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Saper immaginare il progresso
Parole verdi 11 ◆ Con questo articolo continua le serie dedicata al nostro rapporto con l’ecologia e la crisi climatica
Francesca Rigotti
Non ogni cambiamento è un cambiamento verso il meglio, non ogni mutamento significa progresso. Quali processi di trasformazione si possono chiamare progresso? Come distinguere il mutamento progressivo da quello regressivo, ma soprattutto, che cos’è il progresso, la nostra nuova parola verde, abbinata alla sua ombra, il regresso? Ci facciamo accompagnare ancora una volta da un libro, il recente saggio della filosofa politica Rahel Jaeggi, svizzera di Berna, ora docente alla Humboldt Universität di Berlino (Fortschritt und Regression, 2023).
Il progresso è un mutamento, un passo avanti (dal latino pro-gredior) verso un miglioramento, che sia tecnico, scientifico, sociale, politico o morale, conseguito grazie a conquiste scientifiche o mediche, invenzioni tecniche, innovazioni sociali. Per esempio l’invenzione della ruota, della bussola e della stampa; la scoperta della penicillina, l’invenzione di Internet; l’introduzione della parità delle donne, della democrazia, della non violenza verso i bambini.
È «verde» tutto ciò, è «verde» il progresso, verde nel senso che si svolge in sintonia con la salvaguardia dell’ambiente e con comportamenti e misure ecocompatibili? No, non lo è. Non è sempre «verde» il progresso, anche se fa comodo. E però non è nemmeno inevitabile e irresistibile, come raccontano alcuni cercando di farci assumere comportamenti fatalistici: non può essere che così, così deve essere e così sarà. Se il cambiamento è cambiamento e basta, e non cambiamento verso il meglio, non è progresso né tantomeno progresso verde, e va osteggiato. Ma non per sostituirgli il regresso, il ritorno al passato cioè, spesso scomodo e faticoso. Non si tratta infatti di tornare all’aratro a mano, ai carri tirati da cavalli o alle cure fatte con scongiuri e pozioni, ma di tornare, con grandissima forza di immaginazione, al progresso.
In una scena del grande romanzo degli anni Trenta del Novecento, L’uomo senza qualità di Robert Musil, il protagonista, Ulrich, si confronta con altri sulle caratteristiche del progresso, e così conclude: «Ogni progresso è anche un regresso». Ci sono infatti conquiste e perdite in ogni mutamento e ogni cambiamento è soggetto ad ambivalenza, duplicità, ambiguità. L’importante è prevedere gli aspetti negativi, quali l’inquinamento di ogni genere e le sue conseguenze, esserne consapevoli, riuscire a prevenirli. Non si tratta di intervenire a posteriori mettendo le pezze a situazioni tanto disastrose quanto prevedibili, oppure dichiarare che quello è l’andamento inesorabile della storia e che bisogna accettarlo, che lo si voglia o no, perché è il progresso e non ce n’è un altro. C’è anche un progresso verde, da immaginare con grandissima fantasia e da promuovere con grande preveggenza, che non si aggrappa al vantaggio momentaneo e alle esigenze di breve respiro, anche se pressanti. E che non è un progresso settoriale, che avvantaggia cioè alcuni settori trascurandone altri. Non è nemmeno il progresso che distrugge, sacrificando la bellezza all’efficienza, scambiando il benessere con lo sfarzo e lo spreco, la schiavitù delle scelte imposte alla libertà delle scelte autonome. Il progresso verde è guidato non dal politico, che ha lo sguardo breve, che pensa al contingente o al più alle prossime elezioni e cerca il consenso breve a tutti i costi; ma dallo statista che ha lo sguardo lungo e pensa anche alle generazioni future.