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«I salti mortali? Sono la regola»

Famiglie ◆ La Federazione delle Associazioni femminili Ticino Plus lancia un appello a tutti i Comuni chiedendo di investirein misure che migliorino la conciliabilità tra famiglia e lavoro. Alcune mamme ci raccontano le loro difficoltà
/ 04/03/2024
Romina Borla e Barbara Manzoni

Lavoro e famiglia: un binomio difficile, per tante donne impossibile. È la cura dei bambini ad assorbire la maggior parte del tempo delle giovani, che spesso rinunciano al lavoro o passano al part-time durante i primi anni di vita dei figli. Secondo l’Ufficio federale di statistica «nel 2022, nelle economie domestiche con almeno un figlio di età inferiore ai 7 anni, il tasso di attività delle donne in equivalenti a tempo pieno ammontava in media al 46,9%». Molteplici le cause di questa rinuncia. Alcune personali, altre un po’ meno, come il costo eccessivo degli asili nido o l’assenza di mense scolastiche. Lo ribadisce la Federazione delle Associazioni Femminili Ticino Plus che – con un appello – si rivolge a tutti i Comuni ticinesi chiedendo di investire in tre misure per contribuire a migliorare la conciliabilità (si può firmare anche online su www.faftplus.ch). Nel dettaglio: asili nido a costi accessibili; pre e doposcuola destinati agli allievi delle scuole primarie (in ogni sede); mense scolastiche a prezzi moderati e senza limiti di accesso (in tutti gli istituti). 

Queste richieste giungono nelle settimane che precedono le elezioni comunali, previste il prossimo 14 aprile, e sono motivate – secondo FAFTPlus – dalla volontà di costruire un «Ticino con famiglie più resilienti e più competitivo, che sostiene il lavoro indigeno». Alcuni Comuni, naturalmente, si sono già mossi in questo senso, altri invece offrono ancora pochi servizi per favorire la conciliabilità. Ma in questa realtà a macchia di leopardo, come vivono le madri? Quali sono le difficoltà dei genitori nella gestione quotidiana dei figli? «Azione» ha raccolto delle testimonianze.

«Di salti mortali ne ho fatti tanti e continuo a farli», dice Maira, mamma single di una bambina di 3 anni. Nel 2022 ha ripreso una formazione nel settore sanitario che prevedeva degli stage negli ospedali del Cantone. Fuori casa tutto il giorno quindi, orari variabili. Lontana dalla famiglia di origine. Per fortuna nel quartiere del Bellinzonese dove risiede esiste un asilo nido. «Però la struttura apre alle 7, mentre io esco prima», racconta. «Così lascio la piccola da una vicina di casa: 80 anni ma piena di energia. La porta lei al nido». E per quel che riguarda vacanze e turni serali? «Mando mia figlia in Italia, da mia mamma, oppure viene lei a stare da me. Sono insomma perennemente in cerca di soluzioni e sempre stanca. Mi rendo conto di chiedere dei sacrifici anche alla mia bimba: a volte gira come un pacco postale, i sensi di colpa non mancano. Ma non ho alternative, vado avanti senza pensare troppo al futuro».

Maira ha trovato una strada, sicuramente faticosa, ma percorribile che però comporta anche un impegno finanziario importante. Dando una rapida occhiata alle tariffe in vigore in alcuni asili nido del Bellinzonese, vediamo che la cifra oltrepassa i 1000 franchi mensili, considerando cinque giorni di accudimento alla settimana (meno giorni, in proporzione, costano di più).

«Lavorare per riuscire giusto a pagare il nido e poco più? Anche no». Così pensano tante madri ticinesi che scelgono di abbandonare l’attività (con tra l’altro una serie di conseguenze pesanti a lungo termine: carenze nelle rendite pensionistiche, precarietà in caso di divorzio, ecc.).

