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Diabete, il rischio di non percepire il dolore

Il piede diabetico è una delle più gravi complicanze del diabete mellito di tipo 2, la terapia prevede una presa a carico tempestiva e multidisciplinare
/ 20/11/2023
Maria Grazia Buletti

«La mia mamma ha dedicato tutta sé stessa alla famiglia, e a 70 anni si è trovata a fare i conti col suo diabete molto serio che da un paio d’anni le procura profonde ferite malleolari al piede. Il diabetologo ci ha spiegato che si chiama “piede diabetico”. Abbiamo capito che prevenire è sempre meglio che curare, che bisogna aiutare il malato nella cura dei suoi piedi (ndr: in genere degli arti superiori e inferiori), controllando insieme rossori, ferite o ulcerazioni. Perché la malattia diabetica non permette di sentire il dolore e i primi sintomi di ferite o ulcerazioni che poi peggiorano. Oggi mia mamma va regolarmente all’ambulatorio cure e ferite, è seguita dal diabetologo e dallo specialista chirurgo che, mi hanno spiegato, potrebbe dover intervenire favorendone la guarigione, qualora l’ulcerazione non guarisse in questo modo. Abbiamo imparato che dobbiamo sempre aiutarla a controllare bene i suoi piedi e le sue gambe, per prevenire l’inizio di altre piaghe o ulcere».

È il racconto della figlia di Daniela (nome noto alla redazione) che deve fare i conti con il piede diabetico: una delle più serie complicanze del diabete. Ne parliamo prendendo spunto dalla giornata mondiale di sensibilizzazione che si svolge annualmente il 14 novembre, data scelta a celebrazione della nascita del fisiologo canadese Frederick Grant Banting che nel 1921 scoprì l’insulina. Una scoperta che consentì al diabete di passare da malattia mortale a malattia controllabile. Ma bisogna prestare molta attenzione alle insidie del piede diabetico, spiega il dottor Gianluigi Marini, specialista in medicina interna generale a Sorengo: «Esso rappresenta una tra le più gravi complicanze del diabete mellito di tipo 2, le cui cause, molto simili nei più, conducono alla lesione ulcerata. Secondo la banca dati americana Up To Date, questa patologia riguarda circa il 34 per cento delle persone con diabete di tipo 2 che presentano due o più fattori di rischio in cui la neuropatia diabetica periferica ha un ruolo centrale, insieme alla diminuita vascolarizzazione arteriosa: questi pazienti non percepiscono il dolore di pressioni (un sassolino sotto la pianta del piede), tagli e ulcerazioni che, non curate immediatamente, possono portare nella peggiore delle ipotesi all’amputazione della parte interessata».

Prevenzione è la parola d’ordine per ridurre i casi di amputazione a carico degli arti inferiori. Due gli accorgimenti importanti: «Per prima cosa, i pazienti diabetici dovrebbero essere seguiti dai famigliari nel tenere controllati i piedi, almeno una volta alla settimana. Poi, è bene farsi seguire regolarmente da una buona e professionale pedicure medica», afferma Marini che in questa fase di prevenzione primaria individua lo screening del piede gestito dalla famiglia, dal diabetologo (esegue un esame completo del piede almeno una volta l’anno, o con maggiore frequenza nei pazienti a rischio elevato) e dall’ambulatorio infermieristico-diabetologico delle complicanze ad arti inferiori: «In Ticino disponiamo di ambulatori per la cura del piede diabetico all’Ospedale Italiano di Viganello, alla Clinica Luganese di Moncucco, e alla Clinica Sant’Anna di Sorengo».

È categorica l’esperta in cura delle ferite e stomaterapista Giovanna Elia, attiva all’Ambulatorio cura ferite della Clinica Sant’Anna di Sorengo: «L’infermiere specializzato in diabetologia spiega l’importanza del controllo giornaliero, oltre che dell’aderenza terapeutica, la cura (anche delle unghie), la cura della callosità che può individuare la fase pre-ulcerosa di cui il paziente non percepisce il dolore». Neuropatia che la specialista descrive come «la cosa più insidiosa»: «Più o meno accentuata, dipende da quanto tempo la persona è diabetica. Perciò è essenziale controllare quotidianamente i piedi davanti allo specchio, anche con l’aiuto di un famigliare: questi pazienti possono fare lunghe passeggiate, a piedi, con un sassolino nella scarpa di cui non si accorgono perché non hanno la percezione del dolore». Ciò porta le persone a sottovalutare il problema del piede diabetico per il quale sarebbe invece opportuno seguire un programma educativo: «Sono i pazienti più difficili da accompagnare, ai quali bisogna far comprendere l’importanza della cura podologica regolare». Ribadisce che l’ulcera è guaribile «se il piede è dotato di una buona circolazione arteriosa». L’arteriopatia è spesso accompagnata da una riduzione della sensibilità al dolore (neuropatia sensitiva).

Tre i pilastri della cura di queste ferite: «Bisogna verificare lo stato della circolazione, scaricare la zona colpita dall’ulcera con scarpe specifiche con plantare di scarico, tutore specifico per lo scarico totale del carico sull’ulcera, uso di feltri: tutto per alleggerire l’eccessiva pressione sulla zona colpita. È importante una buona gestione dei profili glicemici e la medicazione deve essere idonea: non esiste un cerotto magico. La cura di una lesione plantare del piede diabetico è difficile: devo medicare, scaricare e verificare la circolazione; devo monitorare nel tempo e, in caso di guarigione, non devo lasciare a sé stesso il paziente che, ricordiamo, non sente il proprio piede e potrebbe tornare a ulcerarsi». Solo una grande disciplina e costanza porta al risultato: «Perché il dolore è un campanello d’allarme fondamentale che manca a questi pazienti».

Lo specialista in chirurgia ortopedica, con specializzazione in caviglia e piede, Andrea Ferrero spiega il suo ruolo che sopraggiunge «quando siamo a uno stadio avanzato di ulcerazione che non guarisce con le cure o, peggio, dinanzi alle peggiori complicanze del percorso di vasculopatia e neuropatia». La situazione può essere rimediabile: «L’amputazione è l’ultima ratio e, se necessaria, è una “chirurgia del buonsenso” in cui il chirurgo è in equilibrio tra tagliare troppo o troppo poco: deve essere al giusto livello per fermare il problema, e non deve essere troppo generosa perché più è prossimale e maggiore è il rischio di elevata mortalità negli anni a venire». Non solo amputazione, in una presa a carico multidisciplinare che vede il chirurgo agire, per prima cosa «su un’ulcera diabetica che, se presa in tempo, ha ancora una prognosi relativamente favorevole, a patto che il chirurgo possa prenderla a carico rapidamente, eliminando la sovrappressione meccanica causata molto spesso da una o più ossa che schiacciano la pelle». La multidisciplinarietà è essenziale: «Il radiologo angiologo interventista (verifica dello stato arterioso e la rivascolarizzazione se possibile), la specialista in cura ferite, il diabetologo e il chirurgo ortopedico: il successo dipende dalla presa a carico congiunta di tutte queste figure professionali».