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Quando l’anziano diventa «paziente»

Geriatria - Invecchiare bene nella psiche e nel fisico è essenziale in ogni momento della vita
/ 06/11/2023
Maria Grazia Buletti

l 23% della popolazione ticinese ha dai 65 anni in su, e il 7,5% supera gli 80: siamo il Cantone con la percentuale più elevata di persone anziane. L’aumento della speranza di vita ha prodotto da una parte un balzo in avanti dell’età in cui una persona è considerata anziana, dall’altra un effettivo incremento della popolazione geriatrica, la cui salute presenta fragilità multiple che meritano una presa a carico sanitaria complessa e interdisciplinare.

È certo che la vecchiaia termina con la fine della vita, ma il momento in cui inizia, e il senso che può assumere, non sempre è altrettanto chiaro e uguale per tutti. «Oggi la definizione di anziano non è più quella di un tempo, a causa di un totale cambiamento di paradigma: il 65enne di oggi non è considerato anziano ma al pari di un 45enne di ieri. Perciò la Società geriatrica italiana (SIGG), ad esempio, propone di posticipare di almeno dieci anni l’età cosiddetta geriatrica». Sono le parole del geriatra e specialista di medicina interna alla Clinica Sant’Anna di Sorengo, Florenc Kola: «Oggi la speranza di vita e le sue migliori condizioni hanno spostato molto avanti il limite cronologico; ogni protocollo di cura deve fare i conti con l’individualità di questa condizione che, per ciascuno, può variare parecchio e non può basarsi solamente sul parametro dell’età anagrafica».

A conti fatti: «La grande sfida che ci attende nei prossimi anni è lo studio dell’invecchiamento delle persone dal punto di vista biologico, psichico, relazionale e affettivo, che profilerà il medico geriatra come colui che davvero sarà il “direttore d’orchestra” nella presa a carico interdisciplinare di un paziente geriatrico».

Imprescindibile il distinguo fra persone anziane e pazienti geriatrici, spiega il medico aggiungendo come le prime si suddividano in una grande varietà di profili, vissuti e situazioni da considerare nella loro unicità, oltre che nel comun denominatore di un ventaglio di elementi. È importante invecchiare bene, prendendosi cura della propria salute psichica, fisica e del contesto sociale: «Privilegiare un’alimentazione equilibrata, svolgere regolarmente un’adeguata attività fisica, avere relazioni sociali appaganti fa bene a corpo e mente e permette di avere risorse per affrontare meglio eventuali malattie».

Il dottor Kola, in merito alle difficoltà cui un anziano si trova a far fronte, spiega che «il 30% della popolazione anziana si trova confrontata con la negazione degli stimoli e lo scarso coinvolgimento sociale, che poi li porta ad amplificare il dolore psicofisico». Emergono così fragilità nuove per rapporto al giovane adulto: «Il giovane si trova ad affrontare situazioni di “mono-problematicità” (un evento professionale, una separazione e via dicendo). L’anziano vive il risultato di tutte le situazioni accumulate nel corso della sua vita, sommate al suo presente: famigliare, contesto sociale, economico e lavorativo». Come dire: «L’anziano ha più chilometri e può arrancare maggiormente a fronte di eventi complessi e problematicità accumulatesi nel tempo».

Il paziente geriatrico si riassume con il concetto di eterogeneità: «Implica la presenza di quelle comorbidità che compongono la sua fragilità e la complessità della presa a carico: pensiamo a una ridotta velocità della camminata, alla sarcopenia (ndr: riduzione di massa e forza muscolare), alla difficoltà di praticare attività fisica, alla perdita di peso spontanea, le cui conseguenze convergono in poche riserve funzionali a fronte di un nuovo imprevisto: se, ad esempio, subentra un’infezione urinaria, si scatenano una serie di modifiche che porteranno ad altri effetti collaterali, e il paziente geriatrico dispone di poche riserve per poterne uscire».

Il gruppo di questi pazienti è molto eterogeneo e consta nel 15 % dell’intera popolazione anziana: «C’è chi gioca a tennis, chi è in forma e ancora attivo professionalmente, chi è arzillo e chi nulla di tutto ciò. Al netto di tutto, un anziano performante e in salute sarà meno fragile a fronte di qualsiasi evento patologico da curare».

Nella presa a carico del paziente geriatrico la figura del medico geriatra è essenziale: «È il perno della gestione di queste complessità, associate alla già problematica poli-farmacoterapia; è il direttore d’orchestra che coordina i curanti, dal medico di famiglia, al fisioterapista (per il rinforzo muscolare), al nutrizionista (per la malnutrizione), al terapista dei problemi cognitivi, e a tutta la rete del territorio come assistenti sociali, cure a domicilio, ergoterapia. Oltre a prendersi cura del paziente geriatrico con deficit cognitivi, il geriatra lo accompagna lungo il suo percorso: «Il presupposto non è voler guarire questo paziente, ma accompagnarlo, perché spesso le malattie che lo affliggono non sono guaribili ma curabili».

Il dottor Kola stigmatizza il paradigma della nostra società occidentale: «L’equazione malattia uguale guarigione è oramai anacronistica: davanti a una malattia, il paziente geriatrico deve essere assistito nell’ambito del suo contesto globale: sociale, funzionale e cognitivo. Dobbiamo scindere il modo mono-problematico di intendere la malattia, a favore della complessità della multi-comorbidità del paziente geriatrico». Questo, a fronte di dati inequivocabili: «L’invecchiamento di per sé è già il fattore di rischio più importante nello sviluppo di patologie: sappiamo che la prevalenza delle malattie neurovegetative raddoppia ogni 5 anni dopo i 65 anni di età, e dagli 85 in poi abbiamo il 50% di probabilità di avere un disturbo neurocognitivo (una persona su due). Stessa cosa per le malattie tumorali in cui l’invecchiamento risulta essere il fattore principale».

Questi pazienti vanno ascoltati: «La personalizzazione delle cure è importante: è una terapia “sartoriale” che considera ciascuno come individuo, con la propria storia personale, tenendo conto della sua volontà, del suo modo di intendere la vita, e dando ascolto alle prerogative che ritiene importanti per sé». Ed è essenziale favorire, laddove possibile, la permanenza a domicilio invece dell’ospedalizzazione che deve eventualmente essere il più breve possibile: «Restare nel proprio ambiente naturale permette di avere meno complicanze come delirium, meno malnutrizione e meno ipo-mobilità».

In tutto ciò, geriatra e medico di famiglia sono due attori coadiuvanti nell’ambito di una presa a carico multidisciplinare, nel rispetto del paziente stesso. Significativo quanto ha affermato il divulgatore Piero Angela: «Resta l’importanza di curare non solo la malattia, l’organismo malato, ma l’uomo, l’individuo che soffre. C’è gente che va dal medico e avrebbe bisogno non di tre pillole al giorno, ma di tre abbracci al giorno. Ed è questo di cui molti sentono il bisogno, non solo negli ospedali, ma anche nella vita».