È l’esperienza di Silvia: «Dopo qualche anno coi bambini avrei voluto rientrare nel mondo del lavoro ma, con i loro orari, era difficile anche solo fissare un colloquio o pensare a una riqualifica. Le difficoltà di organizzazione sono aumentate quando il maggiore ha iniziato le elementari, mentre il più piccolo era alla scuola dell’infanzia». La giornata iniziava con l’accompagnare prima uno poi l’altro alle rispettive sedi. Il grande tornava a casa per pranzo e Silvia lo riportava indietro; alle 15.30 doveva già essere alla scuola dell’infanzia perché il piccolo usciva. «Una gestione così complicata crea inevitabilmente stress: era difficile avere il tempo per andare dal medico, figuriamoci per lavorare fuori casa!». Da notare: la nostra interlocutrice abita in un Comune del Luganese dove il servizio di mensa per le scuole elementari esiste ma accoglie solo i bambini che hanno entrambi i genitori lavoratori, e si deve presentare un certificato del datore di lavoro per avervi accesso.

Anche Luana abita in un Comune del Luganese che però non è dotato di asilo nido, niente pre e dopo scuola e mense «ufficiali» per le elementari (ci sono però degli enti che offrono, a pagamento, attività e servizi extrascolastici ma i posti sono limitati). Lavora quasi a tempo pieno. Inizia alle 7 e finisce tra le 17 e le 18. Una baby sitter è fuori discussione: costa troppo (una mamma di nostra conoscenza, che lavora al 50%, ci ha confessato di aver speso 20mila franchi in un anno per la tata delle sue figlie). «Mi sono dovuta arrangiare: non ho aiuti», afferma Luana. «Quando tre anni fa la piccola ha cominciato le elementari, e tornava a casa per pranzo, trovava il fratello, che ha 8 anni più di lei. Lasciavo loro cibi pronti, li preparavo la sera o nei week end». Al mattino? «Ha diverse sveglie puntate e si prepara da sola. Il papà quando può la chiama alle 8, giusto per essere sicuri che sia pronta, altrimenti alle 8 ha l’ultima sveglia, quella che le dice: parti altrimenti perdi l’autopostale». Mentre la sera? «Due giorni a settimana pratica sport, la accompagna il papà oppure una signora di fiducia. Il venerdì ci sono io. Per il resto aspetta sola il nostro arrivo. È molto responsabile, come il fratello. Facciamo tutti quello che possiamo, mentre io non mi sento di certo la madre dell’anno...».

Un sentimento condiviso da Stefania, del Mendrisiotto, due bimbi che frequentano la mensa delle elementari: «Mi sento sempre in colpa: devo lavorare, devo lasciare il bimbo in mensa, la maestra mi dice che arriva il pomeriggio agitato e nervoso. È frustrante. La società non mette le donne in condizione di lavorare con serenità. E loro cosa fanno? Si sacrificano per la famiglia, soprattutto se lo stipendio del compagno lo permette. Poi i bambini crescono e tu rimani lì, sola, senza sapere bene qual è il tuo posto nella società e con tanti sogni frustrati».

Elizabeth tenta di tenersi aggrappata a quei sogni. «Ma senza l’aiuto di amici e nonni – che abbiamo la fortuna di avere – per me sarebbe impossibile lavorare». Lei infatti vive in un Comune del Luganese che non dispone della mensa (elementari), pochi gli aiuti prima e dopo scuola. «E sono privilegiata per un’altra ragione: gestisco un’attività in proprio, insieme a mio marito, così sono flessibile con gli orari. Posso all’occasione staccare alle 15.45 per recuperare mio figlio, lavorare da casa... Ma il tempo per me è pari allo zero: o lavoro, o sto con mio figlio, o faccio ordine, la contabilità ecc. Spesso faccio queste cose tutte insieme, col rischio di scoppiare. Sempre produttiva, altrimenti mi sento in colpa ma mi manca spazio per me, per leggere un libro o semplicemente per pensare».

Pressione costante anche per Mary, lavoro part-time e famiglia di origine lontana. «Con la mensa (servizio extrascolastico organizzato da un’associazione) funziona, il problema sono le vacanze scolastiche e i mercoledì: non sono coperti. Così bisogna organizzarsi per tempo con le colonie, spesso fuori Comune, e prevedere spese non da poco. Il mercoledì poi ho chiesto il permesso di uscire prima dal lavoro; non tutti i datori di lavoro lo concedono... Se poi il bimbo si ammala è un disastro: ci tocca chiamare la Croce Rossa che offre un servizio di custodia a domicilio per bambini in situazioni di emergenza (Mamy help). Navighiamo sempre a vista insomma, ma non molliamo».