura, insediamenti residenziali. Oltre ovviamente all’incremento della temperatura e della salinità degli oceani conseguenti al cambiamento climatico.


Le protezioni naturali delle coste è sempre più a rischio

Mondo sommerso / 2 - Le coste hanno subito un’accelerazione nello sviluppo che appare insostenibile a lungo termine; a ciò si aggiungono i violenti fenomeni meteo che ne stravolgono, spesso in modo permanente, l’aspetto e la conformazione
/ 18/03/2024
Sabrina Belloni

Vivere vicino alla costa, così come in collina e in montagna, è una scelta consapevole di chi cerca uno stile di vita meno stressante rispetto ai grandi centri urbani; generalmente i rapporti fra le persone sono meno tesi e prendersi cura della propria famiglia e degli animali domestici è più semplice. Complici i viaggi e le vacanze più frequenti che in passato, gli ambienti costieri si sono velocemente trasformati e stanno subendo uno sfruttamento spesso pianificato a breve termine, senza valutare correttamente le conseguenze ambientali a lungo termine, dando priorità all’incremento della richiesta di spazi urbani, turistici, residenziali e commerciali.

Le coste sono sempre state un crocevia di persone, di traffici, di affari e di sviluppo economico. Tuttavia, nelle ere passate, gli insediamenti umani non erano sul bagnasciuga per la evidente difficoltà a difendere postazioni che consentivano vie di fuga solamente verso l’entroterra, quando i nemici presidiavano gli sbocchi via mare.

Valutando con le dovute proporzioni l’incremento della popolazione globale nei diversi continenti – in Asia e Africa per l’incremento della natalità, nel Continente americano per la consistente immigrazione, mentre in Europa si assiste a una compensazione fra l’immigrazione e la scarsa propensione alle nascite – in anni recenti le coste hanno subito un’accelerazione nello sviluppo che appare insostenibile a lungo termine, a cui si aggiungono le modifiche climatiche e i violenti eventi meteo che ne stravolgono, spesso permanentemente, l’aspetto e la conformazione. Quattordici delle diciassette più grandi città sorgono lungo le coste; undici di loro, tra cui Bangkok, Giacarta e Shanghai, sono in Asia.

Nel numero di «Azione» del 25 settembre abbiamo parlato dell’importanza ecologica e socio/economica degli habitat costieri, delle sfide ambientali che questi territori stanno affrontando ora e che ne hanno caratterizzato l’evoluzione in passato, della Strategia Europea per la Biodiversità, la quale richiede di proteggere – entro il 2030 – il 30 % dei mari europei e il 10% in modo rigoroso in ciascun Paese dell’Unione. In questo servizio ci preme approfondire la complessità e unicità degli habitat costieri.

Quelli naturali, ovviamente funzionano meglio delle strutture artificiali progettate e posate a difesa dei litorali. In genere, le strutture artificiali sono semplicemente pareti verticali e paratie che forniscono scarsa complessità strutturale e la cui presenza spesso distrugge gli habitat naturali prossimali, riflettendo l’energia delle onde e favorendo i processi erosivi sulle coste adiacenti.

Tali costruzioni, realizzate senza cavità, sostengono comunità ecologiche povere e molto meno varie rispetto agli habitat naturali; esistono anche manufatti artificiali di forma complessa, che imitano l’aspetto delle conformazioni naturali costiere. Focalizzati soprattutto sull’ottenere stabilità, si costruiscono massicci sistemi artificiali che non fluttuano affatto; al contrario, la resilienza degli ecosistemi naturali è caratterizzata dalla dinamicità, dalla complessità delle comunità ecologiche e dalla loro non linearità intrinseca. L’utilizzo di strutture costiere artificiali ingegnerizzate, come pareti verticali e rivestimenti, interrompe lo scambio di acque terrestri e altera le dinamiche ambientali (ad esempio, la fisiologia delle onde, il profilo di profondità). Solo di recente, e in gran parte in risposta a grandi disastri conseguenti agli uragani Katrina e Sandy, la ricerca ha favorito iniziative di integrazione ecologica e processi ecosistemici, parallelamente agli obiettivi ingegneristici di resistenza e stabilità.

Considerando esclusivamente l’aspetto ambientale, le barriere coralline offshore (che sono separate dalla terraferma e formano le lagune) e quelle di tipo marginale, i mangrovieti, le praterie marine e le paludi costiere – laddove presenti contemporaneamente – sono più efficaci a contrastare l’erosione delle coste rispetto a qualsiasi singolo habitat o qualsiasi combinazione di due habitat. In particolare, le mangrovie riescono a proteggere la costa sia in condizioni di tempesta sia di calma meteomarina, tuttavia la coesistenza di barriere coralline e praterie marine mitiga meglio l’impatto delle onde e delle tempeste, riducendo così ulteriormente la vulnerabilità dei territori a monte.

Oltre alle diversità strutturali, è fondamentale considerare le forme e gli esseri viventi, nonché le dinamiche (il contesto geomorfico) che costituiscono questi territori al confine fra terra e acqua: gli splendidi coralli vivi e colorati delle barriere coralline di tipo marginale (fringing reef) forniscono una maggiore protezione delle sole praterie marine; le praterie marine nelle barriere coralline offshore sono più efficaci dei soli coralli vivi. Pertanto, in un progetto di tutela e strategia per rafforzare gli ecosistemi costieri, è evidente l’importanza di adottare approcci integrati che valutino accuratamente le caratteristiche specifiche dei luoghi; non limitarsi a considerare solamente lo sviluppo di un unico habitat per proteggere solo le regioni costiere contro specifiche condizioni forzate, bensì valorizzare il potenziale di tutti gli habitat presenti sull’intero paesaggio marino.

Le barriere coralline e le zone umide non solamente riducono l’impatto degli tsunami, delle ondate e delle tempeste (eventi estremi), bensì moderano le onde del vento e quindi riducono l’erosione cronica del litorale, promuovono accrescimento dunale e creano condizioni favorevoli alla riproduzione delle zone umide.

Riassumendo i principali habitat costieri caratteristici troviamo dunque: mangrovie, paludi e praterie marine.

Le praterie marine

Nel Mediterraneo, la più classica prateria marina è costituita dalla Posidonia oceanica (nell’immagine), la pianta preziosa che ricopre molti fondali, offrendo nutrimento e protezione a pesci e invertebrati. Tramite la sua struttura fisica, svolge una funzione cruciale nella stabilizzazione dei fondali e nella difesa dei litoranei sabbiosi dai fenomeni erosivi; le lunghe foglie delle praterie, fluttuando nell’acqua, attenuano l’energia del moto ondoso che raggiunge indebolito le spiagge.

La complessa struttura della matte (l’agglomerato di parti morte ancorate al fondale sabbioso) intrappola il sedimento, ne impedisce la dispersione da parte delle onde e delle correnti; i fondali diventano meno profondi e le onde si infrangono più lontano dalla costa, con conseguente minore erosione durante le mareggiate. I depositi di egagropili (le palline sferiche od ovali di colore marrone chiaro e di consistenza feltrosa che troviamo nelle zone dunali) creano rugosità sulla superficie delle dune, e favoriscono l’attecchimento di piante costiere, contrastando l’asporto della sabbia da parte del vento.

Le banquette di foglie morte che si accumulano lungo le spiagge proteggono la sabbia sottostante dalle mareggiate invernali, limitando l’erosione costiera. Se conoscessimo tutti questi benefici, non ci lamenteremmo troppo della cosiddetta «sporcizia» (residui vegetali) che troviamo sul bagnasciuga delle coste del Mediterraneo durante le nostre vacanze.